Marketing: odi et amo

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    Perché oggi parliamo di marketing? Tutto è nato da una banale osservazione in base alla quale mi sono accorta quanto esso stia entrando a far parte sempre più prepotentemente della mia vita. Nel lavoro, neanche da dirsi, nella quotidianità e persino in quella che considero la mia più grande passione: la scrittura.

    Che cos’è il marketing e perché è così importante? Partiamo da una interessante definizione:

    Marketing: Con riferimento alle imprese produttrici di beni di largo consumo, il complesso dei metodi atti a collocare con il massimo profitto i prodotti in un dato mercato attraverso la scelta e la pianificazione delle politiche più opportune di prodotto, di prezzo, di distribuzione, di comunicazione, dopo aver individuato, attraverso analisi di mercato, i bisogni dei consumatori attuali e potenziali.

    Da Enciclopedia Treccani on-line

    Ho evidenziato in grassetto quelli che mi sembravano i punti salienti:

    • Complesso di metodi: ovvero tutte le strategie che vengono utilizzate per vendere un prodotto;
    • Massimo profitto: ovvero la focalizzazione dell’obiettivo, che non è solo vendere, ma ottenere il massimo profitto;
    • Pianificazione delle politiche più opportune: ovvero selezione delle caratteristiche del prodotto (che prodotto? a quale prezzo? dove va distribuito? come va pubblicizzato?)
    • Bisogni dei consumatori: ovvero la creazione e commercializzazione di un prodotto a partire dalle necessità dei consumatori (reali o indotte?)

    Di conseguenza potremmo riassumere che il marketing è la risposta commerciale a determinati bisogni del consumatore. Tuttavia non è un sistema statico, anzi è in costante evoluzione per una serie di motivi connessi tra loro.[su_spacer]

    L’evoluzione del marketing

    Poiché il marketing si basa sulla comunicazione e poiché negli ultimi anni la comunicazione ha subito molti cambiamenti connessi alla diffusione dell’utilizzo del web, inevitabilmente anche il marketing ha subito cambiamenti importanti.

    Quando nasce il marketing e come si evolve nel corso degli anni?

    Il marketing inizia a svilupparsi negli anni ’50, quando l’accresciuta domanda e la capacità di produzione spingono per creare a tutti gli effetti una struttura commerciale efficiente. Nasce così quella che viene chiamata orientamento alla produzione. In questa fase si tratta del cosiddetto marketing operativo, in quanto svolge una funzione di organizzazione e di smercio e non di vera promozione.

    Presto però il mercato inizia ad essere saturo di prodotti di prima necessità e iniziano a comparire prodotti più specifici tanto da portare all’analisi della domanda e all’orientamento al cliente. Nasce così il cosiddetto marketing strategico.

    Man mano l’attenzione del marketing si sposta sui bisogni del consumatore, partendo da quelli più semplici sino a quelli più complessi.

    Oggi l’enorme sviluppo del web ha portato a concentrare una gran parte del marketing strategico proprio in questo ambiente per una serie di motivi non facilmente riassumibili. Tra i tanti, direi che se ne segnalano almeno tre:

    • il crescente interesse del pubblico verso questo mezzo di comunicazione a discapito della televisione e della carta stampata;
    • la facilità nel tenere traccia degli orientamenti di acquisto del consumatore;
    • la possibilità di orientare la pubblicità verso il target prestabilito.[su_spacer]

    Bisogni reali o bisogni indotti?

    L’antipatia che riscuote il marketing da parte del consumatore probabilmente deriva dal dubbio, per nulla ingiustificato, che molti bisogni che esso si propone di soddisfare non siano reali ma indotti.

    Se si pensa per esempio a certa pubblicità televisiva degli anni ottanta si può notare come essa sia stata costruita proprio con questo proposito. Gli slogan e le immagini utilizzate focalizzano l’attenzione verso un  modello ideale al quale il consumatore desidererà assomigliare. La ricetta è semplice ed efficace: il raggiungimento di un modello o di uno status sociale attraverso l’acquisto di un prodotto, di quale fino a poco prima non si aveva alcuna reale necessità.

