Che problema! di Stefano Franzato

Indice dei Contenuti

    Questo racconto partecipa al concorso Leggere non è peccato 2017 – Le contraddizioni femminile.

    Poiché l’autore Stefano Franzato non ha un blog, viene pubblicato su questo sito come guest-post.

    Che problema!

    «Non so cosa mettermi!», esclamò Eva con un filo di broncio sconsolato.

    Adamo  alzò gli occhi dal giornale e la osservò. Dopo tutte le traversie che avevano dovuto affrontare, era ancora bella. Con ira e violenza, erano stati scacciati dal magnifico giardino (che, era stato loro detto, si chiamava Eden), pieno di alberi e arbusti da frutto, fiori profumati e acque sorgive dov’erano vissuti per… non avrebbe saputo dire quanto. E tutto per una mela che lei aveva ingenuamente accettato da un abusivo disonesto. Eh sì che era stata più volte avvertita: non accettare mai nulla – nulla – da sconosciuti. Ci si sarebbe potuto anche chiedere come mai la vigilanza ai confini del giardino (ammesso ne avesse) fosse stata così allentata da permettere a un intruso malvagio d’intrufolarsi senza troppe difficoltà. O, e il dubbio era lecito, se quella scarsa vigilanza fosse stata intenzionale. Se non avessero trasgredito i dettami del loro Creatore (che voleva esser chiamato “Signore”) sarebbero rimasti sempre là beati nella loro innocenza. Era stato per la loro disubbidienza e conseguente cacciata che erano diventati uomini? Deboli, insicuri, attoniti. Dubbiosi. Nella Sua onniscienza, il loro Signore non poteva non sapere come sarebbe andata a finire. Doveva quindi concludere che, per diventar uomini, già eran destinati al Male?

    Senza distogliere lo sguardo, Adamo piegò il giornale. E poi la tragedia dei figli, partoriti con dolore, (ne era consapevole: dopo l’atroce decisione presa dall’Alto – e da dove, sennò! – lei aveva voluto provare egualmente le gioie della maternità), accuditi, amati, visti crescere … già, crescere: nessuno dei due aveva ricordi di un periodo chiamato “infanzia”: ne avevano altri… L’angoscia e lo sconforto lo coglieva ogni volta che gli tornava alla mente. Inebetita, sfigurata dal dolore (non fisico: altra nuova pungente emozione), Eva aveva vagato muta per giorni. Tramite quel figlio così allegro, mansueto e buono, sia lui che lei avevano conosciuto la morte E in che maniera… Straziante. Come avevano potuto… due fratelli? Anche l’altro… Perché? Avevano voluto dei figli e, in un modo che mai avrebbero pensato, avevano imparato cosa significasse aver senso paterno e materno, cosa volesse dire preoccuparsi, consolare, gioire, soffrire per loro e con loro. Di tanto in tanto, si domandava se anche il loro Signore avesse senso paterno o si limitasse, da un imprecisato punto della volta celeste, a dispensar grazie e disgrazie, benedizioni e maledizioni seguendo criteri che per i più e ai più sarebbero sempre rimasti imperscrutabili. Non lo avrebbe mai saputo, ma anche quel loro Creatore avrebbe un giorno voluto e generato, non creato, un figlio; della sua stessa sostanza, un uomo che fin dall’inizio avrebbe destinato al sacrificio e che, umanamente, al culmine della propria sofferenza, con gli occhi rivolti a un cielo plumbeo, gli avrebbe gridato «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

    Continuava a guardarla. Sì, era ancora bella nonostante il Tempo avesse cominciato il suo corso e, con esso, le loro primavere. Il volto fine, gentile e fiero, i fianchi e il ventre ancora lisci anche dopo le due gravidanze e i due parti sofferti. E i seni… in topless non aveva niente da nascondere. E pensare che secoli e secoli più tardi in una spiaggia francese, qualcuno avrebbe avuto la faccia tosta di dire di aver inventato una moda. Evidentemente, non aveva letto gli annali del giornale  (che, successivamente sarebbero stati chiamati Bibbia o Sacre Scritture), laddove stava scritto “Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole”.  Era ancora desiderabile (e desiderata) ma, quando la stringeva a sé, tra le braccia, un turbamento vago, sottile, peccaminoso, s’impadroniva sovente di lui; non poteva far a meno di ricordare che lei era stata forgiata da una sua costola: gli era stata data come compagna (era la sua compagna: le aveva dato lui il nome) dal loro Signore e Padre (il loro padre?). E, di fatto, così era anche carne della sua carne, sangue del suo sangue. Ed era questo il pensiero che più lo tormentava in certi momenti. Quelli.

    «Non so cosa mettermi.», ripeté Eva, vedendolo così assorto e temendo non l’avesse ascoltata.

