Si può scrivere (e vivere) senza obiettivi?

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    Ho sempre vissuto rendendo ogni più piccolo obiettivo come centrale nella mia vita. E non solo io: la nostra società occidentale è fondata sugli obiettivi, tanto da non riuscire a concepire l’idea di fare qualcosa tanto per farlo.

    Fin da piccoli, è una corsa ad ostacoli. Oggi probabilmente ancora più che ieri.

    Se a un anno non cammini ancora, è giusto e sano fare un salto dallo specialista per capire cosa c’è che non va. Idem se non parli.

    Inizia lì la strada verso l’età adulta, costellata di esami, saggi, gare, prove. Perché non ha senso fare un corso di teatro senza poi organizzare lo spettacolo finale, no?

    Vivere per obiettivi

    Poco più di un anno fa ho iniziato a praticare mindfulness e la pratico tuttora. Ci sono arrivata dopo un lungo percorso alla ricerca dello “stare bene”.

    All’inizio non funzionava affatto. Anzi, mi sembrava controproducente. Mi mettevo lì con tutto il mio impegno e la mia attenzione e aspettavo che capitasse qualcosa. Mi sembrava che dovesse accendersi la famosa lampadina e che da un momento all’altro avrei raggiunto la pace assoluta e la serenità.

    Eppure, pur praticando tutti i giorni, mi sentivo ancora più infastidita, nervosa. E, quindi, pensavo che la colpa fosse mia. Se tutta ‘sta gente medita e ottiene saggezza e pace interiore, e invece io più medito e più di infastidisco, allora il problema sono io.

    Poi un giorno ho capito che meditare non è né una ricetta né una medicina. E soprattutto non è uno strumento per ottenere qualcosa, semmai il fine.

    Non si medita per dormire meglio; non si medita per essere calmi; non si medita per stare bene.

    Gli effetti positivi arrivano solo quando si smette di cercarli e si medita solo per il piacere di meditare. Piacere che non significa solo rose e fiori. Significa essere presenti a sé stessi, essere consapevoli.

    E, a volte, nell’essere consapevoli rientra anche il soffrire di più.

    6 obiettivi per cui scriviamo

    Una volta che ho capito l’essenza della meditazione, mi è venuto spontaneo fare un parallelo con la scrittura.

    Secondo me, non sono poi così tanti gli obiettivi con cui ci mettiamo alla tastiera del computer e iniziamo a scrivere. Dipendono da molte situazioni e l’una non è mai uguale all’altra, certo. Sostanzialmente, però, li possiamo riassumere nei seguenti punti:

    Scrivere per poter vivere di scrittura

    E chi, tra gli aspiranti, non vorrebbe vivere di scrittura? Un hobby che diventa lavoro è un sogno per tutti. Anche se – ma bisognerebbe essere nelle prove per dirlo – quando un hobby diventa un lavoro perde il suo status di hobby e cozza un una serie di incombenze non sempre piacevolissime. Invidia, la mia? No, io già ho fatto della scrittura il mio lavoro. Anche se di un altro tipo di scrittura si tratta.

    Scrivere per dimenticare

    C’è chi per dimenticare si dà all’alcol e chi, invece, scrive. Almeno scrivere è più salutare.

    Scrivere per raccontare sé stessi

    Leggevo da qualche parte – non ricordo più dove – che la stragrande maggioranza dei romanzi degli esordienti ha una fortissima componente autobiografica. Intendiamoci, scrivere di ciò che si conosce va bene. Lo dice anche il Maestro. Ma se è la nostra vita a diventare un romanzo, a meno che siamo agenti sottocopertura della CIA, forse abbiamo sbagliato qualcosa.

    Scrivere per riscattarsi

    Be’ questa è una trama già vista. L’aspirante scrittore incompreso sul lavoro, dalla famiglia, dalla fidanzata che pubblica con una grande casa editrice e si riscatta da tutte le sue delusioni. Ma, appunto. È una trama già vista.

