Come scrivere un racconto in dieci mosse

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    Che sia io a dire come scrivere un racconto potrebbe sembrare paradossale. E in effetti lo è.

    Tuttavia devo ammettere che negli ultimi mesi i racconti hanno occupato la mia attività di aspirante scrittrice più che la stesura del mio nuovo romanzo, arenato dall’inizio dell’estate.

    Ho letto molti racconti e ho letto molto su come scrivere racconti, in questo modo mi sono fatta una specie di prontuario che mi guida ogni volta che mi accingo a scrivere qualcosa di nuovo.

    1. la scintilla

    L’idea è lo spunto di partenza: non è detto che sia già una storia o che abbia un significato. Può essere un’immagine, un gesto, una specie di quadro. Ma è sempre una scintilla l’origine del fuoco.

    La scintilla, nella narrativa, arriva da sola. Non è necessario cercarla: semmai è necessario porsi nella predisposizione mentale per accoglierla e farla crescere non appena la si vede.

    Giulio Mozzi sostiene di non mettersi a scrivere subito. Se l’idea è buona sopravviverà al tempo, altrimenti se ne andrà da sola.

    2. la storia

    Ormai mi sono fatta l’idea che non siamo noi a creare la storia. Noi siamo solo la penna che trasporta sulla carta una storia già scritta. Anche qui l’atteggiamento migliore è quello di mettersi in ascolto e lasciare che la storia esca da sé, guidandola attraverso domande leggere che non contengono una risposta preconfezionata.

    Se la storia riesce a stupire anche noi stessi, allora certamente stupirà il lettore (ma questo credo di averlo imparato da Marco Freccero, quindi non mi attribuisco la maternità dell’affermazione).

    3.personaggi

    Anche i personaggi, come la storia, devono nascere liberi. E questo l’ho imparato da Sandra Faé. Nessun burattino, nessuna corda da tirare. Dargli voce, questo sì. E interrogarli, conoscere anche il loro gusto preferito di gelato. Sebbene magari in un racconto ambientato a dicembre non sembri utile. Invece, in fondo, è utile lo stesso.

    4. l’incipit

    L’incipit, lo sappiamo tutti, è fondamentale. Tanto più in un racconto dove in poche righe ti giochi tutto. Se catturi il lettore, bene, altrimenti gli avrai reso un pessimo servizio.

    Da Salvatore Anfuso ho imparato che un incipit non dovrebbe contenere indicazioni climatiche (tipo: era un bel giorno di sole…) né luoghi comuni (tipo: lo sanno tutti che il buongiorno si vede dal mattino).

    A seconda del genere, poi, ci possono essere indicazioni particolari, però mettere subito il lettore di fronte ad un ostacolo o, in qualche modo, anticiparne l’entrata in scena può essere un ottimo modo per incominciare.

    5.l’incidente scatenante

    Perché una storia abbia senso, ci deve essere una difficoltà da risolvere. Se nel romanzo è più evidente (Renzo e Lucia a cui viene impedito di sposarsi, per esempio), anche il racconto deve contenere una specie di inciampo una difficoltà da superare.

    Non sempre nel racconto viene mostrata in modo evidente, a volte può essere nascosta tra le righe, ma deve comunque essere funzionale a far crescere il personaggio e a restituircelo diverso alla fine del racconto.

    6. l’antagonista

    Nel romanzo la presenza di un personaggio che fa da contraltare al protagonista è piuttosto evidente. Anche in questo caso, come per l’incidente scatenante, l’antagonista potrebbe essere celato nella narrazione.

    Potrebbe essere persino un animale, un oggetto. Tuttavia la sua presenza contribuisce a bilanciare il racconto e a costruire una storia credibile.

    7. fatti piuttosto che considerazioni

    Per quanto mi riguarda ho capito che il mio racconto prende un buon ritmo se si concentra su quello che accade. Del resto perché sia una storia necessita di avvenimenti concatenati l’uno dopo l’altro.

    Alla fine credo che più siamo semplici e lineari nella nostra esposizione, più il nostro racconto ne trae giovamento.

    Il show don’t tell in linea di massima si basa proprio su questo.

    8. I DIALOGHI

    Nel momento in cui decidiamo di utilizzare dei dialoghi, dobbiamo appurare che siano strumentali allo svolgimento del racconto. Proprio perché il racconto ci offre uno spazio limitato per esprimerci, non possiamo sprecare tempo e spazio in dialoghi inutili.

