Vi siete mai domandati per chi scriviamo?

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    Penso di poter dire che tutti noi scriviamo per essere letti.

    Sarete tutti d’accordo che il famoso romanzo tenuto nel cassetto è più un cliché romantico che una realtà. Chi tiene i propri scritti per sé stesso (e io a lungo ho fatto parte di questa categoria di persone) è chi ha paura di una stroncatura. Del resto non avrebbe senso utilizzare uno dei principali metodi di comunicazione con un fine opposto al comunicare.

    Ciò non significa che tutti scrivendo perseguano lo stesso obbiettivo.

    Così come chi legge lo fa per vari scopi, altrettanto accade per chi scrive.

    Vi siete mai chiesti perché leggete? Io, a dire il vero, no. Lo faccio ora per la prima volta. E improvviso:

    1. Perché amo farmi trascinare in una storia;
    2. Per imparare a scrivere meglio;
    3. Per conoscere cose che ancora non so;
    4. Per interpretare un messaggio (quello dell’autore) che  mi serva a  vivere meglio.

    Se questo è ciò che cerco nelle mie letture, dovrei ambire a offrire altrettanto attraverso ciò che scrivo.

    Infatti se girassi la domanda, dovrei chiedermi non tanto perché scrivo, ma perché mai qualcuno dovrebbe leggermi.

    Sono in grado di catturare il potenziale lettore nella mia storia, di insegnare qualcosa, di veicolare messaggi tali da prendere la loro strada e di diventare potenzialmente altro rispetto a ciò che penso io?

    Che a me interessi ciò che io stessa scrivo è più banale che ovvio. Ma non è altrettanto automatico che ciò che ho da dire interessi anche ad altri, tanto più che non è facile essere arbitri imparziali con sé stessi. C’è sempre di sottofondo una esagerata autocritica o un eccessivo amore per le proprie parole.

    Per certi versi nel mio lavoro mi trovo dinnanzi a problemi simili: quando incontro per la prima volta un cliente per il quale, assieme ad altri professionisti, lavoreremo a una campagna pubblicitaria online o offline, gli chiedo che cosa vuole ottenere da un sito, da una pagina facebook o da un volantino e che cosa vuole comunicare attraverso i mezzi che gli metteremo a disposizione.

    La seconda domanda che mi parte in automatico è chi sarà il destinatario.

    Senza ombra di dubbio qualsiasi campagna di marketing deve analizzare preventivamente il pubblico alla quale è rivolta affinché contenuti e linguaggio siano tarati sul ricevente.

    Sono dell’idea che la narrativa, come forma di comunicazione, debba seguire le stesse regole.

    Capire a chi è rivolto un libro, ma questo già lo sappiamo, ci induce ad utilizzare un certo tipo di linguaggio.

    I dubbi che nascono sono sostanzialmente due:

    1. Non si rischia di scrivere qualcosa che esula del nostro interesse solo per compiacere il pubblico?
    2. Non si elimina una fetta (più o meno ampia) di pubblico proprio in base a contenuti e linguaggio?

    Penso, ma so che potrei essere smentita, che la narrativa, proprio per la sua principale finalità di intrattenimento, debba essere rivolta al più vasto pubblico possibile.

    Tuttavia sono anche convinta che l’avere ben presente a chi ci si sta rivolgendo non sia di per sé limitante.

    Farò un esempio molto banale. Quando racconto una storia ai miei bambini so che dovrò utilizzare un certo tipo di linguaggio e, pur potendo spaziare su una vasta gamma di argomenti (i bambini sono mica stupidi, sovente capiscono più degli adulti), dovrò adattare il mio racconto alla loro forma mentis. Detto ciò, il mio racconto, benché tarato sul target di utenza specifico in quella situazione, potrebbe essere perfettamente fruibile anche da un adulto. E’ esattamente ciò che avviene con certi tipi di film di animazione, studiati per bambini  ma spesso in grado di appassionare più i genitori che i figli.