    “Non so cosa mettermi.” Ai suoi occhi non aveva mai avuto bisogno di mettersi alcunché; anche quando il Signore li aveva vestiti con delle tuniche di pelle.

    «Che problema c’è, tesoro?», le chiese con un sorriso interrogativo e poco convinto.

    Eva si era spesso domandata se mai Adamo fosse in grado di comprendere le prime, timide esigenze della sua femminilità: quelle che, molto tempo dopo, sarebbero state definite “civetteria” o, più elegantemente,  “coquetterie”.

    “No”, aveva sempre concluso. Lui le donne non le conosceva. Né mai avrebbe potuto. Era giustificabile. E perdonabile. E poi bisognava guardare il lato positivo della questione: era stato, era, e sempre sarebbe stato suo. Tutto suo. Nessun’altra donna l’avrebbe insidiato e glielo avrebbe portato via. E se ci fosse stata? L’avrebbe un giorno ripudiata e se ne sarebbe andato con lei? Il dubbio l’aveva assalita più di qualche volta. L’amava o lei era stata una scelta obbligata? L’unica.

    Si chinò e, prendendogli le guance fra le mani, lo baciò teneramente sulle labbra. Tenendogli ancora il mento col pollice e l’indice, si staccò. Ma continuò a fissare quei suoi occhi ingenui e miti. Le dicevano che lui l’amava sul serio, l’aveva sempre fatto, senza bisogno di scegliere, quand’anche gli fosse stato possibile. L’aveva voluta, accettata così com’era, con le sue gioie, i suoi dubbi, le sue rabbie, le sue malinconie, le sue contraddizioni. Come aveva fatto lei con lui, del resto.

    «Nessun problema, amore.», gli rispose, scuotendo lievemente il capo e restituendogli il sorriso. «Nessun problema.»

     

    Stefano Franzato

    Come Carlo Goldoni (suo illustre concittadino) nei suoi Memoirs, quando gli chiedono dati biografici, ama dire che la sua vita non è mai stata, né è, né, presumibilmente, sarà importante. Si domanda, infatti, che interesse, possano avere i suoi eventuali e casuali lettori nel fatto che sia nato sessant’anni fa a Padova, che per circa metà degli stessi abbia insegnato inglese nelle scuole elementari e medie  e che, dopo, per motivi di salute, abbia chiesto di essere utilizzato in altri compiti, occupandosi attualmente di Informatica e Didattica e della manutenzione software del laboratorio della scuola dove dovrà lavorare per altri sette anni; cosa ci possano trovare di interessante se nel settembre del 2014 ha partecipato per la prima e unica volta in vita sua a un concorso letterario (che si definiva “internazionale”, per di più)  e, nel giro di un mese,  s’è ritrovato tra i primi trenta ossia finalista. La Casa Editrice che aveva indetto il concorso (lo fa ogni anno) gli aveva anche chiesto d’inviare in lettura una silloge dei suoi racconti: ha rifiutato (“avrebbe potuto chiedermi soldi che non ho e, poi, troppa atmosfera commerciale e spettacolare: non c’era niente di letterario”); si tiene a distanza di sicurezza delle scuole di Scrittura Creativa: “buona parte di ciò che insegnano lo dovevamo già saper bene al terzo anno di Inglese a Ca’ Foscari: i miei insegnanti sono stati e sono gli autori che ho letto e amo”; a tal proposito, non crede possa interessare nessuno se dice che gli autori la cui sensibilità e tematiche sono più affini alle sue sono – tra i tanti – Buzzati, Landolfi, Wharton, Cameron, Camus, Némirovsky, Greene, Malamud e, in particolare gli irlandesi (James Joyce va da sé), Maeve Brennan e, sopra tutti, William Trevor.

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    5 Comments

    • Giulia Mancini

      Vedo molta partecipazione maschile sulle contraddizioni femminili…io quest’anno, salvo guizzo creativo improvviso tra oggi e domani, non c’è la faccio a partecipare, aimè. Domenica mattina, visto che era l’ultimo giorno di ferie e avevo un po’ di tempo, ho deciso di concentrarmi e scrivere un racconto per la terza antologia, ho dato precedenza a quello, però è bello leggere il punto di vista maschile.

    • Giulia Mancini

      Non ce la faccio a partecipare…il correttore automatico dell’iPad mi perseguita

    • nadia banaudi

      Due uomini, due pezzi da novanta!
      Allora ci conoscono proprio bene i maschietti.
      Bene!

    • Bene, alla fine l’abbiamo convinto! 😀
      Un altro padovano, per giunta!

    • Il nuovo contest di Leggere non è peccato: le contraddizioni femminili - Nadia Banaudi

      […] Che problema! di Stefano Franzato […]

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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