Dubbio n. 16: come gestire differenti punti di vista usando la prima persona?

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    Nei commenti al post della settimana scorsa sull’uso dei tempi dei verbi il discorso si è rapidamente spostato sull’uso della persona e, di conseguenza, sul punto di vista. Come ha accennato qualcuno, è possibile che a linee temporali diverse corrispondano punti di vista diversi. Ma gestire i punti di vista è tutt’altro che facile, per cui mi sono chiesta se sia necessario e, nel caso, come si possano gestire in modo proficuo in un romanzo. In questo post vorrei affrontare la questione pensando a un romanzo scritto in prima persona.

    Perché creare diversi punti di vista?

    Sebbene se ne parli molto in ambito di scrittura creativa, creare punti di vista differenti non è affatto obbligatorio. Però è altrettanto vero che aumentare le angolazioni da cui osservare una storia permette di analizzarla in modo più profondo, con l’obiettivo di introdurre in modo più efficace il lettore nella narrazione.

    Mi piace dire che se un unico punto di vista fornisce una visione bidimensionale, l’aggiungere punti di osservazione restituisce all’oggetto osservato la sua tridimensionalità.

    Penso a un dado, uno di quelli con cui giocano i miei figli. Se lo guardo dall’alto vedo solo un quadrato e mi perdo le altre cinque facce. Se invece mi sposto e lo osservo da varie angolazioni, ne vedo non solo tutte e sei le facce, ma posso anche notare in che rapporto stiano l’una con l’altra e come esso si rapporti con lo spazio in cui è inserito.

    E questa nuova prospettiva mi piace assai.[su_spacer]

    Come creare nuovi punti di vista in un romanzo scritto in prima persona? Un esempio concreto.

    La prima volta che mi fermai ad analizzare coscientemente in un romanzo queste potenzialità narrative fu quando lessi Buttiamoci giù di Nick Hornby.

    Per chi non lo conosce, è un romanzo pubblicato nel 2005 da cui, nel 2014, è stato tratto un film di discreto successo interpretato, tra gli altri, da Pierce Brosnam. La quarta di copertina ci racconta che la notte di Capodanno, in cima a un palazzo di Londra, si incontrano per caso quattro sconosciuti. Non hanno nulla in comune, tranne l’intenzione di buttarsi giù, ognuno per i suoi buoni motivi. Dopo una discussione stralunata i quattro aspiranti suicidi finiscono per scendere dal tetto, ma per le scale e imprevedibilmente tutti assieme, uniti da una intima complicità impensabile fino a qualche ora prima.

     Lo scrittore inglese scelse per il suo romanzo la narrazione in prima persona, alternando la voce narrante dei quattro protagonisti di capitolo in capitolo. Una sorta di diario in cui lo svolgimento della trama principale si interseca ai ricordi dei personaggi, attraverso i quali il lettore viene man mano messo a conoscenza delle motivazioni che hanno portato ognuno di loro a questa scelta estrema.

    Ciò che mi colpì maggiormente fu la capacità di variare il linguaggio e lo stile a seconda del personaggio parlante.

    Per esempio Martin, famoso conduttore televisivo che ha rovinato la sua carriera andando a letto con una quindicenne, racconta in  modo razionale e schietto le vicende che l’hanno portato ad una scelta, a suo avviso, altrettanto razionale, come possiamo notare fin dall’incipit del romanzo:

    MARTIN

    Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo sono mica deficiente. Posso spiegarlo perché non è un fatto inspiegabile: è stata una scelta logica, la conseguenza di un pensiero fatto è finito.

    Maureen è una donna scrupolosa e meticolosa che ha dedicato la vita al figlio gravemente disabile e che vive il suicidio come un peccato, provandone senso di colpa al solo pensiero di attuarlo.

    MAUREEN

    (…) A pensarci fa quasi ridere. Se passi giorno e notte a badare a un figlio che sta male, spazio per i peccati te ne resta pochissimo, e non avevo fatto niente che valeva la pena di confessare da non so quanto. E poi, di colpo, son passata a peccare così malamente che non potevo neanche parlarne con il prete, perché avrei continuato a far peccato fino all’ora della mia morte, quando avrei commesso il peccato più grave di tutti.