    Scrivere per avere un riconoscimento sociale

    Questa è una declinazione del punto precedente. In un mondo che sembra capire solo il successo, avere successo è la chiave per essere apprezzati dagli altri e per trasformare la propria vita. Anche se forse l’unico riconoscimento di cui dovrebbe importarci è il nostro.

    Scrivere per pubblicare

    L’ho lasciato come ultimo punto perché questa è l’apoteosi. Pubblicare. Con una grande casa editrice. Ma anche media o, forse, piccola. A pagamento, no. Al limite, in self. Perché vedere il nostro nome su un libro che sta sullo scaffale di una libreria riassume tutti gli obiettivi dello scrivere. Almeno in apparenza.

    Io credo che, poco o tanto, tutti ricadiamo in questi punti. Che di per sé non hanno niente di negativo. Tuttavia spesso questi obiettivi, anziché essere fonte di piacere, diventano fonte di frustrazione.

    Ecco perché mi sono chiesta come sarebbe invece scrivere senza obiettivi. Fare come faccio con la meditazione: liberare la mente e non aspettarsi nulla. Non continuare a cercare un senso né che all’improvviso si accenda la lampadina. O che mi telefoni una casa editrice.

    Scrivere senza obiettivi e per il semplice e puro piacere di scrivere, forse potrebbe essere la chiave.

    Lasciare scorrere la scrittura. Come l’acqua del mare, che va e viene senza motivo, senza obiettivo e, nel suo lento fluire, racchiude il senso stesso della vita.

    Voi, che ne pensate?

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    29 Comments

    • Ho tentato a lungo di scrivere senza obiettivi ma non funziona un granchè, a meno di essere fortemente ma proprio follemente ispirata da una storia cosa che a quei livelli mi è capitato solo con 2 romanzi: Figlia dei fiordi e l’attuale con il quale sto partecipando al celebre concorsone DeA. Allora lì sì, niente obiettivi se non quello di tirare fuori al meglio una storia che mi si era palesata come se avessi spalancato la finestra su essa. Bellissima sensazione, ma rara, molto rara. Per il resto è tutto un rincorrere obiettivi, alzare l’asticella, in quel corredo di scocciature che la scrittura porta con sè. Un bacio

      • Io credo che eliminare del tutto gli obiettivi sarebbe impossibile, a meno di essere un pazzo o un asceta. E non so nemmeno se lo vorrei, ecco. Quello su cui rifletto, però, è quello che tu chiami “il corredo di scocciature che la scrittura porta con sé”. Perché, secondo me, se queste finiscono per annullare il piacere di scrivere, allora non so se ne vale davvero la pena. Non di scrivere, quello sempre, ma di scrivere con tutta l’attenzione tesa a un obiettivo.

    • Bellissimo articolo! Okay, con me giochi in casa, ma sarebbe difficile non trovare della verità nelle tue parole. Anch’io ho lottato e lotto tuttora con gli obiettivi relativi alla scrittura, un mix di tutti quelli che hai citato, escluso forse lo status sociale. Diventare più consapevoli significa viverli con un certo distacco, ma farli sparire è molto difficile. Il Buddha diceva che c’è una fase in cui uccidi i germogli di quello che ti fa soffrire, ma i semi restano, e tornano a germogliare. La fase successiva è quella dell’eliminazione dei semi, ma mi pare di avere capito che non sia semplice arrivarci… 😉 Di sicuro mi sento molto meglio che in passato. In questo periodo scrivo tranquilla, senza tormenti. Spero che duri. 🙂

      • Grazie, cara. Sapevo che con te avrei sfondato una porta aperta. E dici molto bene: essere consapevoli vuol dire vedere, accettare e vivere con distacco. È quel distacco che fa la differenza perché, poi, dal lato pratico non cambia molto. Anche se fare lo scatto mentale è un percorso lungo e, come dici tu, non sempre duraturo. Forse accettare i germogli di ciò che ci fa soffrire è il modo migliore per non farli fiorire. 🙂