    Quello che voglio dire è che la specificità ha come fine quello di essere coerente con ciò che si sta scrivendo (o narrando) in modo tale che il lettore, prima ancora di iniziare a leggere, sia preparato a ciò che troverà, e proprio in virtù di ciò scelga se fruirne o meno.

    Ciò che può essere disturbante è invece la confusione. Prima di tutto la nostra. Se invece ci è chiaro chi vogliamo raggiungere e perché, automaticamente ci apriamo anche verso chi, almeno inizialmente, non farebbe parte di questo target.

    La stessa considerazione può essere fatta per i contenuti, eliminando così il dubbio di inseguire l’interesse del lettore più che il nostro.

    Se ad ogni nuova idea ci si pone il problema del che cosa voglio scrivere, perché e per chi, qualsiasi siano le risposte, avremmo comunque organizzato un quadro omogeneo e coerente in cui il lettore (che non è stupido) non si sentirebbe preso in giro ma, semmai, messo al centro.

    Detto ciò, mi rendo conto che finora scrivendo ho sempre tenuto poco in considerazione il mio possibile lettore.

    Voi avete chiaro per chi scrivete?

    ***********************************

    Postilla: alla fine di questa settimana inizieranno le lunghe vacanze scolastiche. Benché qui dell’estate non sia ancora giunta notizia, tra qualche giorno mi troverò a fare la mamma a tempo pieno (e in parte ne sono felice). Poiché gli impegni lavorativi stanno man mano crescendo e l’editing del mio romanzo avrebbe necessità di una decisa accelerata, ho pensato di mantenere l’appuntamento del giovedì con i miei soliti dubbi, ma di prendermi la libertà di non avere come impegno fisso anche il martedì, almeno per questi mesi estivi, lasciando al caso e al tempo a disposizione un eventuale secondo post settimanale, senza però cadenzarlo in modo rigido. Sono certa della vostra comprensione. 🙂

     

     

     

     

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    16 Comments

    • Secondo le tecniche narrative studiate a un corso, avere ben presente i narratari è fondamentale nella stesura del romanzo.
      Per il resto è la tua prima estata da blogger: vedrai come la blog sfera andrà in letargo fino alla prima settimana di settembre, quindi sei in ottima compagnia.

      • Bene, allora non mi sentirò in colpa se sarò un po’ latitante! 🙂

    • Michele Scarparo

      Il lettore (in parte quello che Eco chiamerebbe “il lettore ideale”, in parte quello che il marketing chiama target) andrebbe deciso prima di cominciare a scrivere. Magari inconsciamente (ma meglio scientemente). Perché è fondamentale per chi legge: se chi ha il libro in mano non ha la possibilità di un confronto stabile con il narratore, finirà per stancarsi. O per sentirsi preso in giro. In entrambi i casi, è probabile che riponga il libro senza finirlo.

      • Sì, anch’io penso che sia importante che la scelta sia conscia.

      • Stavo per dire la stessa cosa. La scelta del lettore, soprattutto se si tratta di un romanzo di genere, andrebbe fatta prima. “Regolare” la modalità di racconto su chi leggerà il testo è un buon punto di partenza per non creare disappunto. Non sempre funziona, ma è un buon punto di partenza. 🙂

    • Per quanto mi riguarda la risposta è cambiata più volte con l’età. All’inizio, per quanto mi è dato ricordare, amavo immergermi nella storia e lasciarmi trasportare. Mi piaceva, credo, lo stupore della scoperta, del viaggio fantastico. Poi ho amato gli stili: dire qualcosa di semplice o di complesso in modo originale. Adesso leggo solo ciò che ritengo utile alla mia crescita di uomo e di scrittore. È un po’ un peccato, me ne rendo conto. Perché si perde lo sguardo del bambino, quel modo di leggere innocente e spensierato. Così va la vita.

      Prima dell’invenzione dei social credo che il manoscritto fisicamente conservato nel cassetto fosse una realtà molto più diffusa di oggi. Sai come la penso al riguardo e non mi spingo oltre.