    Personalmente ho iniziato utilizzare un metodo preciso: terminato un racconto tolgo tutti i dialoghi e lo rileggo. Se il racconto sta in piedi anche senza dialoghi o perlomeno non perde un granché, vuol dire che non sono ben architettati e vanno riscritti completamente oppure vanno eliminate altre parti ridondanti che tolgono efficacia il dialogo stesso.

    Poi, in una seconda revisione, leggo solo i dialoghi. Se permettono di comprendere almeno una buona parte della storia, allora sono efficaci, altrimenti sono da rivedere.

    9. Lo stile e il linguaggio

    Come in tutti i testi, è necessario adeguare il linguaggio e lo stile al genere che stiamo affrontando. Ma non solo: anche lo spirito, il messaggio e/o l’ambientazione che scegliamo hanno bisogno di essere costruite attraverso la scelta delle parole e dei modi con cui proporle. Tanto più in un racconto dove è necessario entrare subito nell’atmosfera di ciò che vogliamo narrare.

    10. il finale

    A me nel racconto piace molto il finale a sorpresa. La chicca che tiene sulla corda il lettore fino a stupirlo. Certo, come tutte le tecniche, non deve essere forzata e non deve suonare ridondante.

    La sorpresa a tutti i costi non ha senso. Ma, tanto per ribadire il concetto di Marco, se noi stessi ci stupiremo del finale mentre lo scriviamo, il lettore non potrà che sorprendersi. E molto probabilmente avremo ottenuto l’effetto voluto.

     

    E voi, che mosse fate per scrivere il vostro racconto?

    *****************************************

    Una postilla: Dagli autori citati e da molti altri, ho imparato tante altre cose fondamentali. Quindi grazie a tutti quelli che mi sono stati e continuano ad essermi maestri.

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    39 Comments

    • Tiziana

      Che bell’argomento stamattina. Sei presa, è certo. Il racconto è una forma scritta che si ti prende, non è facile staccarsene. Ben venga. Ci si fossilizza sullo scrivere romanzi, quando in realtà ci sono altri modi in scrittura. Spaziare rende questa visione più ampia.
      Pensa non solo al racconto, ma anche alle poesie, articoli, aforismi, saggi… eccetera.
      A volte si scopre un mondo nello sperimentare.
      A me hai dato l’impressione che dal “mondo”dei racconti ti sei aperta e ci stai bene.
      Questo si denota dai tuoi scritti che sono un piacere alla lettura.
      Se una cosa piace farla, automaticamente verrà bene.
      Continua, te lo ripeterò allo sfinimento.
      Da grandi scoperte, possono nascere nuove strade da intraprendere.

      • Grazie Tiziana. Il tuo incitamento sicuramente è uno stimolo in più a scrivere e a cercare di scrivere bene. 😉

        • Tiziana

          L’incitamento serve un po’ a tutti. Ci alterniamo a turno e fa piacere.
          Direi che nel tuo caso incitarti è facile, sei molto brava.
          Quando lo capirai e ammettere, non avrai più bisogno che te lo dica. 😉

          • Tiziana

            Ammetterai *

    • … a meno che le condizioni climatiche non siano strettamente connesse con il tema del racconto. Bell’articolo, Silvia. Grazie per la citazione.

      • Ah meno male, che sollievo! Cioè: ho iniziato con una giornata di sole, ma mi serviva il contrasto con le lucine tremolanti del cimitero. Che faccio, lascio signò? 🙂

      • In “era una notte buia e tempestosa” ci sta sempre, no? 😛

        • ..soprattutto se poi Schulz ne fa un tormentone! 😉

      • …ovviamente! Grazie a te, Salvatore. 😉

    • Grazie a te per questo post e per l’ennesima citazione, la faccenda del gusto del gelato non è mia, ma di Fabio Genovesi, un vero maestro per me.
      Trovo molto di buon senso il percorso che racconti, aggiungo che nella testa per scrivere un racconto e un romanzo deve scattare tutto un processo diverso.

      • Sì, ricordavo che anche la tua era una citazione, ma io l’ho comunque appresa da te e dalla tua elaborazione di essa! 😉
        Sì, inizio proprio in questa fase a sperimentare la grossa differenza tra romanzo e racconto. E mi viene sempre in mente (non so se a proposito) la differenza che c’è tra il centometrista e il maratoneta, sebbene sempre di corsa si tratti.