    • Io penso che si viva sempre con piccoli o grandi obiettivi, anche quando crediamo di non averne. Ma capisco bene cosa vuoi dire, soprattutto rapportato alla scrittura. Anche io cerco di viverla nel modo più leggero possibile, godendomi il viaggio più che la meta. Arrivata al quarto libro, questa esigenza le sento molto più che in passato. Soprattutto l’ultimo obiettivo mi sembra lontano dal mio modo di vedere le cose. Scrivo perché mi piace raccontare storie, immedesimarmi nei personaggi. L’unico obiettivo al limite è quello di trasmettere emozioni al lettore.

      • Sono d’accordo: i piccoli e grandi obiettivi sono ciò che ci spinge ad andare avanti e, come dicevo a Sandra, a meno di voler essere un asceta, non possiamo eliminarli, né sarebbe utile farlo. Il problema è quando puntare costantemente lo sguardo sull’obiettivo ci distoglie da ciò che stiamo facendo al punto di non farci gustare più quello che stiamo vivendo. E — temo – nella società occidentale ciò succede in modo sempre più accentuato.

    • Sono senza parole. Ieri sera ho scritto due bozze di articoli sulla meditazione e su come aiuti la scrittura. Il taglio è diverso da questo articolo, molto interessante peraltro. Resta il fatto che la coincidenza è proprio strana…

      • Eh, eh. Ultimamente abbiamo parecchio in comune, cara. E mi fa molto piacere. Le affinità si affinano anche via web. 😉

    • Giulia Mancini

      Leggendo il tuo post ho capito che io scrivo soprattutto per dimenticare come prima cosa e poi scrivo perché sogno di vivere di scrittura, ma se potessi vivere di scrittura forse non mi servirebbe più scrivere per dimenticare. Comunque é bello scrivere senza obiettivi, qualche volta l’ho fatto, avevo qualcosa dentro e ho scritto per il solo piacere di scrivere la storia, poi però quella storia una volta scritta volevo anche condividerla e quindi farla leggere…

      • Io penso che sia assolutamente naturale, una volta scritto qualcosa, aver voglia di condividerla. È una conseguenza logica, che non va in nessun modo eliminata. Come rispondevo già ad altri, secondo me il problema nasce quando l’attenzione è esclusivamente rivolta agli obiettivi e ci fa perdere il gusto di ciò che stiamo facendo. È come se, facendo una passeggiata, tenessimo sempre lo sguardo rivolto alla meta e non ci accorgessimo di ciò che ci sta attorno. Magari arriveremo prima alla meta, ma è come se tutto quel percorso non l’avessimo vissuto davvero perché, nel frattempo. ci siamo persi il cielo, i fiori, gli animali, il paesaggio. Allora in quel caso mi chiedo: ma perché l’abbiamo fatta ‘sta passeggiata? Solo per faticare?