      Infine, per quanto riguarda la domanda principale, chiedersi per chi si scrive è il fondamento di ogni scrittura professionale. Vale nella narrativa, nella pubblicità, nel cinema, nella televisione, eccetera. Io scrivo racconti per signore a cui piace leggere determinate storie. La rivista che mi pubblica ha un taglio ben preciso perché le loro lettrici hanno gusti ben identificati. Scrivere sapendo chi ti leggerà è molto più facile che scrivere senza averne una minima idea. Per dirne una, si è molto più concreti.

      • Tu, e lo sai già, sei proprio una di quelle persone che mi ha fatto riflettere sull’importanza di avere chiaro per chi si scrive. La tua esperienza con Mondadori è paradigmatica.
        Quello che a volte mi chiedo è se siamo noi a scegliere il nostro pubblico o se invece non sia una conseguenza logica di ciò che desideriamo scrivere.

    • La mia risposta è diversa, perchè diverso è il mio approccio alla lettura.
      Perchè voglio divertirmi leggendo.
      Che sì, anch’io amo farmi trascinare in una storia, ma se non ci trovo divertimento (in tutte le sue declinazioni, dal sospiro rosa alla preoccupazione dark alla curiosità gialla del chi è l’assassino) la storia non mi trascina.
      Per imparare a scrivere meglio: quello viene da sé, leggendo tanto e tanto e tanto. Il rischio di preferire solo “letteratura scelta” è che poi il nostro stile cambia e magari anche il target di quello che stavamo già scrivendo.
      Non leggo per conoscere cose che non so: per quello ci sono le enciclopedie, le riviste, i documentari. Se nella lettura imparo anche qualcosa, meglio, ma non è quello il fine.
      Sul messaggio dell’autore per “vivere meglio”. Credo si possa prospettare un’idea, ma non farla passare come una soluzione. Chi è l’autore per dirmi cosa devo fare io per vivere meglio, cosa ne sa? Può dirmi forse come c’è riuscito lui, ma bisogna prestare attenzione. Al lettore non piacciono le lezioni impartite. Non è nemmeno una questione di politically correct, semplicemente una storia è una storia, non un saggio.
      Per me non ho in mente un target particolare, di sicuro non scrivo per bambini, probabilmente non scrivo nemmeno per le signore di una certa età e di certi circoli. Presumo che scrivo per chi ha i miei stessi gusti, alla fine.

      • Sul fatto che un romanzo non sia un saggio mi trovi perfettamente d’accordo. Però mi piace pensare che il percorso che compio leggendo un libro, sebbene questo possa anche essere di puro intrattenimento, faccia sì che al suo termine io sia cambiata e che io possa dire di avere imparato qualcosa. Per questo amo i libri che mi lasciano un messaggio. Se poi l’ho colto io al di là delle intenzioni dell’autore, meglio ancora. Vuol dire che quel libro è diventato vivo, e passando di persona in persona, ha avuto la capacità di evolversi in altro.

    • Il mio possibile lettore è andato progressivamente definendosi in fase di stesura, anche se forse le sue caratteristiche, per la collocazione spazio-temporale del romanzo, potevano sembrare piuttosto scontate. Penso di rivolgermi prevalentemente a un target di cultura medio-alta e appartenente alla mia generazione. Ho scelto un protagonista maschio per arginare i pregiudizi che portano improprie etichette di “rosa” o di “chick-lit”, in quanto vorrei che il romanzo fosse godibile sia dagli uomini sia dalle donne. Tuttavia, come dici tu, ciò non esclude “incursioni” di altri lettori: la mia beta Marina è più grande di me, ma la storia le piace molto (grazie al cielo). 🙂

      • La scelta di utilizzare un protagonista maschio è molto interessante per tutta una serie di motivi. Per me il primo sicuramente sarebbe quello di allontanare da me il protagonista. Non avevo pensato che questa scelta potesse influire sulla probabilità di aprire anche a un pubblico maschile e, in effetti, la trovo una scelta azzeccata.