    • Aggiungerei un 1.bis, un punto che vorrei tanto rispettare ma… Prima di iniziare a pensare alla storia o ai personaggi mi chiedo cosa voglio lasciare al lettore alla fine della lettura, cosa gli voglio comunicare, non necessariamente un messaggio, una sensazione, un’emozione, un’idea…

      Personalmente invertirei 2. e 3. Io sono della scuola per cui è il personaggio a fare la storia e non viceversa.

      Mi piace molto il tuo suggerimento sui dialoghi, da provare 🙂

      P.S. ormai sto da così tanto in Germania che usa la notazione tedesca per gli ordinali 😀

      • Sull’1.bis, sì e no. Nel senso che anche in quel caso, a volta, la morale o/e il messaggio li scopro dopo o durante. Certo, è importante che ci siano.

        Sull’inversione del 2 con il 3 sono sostanzialmente d’accordo. Credo di aver imparato proprio ultimamente che sono i personaggi a sorreggere la storia e non viceversa. 🙂

    • Darius Tred

      Fatico molto ad adeguarmi a questi schemi. Non saprei dirne il motivo. Per fare un esempio pratico, ho appena scritto ora un racconto e riguardando le dieci mosse, se penso al mio racconto, credo di aver avuto solo la SCINTILLA, una bozza di STORIA (diciamo pure storiella, vista la brevità), un paio di PERSONAGGI, tanto DIALOGO e FINALE (pure “sospeso”).

      Il resto l’ho saltato tutto… 😛

      • Il finale sospeso mi piace molto. In fondo è una specie di sorpresa.
        Per quanto riguarda gli schemi, sì, sono solo schemi. Lasciano il tempo che trovano. Però nella mia fase di aspirante ne traggo un’utile guida.
        Ma certo, è molto soggettivo. 🙂

    • Grazie della citazione. Non aggiungo altro perché parlo già troppo dei racconti. E poi, perché parlarne? Scriveteli (ma prima leggeteli) 😉

      • Grazie a te, Marco. Ottima osservazione. Leggiamo e scriviamo, prima di tutto! 🙂

    • Io non seguo un processo così schematico per i miei racconti. Però è vero che quando scrivo un racconto curo quasi tutti i punti che elenchi – nove su dieci, diciamo 😀 . Parto anche io da una scintilla e poi pian piano il resto vien da sé, nella pianificazioni, nella prima stesura o nella revisione successiva 🙂 .

      L’unica cosa che manca abbastanza spesso nei miei racconti è l’antagonista. Le mie storie si dividono tra quelle in cui l’antagonista non è molto importante e quelli in cui è addirittura assente – mentre in molte poche conta parecchio. Mi sono accorto infatti che spesso i problemi per i miei personaggi più che da una persona derivano dall’ambiente, o ancor più spesso da sé stessi. Di solito i miei personaggi sono antagonisti di sé stessi, devono lottare contro i propri difetti – spesso senza riuscirci, il che porta la loro vita a cambiare in peggio.

      Forse sbaglio, forse così i miei racconti perdono di effetto. Come dici tu però ognuno deve essere soddisfatto per primo delle proprie storie, prima di poter piacere agli altri, e io lo sono anche quando non c’è un antagonista 🙂 .

      • Io non credo che si tratti di errori, più che altro di inclinazioni.
        Personalmente la figura dell’antagonista (da quando ho cominciato a prendere in considerazione coscientemente) mi ha risolto un sacco di problemi, per questo ne tengo conto e cerco di utilizzarla sempre nei miei racconti. Del resto è una mia necessità. Per qualcun’altro, magari proprio perché più bravo di me, può non essere così.
        Poi, come sempre, gli schemi sono troppo riduttivi, sono solo una guida. 🙂

    • isabella

      Grazie Silvia!
      Tovo questi dieci punti preziosi. Li stampo e li terrò davanti al computer, come promemoria. Passa in rassegna dei punti molto interessanti, come il dialogo.

      • Grazie a te, Isabella. Che onore! 🙂

    • nadia

      Da lettore creativo a scuola creativa per scrittori vaganti. Eccoti in splendida forma in un post che meglio non potrebbe racchiudere il notevole passo avanti che continui a fare. Che sei brava te l’ho già detto?

