Dubbio n. 17: quali punti di vista offre la terza persona?

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    La settimana scorsa abbiamo parlato di come lavorare sul punto di vista utilizzando la prima persona e, in particolare, abbiamo analizzato il caso di Nick Hornby in Non buttiamoci giù. Abbiamo osservato come in quel caso lo scrittore supera i limiti intrinseci a questa scelta cambiando la voce narrante a ogni capitolo, offrendo così diverse prospettive.

    Oggi vorrei proseguire sul tema del punto di vista cercando di capire come variarlo utilizzando la terza persona.

    La terza persona permette diverse varianti, che chi scrive conosce bene. Tanto per fare un piccolo ripasso, le riassumo brevemente:

    1. Terza persona soggettiva – Il punto di vista è quello soggettivo del personaggio. Permette di mostrare le emozioni o i pensieri del personaggio (o di più personaggi). Permette grande libertà all’autore ma, allo stesso tempo, può generare parecchi errori, soprattutto quando i cambi di punto di vista non vengono gestiti opportunamente.[su_spacer]
    2. Terza persona limitata – E’ il punto di vista di un singolo personaggio e tutte le scene si regolano su di esso.[su_spacer]
    3. Terza persona oggettiva – Racconta la storia da un punto di vista esterno, come se fosse una telecamera esterna. Non vengono rivelate emozioni o pensieri dei personaggi. Garantisce una visione imparziale tanto che il lettore arriva al significato delle azioni senza che vengano suggerite interpretazioni.[su_spacer]
    4. Terza persona onniscente – Da non confondere con la terza persona oggettiva, è la prospettiva secondo cui il narratore sa tutto.  Questo è il tipo di narrazione che permette maggiore libertà, si possono seguire da vicino i personaggi o commentare come un commentatore che sa tutto, si può entrare nella mente di ciascun personaggio o saltare nel tempo, tuttavia proprio la grande libertà concessa può diventare un limite.[su_spacer]
    5. Terza persona profonda – Essa entra in profondità nella psiche di un un personaggio, quasi come se si narrasse in prima persona, dicendo esattamente che cosa quest’ultimo pensa o sente nel suo intimo, senza tuttavia utilizzare verbi come “pensò”, “sentì” che descriverebbero l’azione del pensare o del sentire anziché mostrarla.[su_spacer]

    Qualsiasi metodo si scelga, è innegabile che chi scrive ha un enorme potere, ovvero quello di offrire un punto di vista da cui il lettore non può uscire, se non andando a leggere tra le righe ciò che non viene detto esplicitamente.

    Personalmente, ma non so se sia condivisibile, vorrei che ciò che scrivo potesse avere la maggior apertura possibile ai punti di vista, anziché plasmare la visione del lettore sulla mia.

    E a tal proposito mi chiedo se sia sufficiente l’utilizzo di un punto di vista multiplo (per esempio, la terza persona soggettiva multipla, con cambio di punto di vista ad ogni capitolo, potrebbe essere una versione simile a quella in prima persona affrontata nel post di settimana scorsa, tale cioè da offrire le diverse interpretazioni dei personaggi) oppure se anche questo stratagemma non sia semplicemente un moltiplicatore di punti di vista già preconfezionati dall’autore. Il lettore si troverebbe cioè a poter scegliere tra varie opportunità senza però poterne avere una personale.

    Forse, prima di tutto, sarebbe interessante domandarsi quale sia il nostro scopo finale nel momento in cui scegliamo una delle soluzioni a cui ho appena accennato.

    Se, come detto, il mio obbiettivo fosse quello di aprire al lettore il maggior numero possibile di interpretazioni, allora potrei scegliere la terza persona oggettiva, perché lascerebbe al centro la storia pura e semplice, permettendo così a chi legge di dare la propria interpretazione dei fatti. Cosa che invece non avviene, a mio giudizio, con la terza persona onniscente, in cui l’oggettività è solo apparente, in quanto imposta dalla voce narrante.

    Tuttavia, anche l’entrare in una storia attraverso l’interpretazione dei fatti di uno o più personaggi ha il suo indubbio fascino. Ed è quello che naturalmente mi sento più portata a fare. Quindi come regolarsi?

    Tutte le volte che abbiamo a che fare con una narrazione di un certo tipo, dovremmo per prima cosa provare a interrogarci in modo consapevole su quale sarà il punto di vista più efficace per raccontare la nostra trama e i nostri personaggi, così come li abbiamo concepiti. Efficacia. Possiamo dire che la scelta del punto di vista è prima di tutto una questione di efficacia. Nelle storie che raccontiamo, la famosa posizione forzata a cui costringeremo il nostro lettore deve essere la migliore possibile. La più comoda. La più pratica, quella che rende la nostra vicenda più coinvolgente, o più appassionante, magari anche più originale.(…) Possiamo quindi affermare che il punto di vista viene da sé, nel momento in cui noi, che stiamo raccontando, abbiamo ben chiaro in mente che cosa esattamente vogliamo comunicare. (…) A volte potrebbe anche non essere un vantaggio sapere a priori che cosa si vuole comunicare. Capita molto più spesso che eventuali messaggi emergano piuttosto man mano che la stiamo raccontando, durante l’elaborazione stessa del testo. E quindi come è possibile che un punto di vista si auto generi in una situazione simile? E’ piuttosto semplice: molto spesso il punto di vista si forma parallelamente al contenuto della storia.

