Dubbio n. 30: È opportuno ambientare un romanzo nella propria città?

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    Sull’importanza dell’ambientazione di un romanzo si è detto e scritto molto. Io stessa mi posi la domanda di dove ambientare un romanzo all’inizio di questa rubrica, almeno 24 dubbi fa.

    Allora, pur nella miriade di dubbi che avevo sulla costruzione del mio romanzo, avevo ferma la convinzione di voler ambientare il mio romanzo nella zona in cui vivo. Già allora spiegai che i motivi che mi spingevano a prendere quella decisione erano due. Il primo, ovvio, è la conoscenza della zona in cui vivo non solo da un punto di vista geografico, ma anche per quanto riguarda gli usi e i costumi, insomma la sociologia locale. Per un lungo periodo di tempo ho svolto lavori a stretto contatto con il pubblico, prima come impiegata comunale poi come gestore di un circolo culturale, e questo senza dubbio mi ha messa in contatto con il tessuto sociale locale in ogni sua stratificazione.

    In secondo luogo, proprio l’oggetto del mio romanzo, che si basa sulla percezione che le persone hanno di esse stesse e degli altri, e di come si possa rischiare di rimanere imbrigliati nell’immagine pubblica che ognuno dà di sé, richiede un’ambientazione in un piccolo centro.

    Poi, elemento non da poco che solo di recente ho capito essere presente nella mia scelta, il desiderio di controbattere alla costruzione, a mio parere fallace, di un’immagine del biellese decadente e stereotipato come quella offerta dalla Avallone nel suo Marina Bellezza.

    La Avallone, originaria di Biella, seppure da molti anni trasferita a Bologna, racconta un biellese che non è il mio. È che forse è proprio quello di chi se ne è andato inseguendo un sogno ed è tornato alle proprie radici per bisogno di capire da dove è partito e che cosa si è perso nel frattempo. Ma proprio per questo non lo conosce: di esso conserva un ricordo travisato, in bene e in male, dai propri successi o dalle proprie delusioni. Non lo conosce in quanto luogo vissuto, ma solo in quanto proiezione della propria idea del luogo stesso o come secondo termine di paragone rispetto a un altrove.

    Tuttavia ultimamente, durante un serio esame della costruzione del mio romanzo, che per ora rimane sono teorica, mi sono sorti dei dubbi anche su questa scelta e ho deciso, come d’abitudine, di condividerli con voi.

    che idea abbiamo del posto in cui viviamo?

    Finora ho sparato addosso alla povera Avallone, accusandola di aver bistrattato il mio biellese. E per certi versi sono assolutamente convinta delle mie affermazioni. Tuttavia, a voler essere del tutto obiettiva, mi viene da domandarmi se anche il mio vissuto non incida sulla mia visione del luogo in cui vivo. Certo che sì. È perfettamente normale che la percezione soggettiva di un luogo dipenda dal vissuto di ciascuno di noi. Io nel mio paese ci sto bene e lo amo profondamente. Come si dice qui da me:  j’ù la maladia dal campanin (ho la malattia del campanile), cioè non posso vivere lontana dal mio paese.

    Di conseguenza mi viene spontaneo domandarmi se non corra anch’io il rischio di essere troppo immersa nel mio habitat naturale tanto di rischiare di mostrarlo travisato, tanto quanto, a mio giudizio, ha fatto la Avallone.

    In realtà potrebbe anche essere un falso problema in quanto non sto scrivendo un trattato scientifico, ma un semplice romanzo la cui ambientazione entra si striscio nell’opera stessa. Forse lo scrupolo dovrei farmelo solo mettendomi nell’ottica del lettore: a che pubblico è destinato?

    Probabilmente la Avallone, con una tiratura nazionale,  può non essere toccata dal fastidio dei lettori biellesi, ma io, in qualità di esordiente, posso non tenere conto dell’opinione locale, soprattutto considerando che invece l’apprezzamento locale potrebbe costituire la base di sostenitori da cui cercare di allargare il consenso?

    È una specie di circolo vizioso: l’ambientazione locale del romanzo potrebbe costituire il punto d’aggancio del pubblico locale, ma allo stesso tempo potrebbe ritorcersi contro nel momento in cui non trovasse l’apprezzamento del mio potenziale pubblico.

    Il rischio di essere fraintesi

    Quante volte capita a un esordiente che gli venga posta la solita fastidiosa domanda: ma è autobiografico?