    Jess è un’adolescente sboccata e molesta che vuole farla finita dopo essere stata abbandonata dal ragazzo di cui è invaghita.

    JESS

    Ho avuto compassione di me stessa. Come fai a diciott’anni a non avere neanche un posto dove passare la notte dell’Ultimo, a parte una festa merdosa in una merdosa casa occupata, dove non conosci nessuno? Ebbe’, io ce la faccio. A quanto pare ce la faccio ogni anno. Non ho problemi a trovarmi nuovi amici, ma poi li faccio incazzare, questo è sicuro, anche se non so bene come e perché. E così la gente sparisce, e anche le feste.

    Infine JJ, rocker americano che vive solo per la musica e per la sua ragazza, che entra in crisi quando la band si scioglie e la ragazza lo lascia:

    JJ

    D’accordo voi non mi conoscete, perciò se vi dico che non sono scemo dovete credermi sullla parola, Mi leggo fino all’ultima parola di ogni cazzuto libro su cui metto le mani. Mi piacciono Faulkner, Dickens, Vonnegut, Brendan Behan, Dylan Thomas. Questa stessa settimana – il giorno di Natale, a essere esatti – avevo finito Revolutionary Road di Richard Yates, che è un romanzo assolutamente pazzesco. Anzi volevo buttarmi con quello in mano (…)

    Da questi brevi estratti non solo appaiono chiare le diverse motivazioni che portano alla stessa tragica soluzione, ma anche i processi mentali che giustificano un suicidio, la scala di valori dei personaggi e, aspetto da non trascurare, il linguaggio utilizzato dai protagonisti.

    Poiché Hornby scrive in prima persona, il linguaggio e lo stile, ancor prima dei contenuti, sono elementi distintivi che permettono al lettore di entrare nel personaggio.

    Ho trovato questo schema narrativo, cioè l’uso della prima persona con l’alternanza della voce narrante dei personaggi, in altri due romanzi letti di recente: Ragione e pentimento di Sandra Faè e Una casa alla fine del mondo di Michael Cunningham. In entrambi i casi ho notato un buon uso di stile e linguaggio e, da lettrice, mi è parsa una scelta azzeccata.

    Tuttavia, mi sento di indicare alcuni vantaggi indiscutibili di questa tecnica anche in quanto aspiranti scrittori:

    1. La possibilità far immedesimare il lettore nei personaggi;
    2. La possibilità di variare di toni e linguaggio rendendo più vivace la narrazione;
    3. La relativa semplicità nell’offrire punti di vista differenti senza creare confusione nel lettore e senza saltare dall’uno all’altro in modo disordinato.

    Ci sono anche svantaggi? Se l’autore è molto bravo a variare stile e linguaggio lavorando in modo organico su ogni personaggio, non vedo grosse controindicazioni. Forse, a volerne trovare una, l’unica che mi viene in mente è la sensazione che potrebbe avere il lettore di trovarsi di fronte ad uno schema predefinito. Ma anche in questo caso sarà la bravura di chi scrive a rendere più naturale la lettura.

    Personalmente ho sperimentato questa tecnica nel romanzo che sto editando con Bookabook. Il mio problema principale è stato proprio quello di adeguare il linguaggio a ogni personaggio narrante, tanto più che uno di essi è una straniera immigrata in Italia. In ogni caso è stato molto stimolante e mi ha permesso di focalizzare l’attenzione su questi aspetti.[su_spacer]

    La prossima settimana vorrei affrontare la questione partendo invece dalla scrittura in terza persona focalizzata su ogni singolo personaggio.

    Anche se è un metodo un po’ inflazionato negli ultimi tempi, è quello che vorrei utilizzare nel romanzo che sto scrivendo. Da lì mi è nata un’idea di cui vorrei discutere con voi. Ma, appunto, ne parleremo settimana prossima.

    Nel frattempo vi faccio una domanda, anzi due. Come differenziate i punti di vista nella scrittura in prima persona? Che esperienza avete da scrittori e da lettori?