    • Marco Amato

      Esistono obiettivi inderogabili, come far trovare da mangiare ogni mese ai propri figli. Obiettivi doveri, come obiettivi piaceri. Obiettivi transitori oppure obiettivi permanenti. La vita è strana, toglie e dà e noi siamo lì in mezzo a districarci nella selva.
      Fra gli obiettivi della scrittura che hai citato non trovo il mio. Qualcuno conoscendomi direbbe il primo, vivere di scrittura, ma quello è un obiettivo conseguenza, non il primario.
      Io scrivo perché sono nato per questo. Sin da quando ero giovane le storie mi cercano o trovo io le storie. I miei parenti stretti si ricordano di quando ragazzo vivevo in simbiosi con un taccuino nella tasca di dietro dei pantaloni. Ancora oggi mi ritrovo migliaia di fogliettini ricolmi di storie.
      E questo patrimonio stratificato negli anni mi ha donato almeno 30 romanzi da scrivere. Decine di racconti. Mezza dozzina di sceneggiature. E anche una serie televisiva. Decine di personaggi, generi diversi: poliziesco, distopico, mainstream, commedie sentimentali, thriller, fantascienza, storico.
      Potrei scrivere da qui alla mia fine senza fermarmi mai. E io sento questo scopo dentro di me. Dare vita a questi personaggi e queste storie che come un vento soffiano sui miei pori.
      Sono reduce di un romanzo molto impegnativo. L’ho dovuto progettare in due mesi, in macchina, dettando duecentomila caratteri di appunti al riconoscimento vocale del cellulare, mentre guidavo. In un mese l’ho scritto, quello dopo l’ho editato. In due mesi con sessioni di scrittura di anche otto, dieci ore al giorno, ho battuto più di due milioni di volte i tasti. Eppure questa impresa non mi ha pesato per nulla. Ero felice in quei giorni, travolto da un fervore creativo mai provato prima.
      Questa è la vita che vorrei, la possibilità di poter esprimere me stesso e dare vita al non ordinario che è la scrittura. E invece, purtroppo, anziché dedicarmi a ciò che sento mio, devo lavorare per pagare bollette e altre idiozie materiali.
      Per questo, il mio impegno massimo, si concretizza nell’obiettivo di poter vivere scrivendo le mie storie.
      Riuscirci è molto più difficile di quel che molti pensano, ma più semplice di quel che molti riescono a immaginare. E non c’è contraddizione in questa proposizione. Semplicemente non esiste la speranza: mi piacerebbe poter vivere di scrittura, come se fosse una concessione del cielo benevolo. Poter vivere di scrittura è un obiettivo concreto fatto di calcoli, step, cose da imparare, posizioni da assurgere, come non svendere il proprio scritto al primo che capita.
      Scrivere ciò che amo, è questo il mio orizzonte, il resto, è solo necessità.

      • Sono d’accordo con te. La vita ci obbliga ad avere obiettivi ed è il nostro stesso essere umani che ce lo richiede. È anche il bello della vita, per certi versi.
        Ma quello che intendo io è una sfumatura di pensiero leggermente diversa, che non cambia nulla all’atto pratico.
        Per come la intendo io, scrivere senza obiettivi non vuol dire non metterci l’anima o non avere interesse per tutto quello che può comportare la scrittura stessa. È più che altro un processo di consapevolezza, accettazione e distacco.
        Spesso celiamo i nostri veri obiettivi dietro qualcos’altro. Tutti scriviamo per passione, tutti scriviamo perché fin da piccoli coltivavamo questo sogno. Ma poi, se ci fermiamo un attimo a pensare, scopriamo che dietro questo sogno si cela altro: voglia di riscatto, voglia di successo, bisogno di guadagnare etc. etc.
        E non è una colpa, attenzione, e non voglio dire che lo sia, ci mancherebbe.
        Il punto è che spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto e ci angustiamo in una battaglia contro noi stessi che ci porta più frustrazione che altro, continuando ad alimentare voglia di riscatto in una specie di circolo vizioso.
        Nel momento in cui, invece, siamo consapevoli, nel momento in cui non dimentichiamo di avere una meta, ma invece di cercare di raggiungerla a testa bassa, ci godiamo anche il paesaggio, allora la prospettiva cambia e riusciamo ad avere un certo distacco che ci fa vivere in pace. E probabilmente ci aiuta a raggiungere anche meglio i nostri obiettivi.

        • Marco Amato

          Io posso dirti in piena sincerità che dell’editore non m’importa. Se non mi conviene, rifiuto chiunque. Della fama non m’importa. Mi sono scelto un altro nome. Della ricchezza non m’importa, voler diventare ricchi scrivendo libri è pazzia, ma a conti fatti non ho esigenze di ville, Ferrari o lussi.
          Ormai sono un uomo strutturato. So cos’è la vita, non mi frega niente di morire, non ho problemi di religione, dubbi esistenziali.
          So semplicemente che la vita è qui e ora e vorrei spendere i giorni che mi restano in ciò che mi fa felice, scrivere le mie storie.