      • Grazie, Nadia. No, no, che scuola creativa, scherzi?
        Diciamo che questo è il mio promemoria e mi fa piacere condividerlo con voi. Ma da lì a insegnare qualcosa a qualcuno ce ne passa. 😉

    • Input, incipit, dialoghi e finale , per me, sono i punti più importanti, però è certo che puoi avere il guizzo iniziale ma devi saper costruire una buona storia e una storia è buona se lo sono i personaggi e quello che fanno. Con i dialoghi mi inceppo sempre, ma sto imparando a renderli efficaci e funzionali alla narrazione. Il finale con colpo di scena è l’obiettivo che mi prefiggo: lasciare il lettore con l’espressione sorpresa e sospesa è la reazione che quasi sempre vorrei ottenere.

      • Anche per me i dialoghi sono sempre stati molto ostici.
        Ho studiato molto quest’anno proprio in quest’ottica. Devo dire che i due piccoli suggerimenti di cui ho parlato nel post mi hanno aiutata tanto.
        Del resto i dialoghi ben scritti sono davvero un gran piacere per il lettore. 🙂

    • Tiziana

      Io non penso molto per punti quando scrivo. Sto affinando un po’ nel dare un’impostazione, ma poi è tutto molto istintivo. La vedo un po’ come Darius. Forse perché sennò scriverei sempre uguale, invece stravolgere l’ordine delle cose rende più spontanea la storia. Schematizzare non mi piace, credo perché ho già in testa tutto e non seguo nulla, tranne il flusso dei pensieri. Avrò una mente contorta, forse non ho ancora la testa professionale nel catalogare, schedati e via dicendo.
      Ti faccio l’esempio dell’attore. Devi studiare il copione e attinerti ad esso. Molto professionale. Diciamo che posso ancora permettermi il lusso di non studiarmi il copione parola per parola, ma improvvisare qua e là. Ho l’animo della spalla a teatro. Adoro l’improvvisazione teatrale, se vuoi,paragonabile con ciò che scrivo, senza pensar troppo se il conflitto è una riga dopo.

      • Secondo me si schematizza inizialmente per poi abbandonare gli schemi.
        Però è un percorso soggettivo, non è detto che sia necessario per tutti, né utile.
        Io quando ho iniziato a fare attenzione a certi particolari mi sono sentita più libera, proprio perché più padrona e consapevole di ciò che stavo scrivendo.
        Ma, come dico, non è detto che sia così per tutti. 🙂

    • Helgaldo

      Mi tocca sempre fare la parte di quello che non è d’accordo, e non mi piace. Ma i tuoi dieci motivi vanno bene anche per il romanzo, sono identici. C’è qualcosa che non va, non credi?
      Tocca fare un altro post di approfondimento… Se uno mette personaggi, dialogo, incidente scatenante, antagonista, diavolo!, sei già sulle cento pagine. Con incipit e finale, 101. Allora è un romanzo, magari breve, ma romanzo.

      • Grilloz

        Visto che hai istillato il dubbio ho provato a fare un esercizio e ho preso un racconto molto breve (mezza paginetta) e ho verificato l’aderenza ai punti:
        1) La scintilla, beh, questo dovremmo chiederlo a Brown, ma l’idea c’è, senz’altro, e molto forte.
        2) La storia c’è, ovviamente, breve sì, ma c’è
        3) I personaggi, sì, più che altro il protagonista e personaggi, diciamo così, di sfondo, ma del protagonista c’è anche una discreta rappresentazione psicologica
        4) L’incipit, beh, quello ci sarebbe anche non volendo, qualcosa bisogna scrivere, no? Ma in questo caso siamo di fronte a un grande incipit, di quelli che si ricordano, di quelli che ti buttano subito dentro la storia.
        5) L’incidente scatenante, urca, scatenantissimo, anzi, potrei dire che c’è un incidente scatenante su due livelli, uno più globale e uno più personale.
        6) L’antagonista, c’è, c’è, e come per l’incidente anche l’antagonista funziona su due livelli.
        7) Fatti piuttosto che considerazioni, praticamente le considerazioni sono assenti, lasciate al lettore, come è giusto che sia.
        8) Dialoghi, ecco, i dialoghi mancano del tutto (è in fondo è uno dei motivi che ha portato all’incidente scatenante 😀 ) però in un altro racconto dello stesso autore, leggermente più lungo, ci sono anche i dialoghi 😉
        9) Stile e linguaggio, sicuramente caratteristici dell’autore, per chi lo conosce e del genere 😉
        10) Il finale, qui c’è poco da dire, uno dei migliori finali mai scritti, secondo me.
        E il tutto in poco più di 300 parole