    Luca Blengino, Il punto di vista: Tecnica della distanza

    Ritengo molto affascinante questa esposizione, che riassumerei in pochi punti:

    1. Ricerca del punto di vista più efficace;
    2. Necessità di avere chiaro che cosa vogliamo comunicare;
    3. Creazione del punto di vista parallelamente al contenuto della storia.

    Ovviamente tutto ciò potrebbe portarci a dover rivedere completamente ciò che abbiamo scritto in una prima stesura e potrebbe costringerci a variare del tutto il punto di vista iniziale. Saremo disposti a farlo? Io penso che dovremmo almeno provare a metterci in questo ordine di idee. In fondo scrivere un romanzo richiede l’incastro perfetto di molti pezzi e non sempre al primo colpo è possibile completare il puzzle. Almeno in una concezione tradizionale di romanzo.

    Quello che mi chiedo, e vi chiedo, è se avrebbe senso rendere il punto di vista come oggetto della narrazione, lasciando in secondo piano la storia e dando invece più importanza alla macchina da presa. Proviamo a immaginare la ripetizione di una stessa scena con svariati punti di vista. Perderebbe naturalmente di oggettività, ma regalerebbe un caleidoscopio di soggettività tanto più vicine alla verità assoluta (che non esiste) quanto più numerose e rappresentate.

    Secondo voi esiste già qualcosa del genere? Avrebbe senso scriverlo?

    ……………………………………………………..

    Luca Blengino, Il punto di vista: Tecnica della distanza, 2014

    Ken Pelham, Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: una guida al punto di vista per scrittori, 2015

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    18 Comments

    • Credo ci siano romanzi scritti con diversi punti di vista che vanno in parallelo, cioé la stessa scena vista con occhi diversi, ma personalmente non mi attraggono. Temo che al di là della notivà iniziale, possa subentrare la mancanza di curiosità per il “cosa succede” e scadere nel puro esercizio psicologico. Però sono solo prevenuta, magari c’è chi è riuscito a rendere la cosa stimolante.
      E’ comunque interessante il discorso che fai sui punti di vista. In un certo senso è vero che quando si sceglie una precisa prospettiva, si obbliga il lettore a interpretare la storia secondo i suoi occhi. E’ un limite, ma allo stesso tempo anche un escamotage per catturare l’attenzione. Se si sceglie il pdv sbagliato, quello che non coinvolge abbastanza, si rischia di affossare sul nascere la storia. Una scelta delicata, quindi.
      Io sono partita con il primo romanzo scegliendo un unico pdv, poi sono passata a due e ora a svariati, perché mi sembra che così facendo si riesca a dare una maggiore sfaccettatura alla trama.

      • Anch’io penso che fornire maggiori punti di vista renda la narrazione più varia e maggiormente sfaccettata. L’introspezione psicologica è una degli aspetti che amo trovare nei libri che leggo e su cui vorrei lavorare in quelli che scrivo. 🙂

    • Quella che tu chiami “terza persona profonda”, per quanto ne so io, non rappresenta un punto di vista a sé stante, ma uno dei livelli di “immersione” consentiti dalla terza persona limitata. Per questo motivo posso dire che uso una terza limitata a focalizzazione multipla, che passa cioè da diversi personaggi, ma l’ “immersione” varia a seconda di ciò che voglio trasmettere. Con i personaggi minori forse ci può essere maggiore distacco. 🙂

      • Sì diciamo che non è semplice definire quali siano punti di vista a sé stanti e quali siano livelli di immersione. Per questo articolo ho adottato la classificazione di Pelham, di cui ho appena letto un interessante saggio sul punto di vista, perché mi sembrava uno schema abbastanza completo. Ovviamente si tratta di opinioni.
        Interessante quanto dici sul fatto di utilizzare livelli diversi di immersione nella focalizzazione multipla. Mi pare un ulteriore metodo per variare lo stile che ha a tutti gli effetti una ragion d’essere.