    Immaginatevi quali domande potrebbero sorgere quando un romanzo, pur essendo palese che non è autobiografico,  racconta di un luogo preciso, magari di un piccolo paesino di montagna: sarà successo davvero? ma la tabaccaia di cui parla è proprio tizia? e il parroco che ha una storia con la maestra elementare è proprio il nostro don?

    In precedenza non mi ero mai fatta questi scrupoli, poi però qualche domanda mi è venuta spontanea. Non tanto preoccupandomi di ciò che il lettore potrebbe pensare di me, quanto piuttosto del rischio di infangare qualcuno senza volerlo.

    Capite, si parla di paesini di poche centinaia di anime. il chiacchiericcio, il sospetto sono il pane quotidiano di chi trascina la propria vecchiaia in chiesa o all’osteria. Vuoi mai che parlare di certi personaggi, sebbene nella mia costruzione mentale lontanissimi da persone realmente esistenti, crei un fraintendimento e qualcuno si trovi a essere in difficoltà per colpa mia? Ecco, questo io non lo potrei mai accettare.

    Vi siete mai trovati in situazioni simili? Che cosa ne pensate?

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    24 Comments

    • nadia

      Usare ciò che si conosce meglio come ambiente e citarlo nel proprio libro forse ha con sè qualche rishio, ma anche i suoi vantaggi. Credo aiuti semplicemente lo scrittore ad avere certezze maggiori riguardo l’ambientazioni e accompagna il lettore durante la narrazione. A me sinceramente piace molto e mette a mio agio.

      • Anche a me non dispiace l’ambientazione locale, a condizione che sia ben utilizzata. E certamente è vantaggiosa e rassicurante. Però, come dice anche Daniele dopo di te, presenta rischi per l’esordiente che possono essere sottovalutati- Insomma, c’è da fare una bella riflessione in merito.

    • Io ho sempre evitato di parlare del mio territorio locale, sia per i motivi che tu citi, sia perché francamente la letteratura che parla di mondi locali non mi è mai andata a genio. Uno dei mantra del mio docente di sceneggiatura era “gli esordienti sanno che devono scrivere di ciò che conoscono…e quindi fanno solo autobiografie, invece di imparare cose nuove”. Ho sempre preferito viaggiare con la fantasia in mondi ignoti, e in realtà sconosciute (per questo amo fantascienza e fantasy). L’ultimo libro però, come sai, è ambientato a Milano, perché ho voluto fare un’esperimento: introdurre elementi di fantasia in un tessuto geografico realmente esistente. Dovendo essere realistico nella descrizione dei luoghi, quindi, non avendo né tempo né risorse economiche per fare ricerca, era inevitabile quindi l’ambientazione nella città in cui vivo (che nel frattempo, si è anche trasformato in un omaggio alla madre geografica che amo e in cui mi piace molto abitare, nonostante gli infiniti svilimenti da parte di molti, autoctoni e non).

      Devo dire che ho scoperto un mondo divertente, la ricerca dei luoghi più adatti per ogni scena (invece della pura invenzione), l’interazione e il gioco, spesso con scarsa riverenza, con luoghi che conosco e sperimento ogni giorno. Mi è piaciuto, molto, ed è un’esperienza che mi piacerebbe ripetere. E sicuramente mi piacerebbe anche esplorare modalità analoghe, ampliando la sfera di ricerca anche a luoghi reali ma che non conosco. Ho già un’idea per un prossimo romanzo ambientato in Europa…

      Sempre, però, con storie che facciano volare la fantasia, perché il realismo mi è sempre stato sui “presidente della Lombardia” 😛

      • Mi piace questa tua risposta, Daniele, e penso che mi sarà anche molto utile. Dici bene: per l’esordiente il rischio che si corre è lo stesso dell’autobiografismo latente. Infatti ambientare nella propria zona implica il coinvolgimento personale. Forse la soluzione potrebbe proprio stare nel prevedere una sorta di distacco mentale, facendo sì che il luogo non diventi il pretesto per raccontare se stessi, ma il teatro in cui rappresentare la scena. Non è per nulla facile. A tal proposito il primo autore che mi viene in mente è Andrea Vitali che sceglie la provincia per le sue storie ma non la infila “per forza” nella trama. Ma persino la Napoli della Ferrante entra come elemento fondamentale nella narrazione, tuttavia sempre in modo costruttivo per lo svolgimento dei fatti. Grazie, ci rifletterò su.
        Per quanto riguarda il tuo romanzo, per quello che posso avere capito, mi pare che Milano sia perfetta. Anche perché era, credo, necessaria l’ambientazione nella grande città, ma proprio il genere letterario, che come dici tu sposta l’attenzione dalla realtà alla fantasia, elimina i rischi che invece potrei correre io con il mio romanzo.