          • Ma infatti a me sembra che tu abbia il giusto distacco, che permette di mettere al centro la scrittura delle proprie storie prima di tutto il resto. 😉

    • Credo che scrivere senza obiettivi sia esso stesso un obiettivo. Negli anni, ho rincorso più o meno tutte le finalità della scrittura: ho scritto per me stessa, per liberarmi di un peso, per sfogarmi, per pubblicare e ottenere un riconoscimento pubblico, per raccontarmi. Adesso, sarà che il tempo mi ha dato una nuova consapevolezza e la maturità mi ha allontanato da diversi obiettivi (avvicinandomi d altri, per inteso), ma vivo la scrittura come qualcosa che c’è e mi fa stare bene e quando non c’è non mi fa stare male, in pratica la vivo per come viene, senza attese, aspettative, turbamenti. Forse ho contribuito a farla diventare così o forse è stato un processo naturale, però adesso la mia scrittura è esattamente quella di cui parli: priva di obiettivi.

      • Se scrivere senza obiettivi diventa un obiettivo, allora probabilmente no, non funziona. Un po’ come facevo io con la meditazione, che cercavo a tutti i costi di stare meglio e, invece, stavo peggio. Non che adesso ci riesca sempre, non è uno status che si raggiunge non si perde più. Anzi, è un equilibrio da recuperare tutti i giorni.
        Forse scrivere senza obiettivi vuol dire imparare a dire a sé stessi: sai che c’è? che ho voglia di scrivere e adesso scrivo e tutto quello che verrà dopo lo accetto, bello o brutto che sia.
        Del resto, se ci pensi, la maggior parte degli hobby sono così. Si ricama per ricamare, si legge per leggere, si cucina per cucinare, si pesca per pescare. Perché noi aspiranti scrittori ci mettiamo dentro così tante altre cose?

    • Scrivere solo per scrivere sa di vuoto, con un obiettivo centra meglio il bersaglio, qualunque esso sia. Si scrive per raccontare una storia sperando allieti o faccia riflettere, ma soprattutto perché in quel frangente ci si stacca dal mondo e si é una cosa sola con la propria passione. Per lo meno per me è così.

      • Perché dici che scrivere per scrivere sa di vuoto? Secondo me scrivere per scrivere è proprio quello staccarsi dal mondo che permette di essere una cosa sola con la propria passione.

        • Sono d’accordo. Ma se poi ti esce il pezzo del secolo, non ti vien voglia di diffonderlo? Non solo per vanità: anche perché senti che ha un valore che potrebbe dare qualcosa a chi legge. Anzi, direi che il fine è proprio questo. E anzi (doppio “anzi”): nel momento in cui hai scritto qualcosa di davvero valido (con sana autocritica), nessuno ti obbliga a renderlo pubblico, e il mondo se la caverà benissimo anche senza. Tuttavia qualsiasi scoperta felice, merita condivisione: e certe scritture, anche se nostre, sanno sorprenderci.

          • Come dicevo, è normale che poi nascano delle altre dinamiche e altri desideri anche legati alla scrittura. Saremmo ipocriti se lo negassimo. Io parlo più che altro della molla iniziale che spinge a scrivere, ecco.

    • Calogero

      Breve e scarno: scrivere per il piacere di farlo.
      E se poi si dovesse essere abbastanza bravi e fortunati da ottenere che si traduca in scrivere per vivere, ben venga. A chi dispiacerebbe mettere fieno in cascina e comprarsi un eremo dove vivere e scrivere lontano dal caos urbano…