    • P.S. Mi sa che hai perso il mio commento al dubbio n. 16…
      Tra l’altro, mettevo il link all’articolo in cui spiegavo bene questa cosa dell’immersione, che lì chiamavo “penetrazione”, e forse è più corretto. 🙂 😀

    • Michele Scarparo

      Potremmo farci un thriller 🙂

    • Parto dal fondo 😀
      “Proviamo a immaginare la ripetizione di una stessa scena con svariati punti di vista.” ecco, ti posso dire che, da lettore, è abbastanza noioso. Una volta che qualcosa è stato narrato la sua ripetizione è abbastanza inutile ai fini della storia, anche se riraccontata da un’altra angolazione. Mi è capitato di trovarlo in alcuni libri e, sì, ho pensato di saltare avanti, tanto quello che era successo già lo sapevo e il poco aggiunto era il più delle volte minimale.
      Meglio piuttosto scegliere il punto di vista per quella scena o per quell’episodio che fornisca l’angolo di visuale più adatto, può essere il più ampio o il più ristretto a seconda dei casi.
      L’analisi che hai proposto del punto di vista è molto interessante e approfondita. Direi molto utile a livello di studio, alla fine però, una volta capito il meccanismo e magari analizzati i testi di altri autori, credo che si debba iniziare a scrivere senza più pensarci. Alla fine sarà l’istinto a guidare il narratore (anche perchè avrà letto molto e mentalmente si sincronizzerà automaticamente su un punto di vista) e poi al massimo si rifinisce in fase di riscrittura (tanto tutto perfetto al primo colpo è pura utopia).
      Dice giustamente Blengino “Possiamo quindi affermare che il punto di vista viene da sé, nel momento in cui noi, che stiamo raccontando, abbiamo ben chiaro in mente che cosa esattamente vogliamo comunicare”. Insomma lasciamoci guidare dalla nostra sensibilità.
      Nulla toglie, ovviamente, di sperimentare e provare ad esempio a riscrivere un racconto (ma anche meno di un racconti, direi un brano, un episodio) variando di volta in volta il punto di vista.

      • Anch’io mi sono chiesta se sarebbe risultata noiosa una scena ripetuta da più punti di vista (beh, due o tre al massimo, eh?), perché giustamente il rischio che sia così è molto alto. Mi chiedo però se lo sarebbe anche nel momento in cui il cambio di punto di vista portasse elementi talmente nuovi tali da trasformare la storia in un’altra. Se i personaggi conoscessero solo una parte degli eventi e l’epilogo fosse lasciato alla loro fantasia, avremmo storie diverse che si dipanano a partire da un unica premessa iniziale.

    • Volevo solo aggiungere una cosa sul romanzo di Hornby.
      Una cosa interessante che fa è che alcuni episodi, invece di farli narrare direttamente dalla voce del protagonista dell’episodio, li fa raccontare da un altro personaggio che riferisce una storia che gli è stata raccontata o che ha appreso pe altra via. In pratica è una terza persona mascherata da prima.

      • Sono metodi interessanti che permettono di dare varietà allo stile. Simile a quella che citi tu è la prima persona secondaria, quando cioè la voce narrante non è il protagonista, ma un personaggio secondario o la spalla. E’ il caso, per esempio, di Arthur Conan Doyle, che narra le vicende Di Sherlock Holmes attraverso la voce di Watson.

    • Il punto di vista è senza dubbio il punto cruciale per ogni scrittore. E’ vero, può essere deciso in base alla storia da narrare o in base a come noi vogliamo mostrare gli eventi, ma sta di fatto che ognuno di noi predilige alcuni punti di vista, se non, un punto di vista.
      Io personalmente digerisco mal volentieri la terza persona oggettiva perché amo entrare nella testa dei personaggi e scandagliare ogni minima emozione. Se usassi quel tipo di pdv sarei dannatamente limitato.

      Bell’articolo…brava!

      • Grazie per i complimenti. In questi giorni stavo ragionando molto sulla terza persona oggettiva, che non ho mai amato neanche io. Allo stesso tempo, però, ho scoperto che mi affascina l’idea che la pura descrizione dei fatti renda il lettore più libero di dare la propria interpretazione senza che ci sia il mio pensiero (o quello della voce narrante) a condizionarlo.
        Penso che sperimenterò anche questa possibilità al fine di saggiare con mano i risultati. 😉

    • Ci ho provato a ragionare sul punto di vista, senza venirne a capo. Qual è meglio, qual è peggio, per quale motivo poi, cosa vuole in fondo il lettore? Alla fine, scrivo la storia come la vorrei leggere, ne più ne meno. Credo (ma non sono sicura) si usare una terza persona oggettiva che sconfina nella soggettiva in alcuni punti, con i pensieri dei personaggi a seconda del momento.
      Per me comanda la storia. Poi in revisione, guardandola da lontano, vedrò se riaggiustarla (e questo è il tuo caso, lo capisco). Però ora non mi riesce, rischia di bloccarmi.
      Sul cambio di punto di vista sulla stessa scena, per me è illuminante il film Prospettive di un delitto del 2008 con Dennis Quaid e Matthew Fox (da Lost). L’attentato viene visto n volte, da un punto di vista diverso. Alle prima tre mi son detta: macchecazz di film?! Poi invece mi sono resa conto che l’architettura è magistrale. Ogni scena è diversa, non sono esattamente gli stessi minuti, qualcuna focalizza il prima ed altre il dopo, aggiungendo ogni volta un pezzo all’intreccio della storia, chi è chi e perchè è lì.
      Non è tratto da un libro, ma sarebbe interessante provare a scriverlo così (non me ne viene in mente nessuno con la stessa struttura).

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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