        Per chi non l’avesse intuito il racconto è questo 😉

      • Io sono dell’idea che gli elementi siano gli stessi, hai ragione. La differenza è che nel racconto non sono e non devono essere altrettanto evidenti, ma non è detto che non ci siano, anzi.
        Inoltre nel romanzo c’è un altro modo di gestirli, cosa che permette di scrivere in modo più ampio e diffuso.
        Se leggi il racconto che ho pubblicato qualche giorno fa, credo che ci siano tutti questi elementi. Eppure sono due paginette.
        La domanda è: si potrebbe trarre un romanzo da quel racconto? Forse sì, ma certamente andrebbe strutturato diversamente. L’incidente scatenante, la storia e il finale dovrebbero essere diversi, direi più “corposi”, ma il racconto in sé è un’istantanea che racchiude in parte il senso del romanzo che se ne potrebbe trarre.

    • Nemmeno io sono del tutto convinta che ci sia tutto questo materiale in un racconto. Sta bene per la scintilla e la storia che poi va formandosi mentalmente, che sia perchè studiamo i personaggi e li vediamo in un dato momento o perchè dalla scintilla cerchiamo una risposta con una trama. Ma non è detto per esempio che ci sia un incidente scatenante (magari è un soliloquio di fatti già accaduti), o un antagonista (potrebbe essere un emozione ostile al protagonista, non un personaggio fisico) e nemmeno i dialoghi (lasciate parlare gli occhi?).
      Per me un racconto è una palla informe di plastilina che mi cade in testa: ogni volta ha un colore diverso, ogni volta non ha la stessa durezza e compattezza, arriva già un po’ sagomata, e la devo rimaneggiare un po’ prima di capire che cosa ne salterà fuori. Per esempio ne ho una qui ferma da un anno: ogni tanto la scaldo e la rimodello, si aggiunge una scena, una domanda, un dialogo, possibili risposte, forse un finale. Ma comincio a vederci solo ora qualcosa!

      • Come rispondevo ad Helgaldo, nel racconto non sempre questi elementi sono evidenti. Spesso sono mascherati sotto altro. Come ben dici tu, l’antagonista può essere un’emozione, non necessariamente deve essere un personaggio. L’incidente scatenante può essere una semplice difficoltà, un inciampo, una situazione di crisi. Però senza un ostacolo di qualsiasi genere, è indubbio che il racconto perde mordente.
        Per quanto riguarda i dialoghi, ti do ragione: non sono indispensabili. Il loro utilizzo o meno può essere una scelta stilistica. A me personalmente piacciono molto perché danno varietà alla narrazione e fanno entrare direttamente il lettore nella storia. Però è una questione di scelte personali.

      • …chi si è fregato l’apostrofo?? 😛

    • È sul finale a sorpresa che io un po’ mi perdo, sigh…

    • Alessandra Bianchi

      Le tue! Quasi precisamente uguali 🙂

      • Ciao Alessandra e benvenuta sul mio blog. 🙂
        Mi fa piacere che ti ritrovi sulle mie stesse posizioni. In fondo poi, ne sono consapevole, non ho scoperto niente di nuovo. Però a volte riassumere qualche punto fermo fa bene. 🙂

    • Alessandra Bianchi

      Mah… vedo che il mio blog non esiste 🙁
      Lady Alessandra?

    • Cornetta Maria

      La creatività sfugge a qualunque definizione e il tentativo di circoscriverla nelle regole può soltanto limitarne le potenzialità. E’ la mia personale esperienza. Il talento non s’impara. La buona conoscenza della lingua è sufficiente ad ispirare la “seconda anima” dello scrittore. I miei racconti migliori li ho scritti di getto, di notte e persino l’argomento è nato contestualmente, come se la mano eseguisse ciò che il cuore le dettava.Nel mio caso, la ragione si limita alla supervisione, senza interferire in maniera invasiva.

      • Silvia

        Ciao Maria e benvenuta sul mio blog. Hai ragione: il talento non si impara e la creatività non rientra nelle regole. Tuttavia sono anche dell’idea che delle linee guida in cui incanalare le proprie inclinazioni siano utili a tutti in qualsiasi forma artistica, non trovi? Poi, certo, ci sono i geni che non ne hanno bisogno, ma io di sicuro non faccio parte di quella categoria… 😉

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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