      • Infatti! Sono convinta che non dispiacerebbe a nessuno, almeno non a me! 😉

    • Scrittura e vita sono spesso metafore reciproche: si somigliano. Liberarsi dal “fine ad ogni costo” come ben dici è una capacità che, se trovata in una, arriva anche nell’altra. Io non ne sono capace. Mai. Oppure sempre. Scrivere è dare forma e contenimento a quello che la vita ha lasciato sospeso: c’è una forma di controllo, ma mi piace di più pensarla di potere. La scrittura non è un rifugio: non mi ci nascondo aspettando che passi la tormenta. E’ piuttosto un laboratorio: mentre culla, rianima. Forse: è una madre. Quando non mi riesce e ne sento il bisogno, mi dispiace che mi lasci tanto spazio, vorrei tornasse a serrarmi a lei. Da tutto questo puoi intuire che quindi la scrittura sia per me valida di suo già al di là di tutto. Vero: non scrivo mai pensando al fine. Ma alla fine del pezzo che ho scritto, quasi sempre cerco di arrivare a qualcuno.

      • Io penso che poi sia anche abbastanza naturale che in un secondo momento arrivi il desiderio di far leggere agli altri ciò che si è scritto e che si instaurino una serie di meccanismi successivi, come la ricerca della casa editrice piuttosto che l’autopubblicazione etc. Ci mancherebbe, fa parte della natura umana, forse solo un asceta potrebbe prescindere dal mondo.
        Quello su cui però mi piace riflettere è proprio sulla molla iniziale. Amo la scrittura perché ne ho bisogno oppure ne ho bisogno perché la amo? Questa è un po’ l’amletica domanda. Ma, come ben dici tu, vale lo stesso per tutte le altre cose della vita. Ho bisogno di una persona perché la amo o la amo perché ne ho bisogno?
        Sfumature che cambiano, però, l’essenza delle cose.

    • Scrivere senza obiettivi è scrivere per sistemi. E qual è la differenza tra obiettivi e sistemi? Ne avevo scritto tempo fa. 😉 Se non si raggiunge l’obiettivo, è facile cadere preda della frustrazione e della negatività, mentre lavorare per sistemi (di qualsiasi cosa si tratti, non solo scrittura), ci consente di avere un progresso continuo che va di pari passo con una soddisfazione costante.
      Perciò non ho un obiettivo della scrittura. Scrivo perché mi piace, mi diverte, perché mi fa, di riflesso, imparare cose nuove e tenere la mente attiva. Ma non ho nessuno dei sei obiettivi citati. Anche perché sul tema “quando un hobby diventa un lavoro perde il suo status di hobby” ne ho le prove.
      Mi piacevano i computer un tempo… :/
      Poteva andare pure peggio. Pensa se aprivo una libreria!!!

      • Eh, tu lo sai bene come certe passioni trasformate in lavoro diventino faticose, se non pericolose. Mi ricordo del tuo post. Mi sa che vado a rileggerlo. 😉

    • Credo che ogni scrittore abbia almeno un lettore assicurato: sé stesso.
      Qualsiasi cosa si decida di scrivere, questa verrà inesorabilmente riletta almeno da chi scrive.
      Non parlo delle mille riletture che si fanno prima di mettere la parola “fine” a una propria storia.
      Parlo di quelle pagine che magari vengono rilette dopo, magari a distanza di anni. Anche le più frivole, tipo la pagina di un diario, gli appunti di quando si andava a scuola, un promemoria segnato da qualche parte.

      Quindi credo che un obiettivo inconscio ci sia sempre: quello di scrivere almeno per sé stessi.
      Dei 6 obiettivi che citi, ecco, ce n’è uno che mi è totalmente estraneo: scrivere per dimenticare. Se certe cose ci segnano in modo indelebile, scrivere per dimenticarle mi sembra un controsenso, perché la scrittura in un certo senso aiuta a perpetuare le emozioni.

      • Con scrivere per dimenticare intendo quella situazione in cui ci si tuffa nella scrittura dimenticandosi del mondo circostante. Che è un effetto collaterale piacevolissimo quando si scrive per pura passione, ma se diventa l’obiettivo principale diventa molto difficile da perseguire. Un po’ come quando uno si ripete “non voglio pensarci, non voglio pensarci” e più lo ripete, più lo richiama alla memoria.

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

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