    • Devo fare ammenda, non sono mai stato a Biella. Conosco un po’ l’astigiani, il vercellese, il cuneese, il novarese, ma il biellese proprio mi manca.

      Venendo al dubbio. La prima domanda da porsi è quanto conta l’ambientazione nella storia, perchè certe storie potrebbero essere ambientate ovunque e quindi tanto vale scegliere un luogo che si conosce, certo con tutti i rischi che hai citato, ma mica è obbligatorio dirlo dove si svolge 😉
      Però magari l’ambientazione è importante, è proprio uno dei personaggi principali. Beh, in questo caso tocca rassegnarsi, la storia non può che svolgersi a New York o a Torino o a Camburzano. Qui diventa difficile, perchè non si può conoscere dvvero un luogo senza averci vissuto per un po’, certo si può studiare, ci si può informare, lo si può visitare, ma mancherà sempre qualcosa. Mi è capitato tempo fa di leggere un romanzo, bello, devo dire, ben scritto, che parlava di un personaggio famoso al quale mi sentivo in un certo modo legato (la mia scuola elementare porta il suo nome), ma, ahime, si svolge a Torino e per quanto sia ben documentato (salvo un errorino, ma ok) si sente che quella non è la mia città, non è quella l’atmosfera che conosco, la città, che svolge un ruolo fondamentale, resta un elemento di scena, si vede che le facciate sono di legno e cartone come nelle scenografie di hollywood.
      Però penso che finchè ci si muove nelle grandi città la cosa sia ancora fattibile, in fondo queste grandi realtà hanno infinite sfaccettature. Diventa molto più complicato quando si va nel locale. Non sarei in grado, per dire, d ambientare una storia in un paesino toscano: troppe caratteristiche, troppe abitudini, troppi modi di dire e di fare non mi sono comuni e non penso che lo studio sia sufficente. Mentre dai, se dovessi ambientarla a firenze penso che ce la farei 😉
      Insomma secondo me se si vuole mantenere una certa atmosfera di provincia, di quella provincia, è meglio averci vissuto a lungo.
      Però se è l’atmosfera che conta e non il paesino in se si può sempre inventarlo, no? Insomma Vigata nulla perde dell’atmosfera dell’agrigentino eppure esiste solo nella fantasia dell’autore (e in questo modo ci si toglie il pensiero che il parroco o il sindaco o la tabaccaia all’angolo possano risentirsi :P)

      • Sono d’accordo: se si sceglie la provincia non si può raccontarla senza averla vista e, almeno un po’, vissuta. La grande città permette di spaziare molto più facilmente. Prima di tutto perché, come dici tu, presenta molte più sfaccettature, poi perché è anche più semplice documentarsi.
        Devo dire che mi piace molto l’idea di inventare un paese in un’area geografica esistente: forse aiuta anche di staccarsi dal proprio vissuto e a creare un quadro meno autobiografico. Ne terrò conto. Grazie. 😉

    • La Avallone pare abbia stravolto pure Livorno.
      I miei libri sono spesso ambientati a Milano, e cerco di rimanere fedele a come percepisco la città ma anche allargare lo sguardo a realtà cittadine che vivo poco.
      Il prossimo si svolgerà come già detto sul Trasimeno, speriamo che i locali non abbiano da ridire, ma credo di no, mi sono inventata una bocciofila e mi sono fatta aiutare per le parole dialettali, lì si parla praticamente toscano o quasi.
      Tutto sommato è un problema che mi pongo poco, pochissimo.

      • Ma sai, io credo che il mio sia il classico dubbio da esordiente. Probabilmente la cosa migliore è sì, porsi la domanda, ma poi prendere una decisione e proseguire sulla propria strada senza farsi troppe paranoie. 🙂

    • Io sto lavorando a un intreccio ambientato nel mio paesino. Tuttavia ho preso una certa distanza: cioè i protagonisti vengono da fuori e sono due studiosi che stanno effettuando ricerche. Naturalmente ho il grosso vantaggio di conoscere bene l’ambiente e questo senz’altro aiuta. Non disdegno la possibilità di voler riscuotere un certo apprezzamento “locale”, magari sufficiente a innescare un certo passaparola: insomma, vorrei che i miei compaesani leggessero il mio racconto non tanto per vedere di chi ho parlato e come (anche perché non lo farò) ma per la curiosità di leggere qualcosa ambientato in città. Anche perché approfondirò certi aspetti storici che non molti compaesani conoscono…

      Credo che l’errore da evitare sia quello di scrivere un romanzo paesano che solo i compaesani riescono ad apprezzare, cosa che accadrebbe se lo si infarcisse troppo di riferimenti (topografici, storici, sociali, folcloristici) che solo chi vive in città può capire.