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    13 Comments

    • nadia

      La maggior parte dei libri che ultimamente ho letto usa questa strategia, ad esempio Sara Rattaro usa il punto di vista dei suoi personaggi per raccontare la storia, in modo (cito un’espressione della critica) che non si capisca il pensiero dell’autore e tutto sia privo di giudizio esterno.
      Questo sicuramente aiuta il lettore a crearsi una propria idea.
      Mi vengono in mente una miriade di libri, ma ti cito Andrea De Carlo con Lui e lei, dove un uomo ed una donna raccontano la medesima storia attraverso il personalissimo punto di vista. Buon libro, interessante la narrazione, originale questo cambio di pilotaggio.
      Forse alla fine sta diventando una moda, forse aiuta a scrivere a spezzoni, alleggerendo il lavoro, o forse si tratta proprio di uno stile che ogni autore fa suo.
      Penso che scrivere in prima persona sia molto interessante, per un attimo si confonde la personalità dello scrittore con il personaggio e si instaura quell’empatia che fa di questo lavoro, il lavoro di passione che è. Nel mio primo libro ho sentito i profumi che la mia protagonista annusava ed era un calarsi nel suo mondo di una tale intensità da non potersi spiegare se non con una catarsi liberatoria incredibile. Se questo passa anche al lettore per interposta persona allora l’intenzione è riuscita al cento per cento, perché a questo è inteso l’uso dell’io narrante. Far capire al lettore le emozioni ed i pensieri del personaggio tra le pagine del libro.

      • Hai ragione, anche De Carlo usa questa tecnica, non me lo ricordavo nonostante quel libro mi sia piaciuto parecchio. Io sono partita dallo scrivere solo in prima persona per arrivare a usare la terza. Ma si tratta di un tentativo di soluzione a un mio limite: tendo a spiegare troppo. La terza persona mi aiuta a concentrarmi sui fatti e a allontanarmi dalle elucubrazioni mentali. A parte questo, riconosco gli indiscussi vantaggi a cui fai riferimento. 🙂

    • Comincio dalle domande:
      – non ho mai avuto l’esigenza (creativa) di scrivere in prima persona con più punti di vista, quindi non saprei.
      – ho letto anch’io non buttiamoci giù, e l’ho apprezzato per gli stessi motivi, soprattutto per la capacità di variare il linguaggio, anche se ha volte è un po’ caduto in qualche stereotipo, però Hornby è bravo (anche se forse le sue tematiche sono un po’ sempre le stesse). Ho letto altri romanzi, generalmente a due voci, che usano la stessa tecnica (4 voci sono decisamente tante) sul momento però non mi vengono in mente dei titoli.

      Tornando però alla metafora del dado, se il dado però lo metti in prospettiva di facce riesci a vederne fino a 3 e se poi gli metti uno specchio dietro riesci a vederne 5 (se il dado e pogiato sul tavolo, altrimenti, con qualche gioco di equilibrio puoi vederle anche tutte e 6), questo per dire che sta all’abilità dello scrittore rendere tridimensionale la storia indipendentemente dal punto di vista scelto, e anche usando un unico punto di vista si può mostrare tutta la rotondità (termine che forse col dado poco si associa :P) del soggetto. Lo specchio, ad esempio, potrebbe essere una parte di storia che viene fuori da un dialogo del protagonista con un altro personaggio che gli racconta una parte di storia che lui non ha vissuto in prima persona. Questo per dire che l’uso di punti di vista diversi in prima persona, a meno che non si abbia una buona esigenza narrativa, rischia di diventare un po’ una scorciatoia quando ci si trova incastrati nella testa del personaggio, in quel caso è forse meglio passare decisamente alla terza.

      P.S. col numero di romanzi pubblicati ogni anno (e non parliamo di quelli scritti) ormai ogni tecnica è diventata inflazionata 😀 quindi neanche mi porrei il problema 😉

      • Interessante la metafora dello specchio. Concordo col fatto che, tecniche o non tecniche, ciò che conta è l’abilità di chi scrive. Per il resto ti dirò che alla fine, pur con tutti i distinguo e i dipende del caso, quando scrivo ormai preferisco la terza persona, ma ne parlerò la prossima settimana. 🙂

        • Allora aspettiamo la prossima settimana per riparlarne 😉 Io personalmente mi baso più sul tipo di storia o personaggio, qualcuno vole la terza qualcuno la prima, lascio scegliere loro 😉

    • Oh signur, mi hai affiancata a Nick Hornby (che adoro) – il suo romanzo “Come diventare buoni” ha ispirato un sacco Ragione e pentimento e Michael Cunningham che come sai ho conosciuto di recente a Torino. Mi viene solo da dire: io che c’entro con sti due? Ma anche GRAZIE. Credo che questa struttura a più voci renda in qualche modo flessibile la scrittura, mi è costata meno fatica di altre, ecco.