        • Quello di “allontanare il protagonista da me” è il secondo motivo per cui ho deciso di incentrare la storia intorno a lui, e non intorno alla sua comprimaria. I protagonisti vivono nella città in cui ho vissuto io, e negli stessi anni. Volevo evitare che mi domandassero: ma è autobiografico? 🙂

    • nadia

      La prima volta che mi sono sentita porre questa domanda è stata quando un editore si è interrogato se lo avessi chiaro in mente il mio lettore ideale. A quel punto mi sono accorta che avevo iniziato a scrivere senza tenere conto del pubblico. Non ci avevo semplicemente pensato, come la maggior parte delle cose che faccio, usando solo l’istinto e raccogliendo via via le conseguenze. Quindi mi accodo a chi dice che si impara strada facendo, infatti il pubblico è essenziale per un libro, per un racconto, un blog…insomma sia esso fatto di critici, semplici fruitori, di addetti ai lavori è il motore che da un significato al tutto. Ne so qualche cosa ultimamente, visto che devo dirigere il mio messaggio per il crowdfunding al target giusto, individuando se femminile o maschile, in quale fascia d’età, di quali gusti…e concludo dicendo che non è facile individuarlo, afferrarlo e convincerlo. Forse perché quando si scrive si pensa di poter piacere a tutti (impossibile, visto che anche sui grandi nomi si è divisi), perché chi è scrittore non è granché capace a fare vero marketing, o forse perché ancora non si è nati completi e quindi inevitabilmente si cade nell’errore.
      Per ciò che riguarda la lettura, invece, leggo per rilassare la mente, farmi portare via dalla storia apprezzando l’interludio di un buon libro in una giornata intensa e rumorosa, in cui nessuno mi può interrompere se non il sonno visto che leggo la sera tardi. E con questo stralcio delle mie abitudini mi unisco al tuo ruolo di mamma a tempo pieno per l’estate imminente, che scatta appunto domani con la chiusura delle scuole, e ti lascio dicendoti..come ti capisco cara Silvia, come ti capisco!

      • Silvia

        Io credo che noi dobbiamo continuare a pensare di poter piacere a tutti, senza tuttavia demoralizzarci se questo poi di fatto non succederà. Tuttavia dobbiamo anche fare delle scelte e con esse specializzare il nostro linguaggio e la nostra offerta. Del resto non credo che questo necessariamente elimini delle persone dal nostro raggio d’azione, semplicemente indirizza il nostro lavoro in modo coerente con sé stesso.

    • Io non me lo sono mai chiesto, però ho un po’ capito, con il romanzo già scritto, che il mio target è stato un pubblico di lettori giovani, quelli che ancora vivono di passioni e sogni e che si lasciano trascinare con entusiasmo dentro storie impossibili. Ho detto “è stato”, perché mi sono accorta di avere cambiato obiettivo, nel corso degli anni. Adesso desidero raccontare storie mature e il fatto di avere dubbi sul rendimento delle stesse mi mette in crisi, perché non so mai se ciò che sto scrivendo potrebbe essere letto con le stesse intenzioni elaborate durante la scrittura. Con il mainstream è più difficile capire a chi ci si sta rivolgendo.

      • E’ vero. Il mainstream apre uno spettro più ampio, di conseguenza è più difficile capire chi sia il lettore di riferimento. Però io credo che l’avere in mente un determinato pubblico non chiuda le possibilità, semmai le apra. Cioè il fatto che noi pensiamo di scrivere un libro per un certo tipo di pubblico ci serve per avere una coerenza nel trattare gli argomenti, ma non implica che venga percepito come esclusivo di quel pubblico. L’esempio dei film di animazione che facevo nel post secondo me è calzante. Per cui, secondo me, non ti dovrebbe mettere in crisi il fatto che eventualmente il tuo libro non venga letto con le stesse intenzioni con cui l’hai scritto. Anzi, il bello della narrativa è proprio il fatto che ciascuno possa fruirne secondo le proprie inclinazioni e gusti. 🙂

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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