      Mentre si scrive, occorre insomma una certa equidistanza: sfruttare il proprio vissuto per le ambientazioni ma mantenere un certo distacco sull’intreccio delle vicende umane dei personaggi. Io cerco di perseguire il mio scopo con personaggi che vengono da fuori. 🙂

      • Esatto. Anche tu cogli un punto fondamentale: forse l’importante è non parlare solo per chi già sa e/o fare una sorta di infodump geografica neanche fosse la guida Michelin. E vedo centrale il termine che usi tu: equidistanza. Ovvero sfruttare il proprio vissuto per le ambientazioni mantenendo tuttavia le distanze dalle vicende umane a esso relative. Grazie. 🙂

    • Daniele

      Non è necessario che uno scrittore risponda a certe domande, per come la vedo io 🙂
      Il romanzo è quello: che ognuno ne tragga ciò che vuole.

      Riguardo alla percezione del posto natio, si chiama appunto percezione, quindi è personale. Ognuno vive la propria città o il proprio paesino a modo suo.

      Da parte mia, io odio Roma, è incivile, invivibile, intasata. È una città per turisti, ma neanche più tanto, ormai.
      No, non potrei ambientare un romanzo a Roma, non nella Roma odierna, almeno. Fra le tante idee che mai porterò a compimento c’è un romanzo ottocentesco ambientato a Roma, però.

      • Hai ragione: per uno scrittore non sono domande fondamentali, ma io sono ancora a livello scribacchino. 😛
        A parte gli scherzi, come dicevo a Sandra, secondo me questi sono dubbi da esordiente, poi forse in seguito la consapevolezza di sé e delle proprie capacità narrative li attenuano.
        Neanche io, ora come ora, ambienterei un romanzo in una grande città. È un tipo di vita troppo lontano da me e dalla mia mentalità. Però forse in certi piccoli quartieri periferici, dove lo stile di vita non è poi diverso da quello di un qualsiasi paese, ci potrebbe anche stare, se il tema lo richiedesse. 🙂
        Il romanzo storico, tra i generi, è il mio preferito. Ma non credo che sarò mai in grado di scriverne uno. Però leggerei volentieri il tuo. 🙂

    • Tutto il mondo è paese, si dice. Ho scoperto sulla mia pelle che è vero, nel bene e nel male. Non conosco Biella, ma esistono delle realtà che puoi ritrovare in diverse realtà locali, l’ambiente pettegolo e provinciale delle piccole città , che io credevo tipico dei piccoli centri del sud Italia, lo trovi al sud, al centro e al nord. Parlo per esperienza. Certe dinamiche vissute nel mio piccolo centro pugliese che nel mio romanzo ho chiamato Fiorita (nome di fantasia del mio romanzo Fine dell’estate) le ho riscontrate anche nei dintorni di Bologna e di Milano. Quindi tornando al tuo dubbio: è opportuno ambientare il romanzo nella propria città? Io dico che puoi farlo perchè ‘tutto il mondo è paese’ e ci sarà sempre qualcuno che si riconoscerà nella situazione anche se invece che abitare a Biella abita a Rovigo, esistono realtà equivalenti e, anche se una storia è ispirata dalla realtà, non sarà mai quella reale, sarà una realtà ‘romanzata’. Tutti parlano ‘anche’ del proprio vissuto anche se in chiave romanzata. Spesso poi la visione di un luogo è personale, io mi rendo conto che certi luoghi li percepisco in modo diverso da come li percepiscono i miei amici o parenti, pur avendo vissuto lì nello stesso periodo. Invece una mia amica quando ha letto Fine dell’estate ha detto di aver sentito il medesimo senso di soffocamento e di costrizione che provava nel suo paesello natio siciliano che pur ama tanto, a distanza, perchè per sua fortuna non vive più là.