      • Ho trovato molto ben gestita la tua prima persona e mi ha colpito la tua capacità di modificare linguaggio ad ogni cambio di voce narrante. Quindi credo che tu stia benissimo tra Hornby e Cunningham. 🙂 Anzi, forse Hornby ogni tanto, come dice Grilloz, cade in qualche facile cliché, tu no. 😉

    • Giusto ieri sera ho rivisto un pezzo del film The burning plane, che ben interpreta l’idea dei punti di vista alternati, addirittura confondendo passato e presente (la prima volta sono arrivata a metà film esclamando: “vedi di spiegarmi qualcosa…perchè è interessante, ma se poi non c’è collegamento, mi sento pure deficiente!”) Alla fine, è bello…tranquilli.
      Però non ricordo di aver letto libri con la stessa alternanza, in prima persona. So che ci sono saghe fantasy, dove ogni libro è in prima persona di un personaggio, per dire. In Breaking Dawn (libro finale di Twilight saga), Meyer ha scelto di dividere la scrittura in prima persona in 3 pezzi: Bella che racconta la luna di miele, fino a quando scopre di essere incinta; Jacob (il lupo) che racconta di come vede Bella morire per portare a termine la gravidanza e la disperazione di chi le sta intorno (Bella non avrebbe mai ammesso di stare male a se stessa), fino al momento dell’ultimo battito del cuore di lei; Bella di nuovo che racconta il dolore bruciante della trasformazione fino alla nuova vita e gli eventi successivi finali. Ricordo che da lettore la trovai una scelta strana, ma da scribacchino la comprendo meglio.
      Al momento scrivo in terza, e nella stessa scena mi scappa un pensiero di lui ed uno di lei (quando sono insieme); nelle altre scene il punto di vista è solo uno. Ma quando sono insieme, il cambio è repentino, pur rimanendo fuso in un’unica voce. Eh, destino… 😉

    • Domanda scema off-topic: ma l’editing in bookabook è a carico dell’autore? Oppure ti ripassano il testo come il gufetto della Clementoni “Riprova e controlla!” 😀

      • Non è una domanda scema, anzi è fondamentale. L’editing è a cura di bookabook, che ora è casa editrice a tutti gli effetti. È uno dei servizi forniti insieme a grafica delle copertine e alla promozione delle opere che hanno raggiunto il goal e quindi verranno pubblicate. Inoltre sono stati raggiunti proprio in questi giorni importanti accordi per quanto riguarda la distribuzione dei cartacei. Non solo saranno presenti (alcuni lo sono già) in importanti librerie tipo Feltrinelli, coop, giuntialpunto etc, ma è stato firmato un accordo per essere presenti nelle edicole di aeroporti e stazioni (Malpensa, Orio, Milano centrale).

        • interessante assai. Però il crowdfunding rimane un ostacolo: io non ce la faccio a raccogliere i soldi.

    • Un romanzo narrato in prima persona utilizzando personaggi diversi è “almeno il cane è un tipo a posto”, di Lorenza Ghinelli. L’idea è originalissima, in quanto a volte il punto di vista è mantenuto solo per poche righe, o poche parole, ma nonostante questo non si ha assolutamente l’idea di essere sballottati.

      Nel romanzo che sto scrivendo, uso una terza persona limitata a focalizzazione multipla, ma di recente mi sono venuti dei dubbi al riguardo, seppur non abbastanza a farmi tornare sui miei passi e riscrivere tutto usando una prima persona unica (anche perché ci sono cose che il protagonista non deve sapere). Preferisco, piuttosto, stringere un po’ di più sul protagonista, cambiando focalizzazione solo quando strettamente necessario. Comunque, se ti può essere utile per la documentazione, ti passo questo: http://appuntiamargine.blogspot.it/2014/11/punto-di-vista-le-caratteristiche-della.html

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