      • Una volta mi colpì una frase che diceva: non solo tutto il mondo è paese, ma in ogni paese c’è tutto il mondo. È verissimo. Come tu ben dici, le stesse dinamiche che esistono al sud, si trovano tranquillamente anche al centro o al nord. In fondo gli esseri umani sono esseri umani in ogni luogo e portano con sé lo stesso genere di ambizioni, sogni, paure, frustrazioni. Ed è altrettanto vero che ogni paese è come un microcosmo in cui si riproduce tutto il mondo: ci sarà il buono e il cattivo, il ricco e il povero, il sognatore e il disilluso, solo su una scala più piccola. Per questo è tanto affascinante narrare: come dici tu, indipendentemente da dove si vive, ci si può comunque immedesimare.

    • Io sto lavorando ad una storia ambientata alla fine dell’Ottocento e per quanto riguarda la mentalità, il mio paese sarebbe stato la perfetta ambientazione, perché è rimasto a quell’epoca!
      Scherzi a parte, secondo me dipende molto anche dal tipo di storia e dalle intenzioni che ha l’autore: c’è chi vuole attenersi ad un luogo che conosce come le proprie tasche, per non andare nel panico; chi invece, magari, preferisce abbandonarsi all’ignoto, scegliendo un luogo completamente sconosciuto e da arricchire con elementi dettati solo dalla fantasia.
      D’altronde, se la memoria non mi inganna, Salgari non vide mai la Malesia, pur avendo scritto il romanzo “I pirati della Malesia”.
      P.s. E’ la prima volta che passo, complimenti per il blog, molto interessante!

      • Ciao Giusy e benvenuta sul mio blog. Grazie per l’apprezzamento. 🙂
        Sì, hai ragione è una scelta molto soggettiva. Personalmente per il primo romanzo che ho scritto non ho scelto un’ambientazione specifica. Si svolge tutto il ospedale e potrebbe essere in qualsiasi città. Per il romanzo che sto scrivendo, invece, vorrei proprio far entrare il luogo nel romanzo. Vediamo cosa viene fuori. 🙂

    • Dovrei capire qual è la mia città… Ho cambiato casa 3 volte, facciamo anche 4, che da bambina ero sempre dai nonni. Non sono attaccata al campanile…anzi, non è vero: il campanile sta proprio qui dietro, è finto, usa degli mp3, ma potrebbe anche spostarsi che non mi mancherebbe! 😛
      E poi c’è la questione che non sono nè in provincia nè in città, sono nell’anello suburbano, una specie di limbo in quanto a consuetudini e tradizioni. Nè padovana, nè patavina.
      Aiuterebbe scrivere qui? Non lo so se aiuta, ma due cose sto pensando di scriverle qui. Beh, la prima oramai non è più spostabile perchè una delle scene più belle è in Prato e mi spiace, una piazza così non è replicabile. Un’altra non ha esattamente collocazione, ma non ci sono molti testi ambientati in zona e forse potrebbe essere un punto di forza. Poi qui c’è un castello antico, con fantasma!, ci sono i colli di origine vulcanica, uno zoo dismesso, tutte le ville venete, il quadrilatero romano, le antiche terme… Non manca niente!

      • Il castello antico con il fantasma potrebbe essere mica male!
        Secondo me conoscere una zona è un bel punto di partenza e forse se non si è legati ad essa è ancora meglio.

    • A me piacerebbe scriverne uno. Che i paesani dicano quello che vogliono tanto alla fine “nessuno è profeta nella propria patria”.

      • Hai ragione. Chi scrive non dovrebbe farsi questi problemi. Chi vuole fraintendere, tanto fraintende comunque.

    • Io credo nella possibilità di poter ambientare un romanzo nella propria città. Non vedo anzi il problema. Naturalmente dipende anche dalla storia che si vuole raccontare. Nel mio piccolo io l’ho fatto e devo dire che mi è riuscito abbastanza bene. In fondo è meglio scrivere di luoghi e posti che si conoscono bene, anzichè avventurarsi in percorsi sconosciuti e privi della giusta credibilità e dell’altrettanto giusto tocco di realismo.

      • Buongiorno, Simone, e benvenuto nel mio blog. Sono perfettamente d’accordo con te. Spesso i luoghi che conosciamo bene ma sono sconosciuti alla maggior parte delle persone danno, come dici tu, un tocco di realismo e magari di novità.

        • Grazie mille per il “benvenuto”. Ho trovato il tuo blog quasi per caso e devo farti i miei complimenti. Avrei una piccola richiesta: posso postare il tuo articolo sul premio Dea Planeta sul mio blog? L’ho trovato molto esaustivo e interessante. Naturalmente ti citerei come autrice del post. Fammi sapere per cortesia, grazie.
          Buona serata.

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