    Oggi i colossi del web, attraverso i famigerati cookie, offrono in modo ripetitivo quelli stessi prodotti verso i quali abbiamo fatto una ricerca. Un altro metodo neppure troppo celato di indurci ad un acquisto non sempre necessario.

    Del resto è forte la tentazione di sfruttare gli studi sociologici e psicologici, che hanno reso ben conosciuti i meccanismi mentali del consumatore, e i mezzi di comunicazione di massa all’unico fine di vendere, soprattutto in un mercato di per sé saturo di offerta e di prodotti.

    Forse, ed è una mia personalissima opinione, ci sarebbe da chiedersi se non sarebbe più opportuno indirizzare l’offerta verso quei settori che rappresentano i bisogni ancora esistenti e pressanti ovvero servizi, cultura e assistenza. Ma qui apriremmo una discussione infinita, che non è in mio potere di trattare in modo competente né esaustivo.[su_spacer]

    Marketing e scrittura: qual è la loro relazione?

    Poiché qui noi parliamo di scrittura, mi chiedo in che relazione essa si ponga nei confronti del marketing.

    Chiunque decida di autopubblicarsi, chi si serva di un crowdfunding o chi pubblichi con una piccola casa editrice sa che dovrà andare incontro alla difficoltà di mettere in piedi una campagna di marketing. Se i mezzi tecnologici oggi permettono a chiunque di cimentarsi in questa avventura, è pur vero che siano necessari studi e competenze non improvvisati, altrimenti il rischio dell’insuccesso può essere molto elevato.

    D’altronde certe tecniche narrative con cui sovente si costruisce un romanzo nel tentativo di trattenere l’attenzione del romanzo, così come il focalizzare l’attenzione sul tipo di pubblico a cui si rivolgerà l’opera, non sono forse una forma di marketing?

    Nei miei studi recenti credo di aver appreso che uno dei criteri fondamentali con cui va costruita un’opera letteraria è quella di non prendere il giro il lettore. Forse se, per una volta, utilizzassimo le regole narrative per il marketing, potremmo dire che la regola base del marketing dovrebbe essere il non prendere in giro il consumatore.

    Ecco, il marketing che mi piace è questo: quello che soddisfa bisogni reali senza prendere in giro nessuno.[su_spacer]

    E voi che rapporto avete con il marketing?

     

     

     

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    28 Comments

    • Credo che la prima voce, quella principale, nel vendere qualcosa sia riuscire a capire i “bisogni” (sogni, esigenze, desideri…) del consumatore a cui ti rivolgi e cercare di soddisfarli. Se ci riesci: vendi. Altrimenti… altrimenti no.

      • Esatto. Il punto è proprio quello. Soddisfare un’esigenza dove c’è richiesta di mercato. 🙂

    • Marco Amato

      Per me la definizione della Treccani (con tutto il rispetto, ma anche con l’irriverenza che mi contraddistingue) non va più bene. È sorpassata dai temp. Non perché definire il marketing oggi è più complesso, tutt’altro, si è di molto semplificato.
      Alla luce della mia esperienza lavorativa, se dovessi dare una mia definizione di marketing direi: Il marketing è mettere a conoscenza un dato consumatore dell’esistenza di un determinato prodotto.

      Tutto ciò che devono fare gli scrittori per promuoversi è questo: mettere a conoscenza il potenziale lettore dell’esistenza del proprio libro.

      • Sono d’accordo con questa definizione e aggiungo che mettere a conoscenza il potenziale lettore del proprio libro significa provare a convincerlo a leggerlo, a prescindere da fatto che il libro sia bello o brutto. L’efficacia di un buon marketing si misura nella capacità di catturare l’attenzione di chi è già interessato a scoprire un nuovo prodotto, ma anche di chi è per natura distratto.

        • Dall’esperienza di crowdfunding con bookabook ho imparato che una campagna funziona se riesci a coinvolgere il tuo potenziale sostenitore e a farlo sentire parte del tuo progetto. in un certo senso è quello che dici tu: catturare l’attenzione nel senso di portare il lettore dalla tua parte, farlo sentire un elemento chiave nella relazione che si instaura tra chi scrive e chi legge.

        • Marco Amato

          Esatto Marina. Se io scrivo un giallo la mia premura di marketing deve essere mirata affinché i lettori di Camilleri, Malvaldi, diciamo gli amanti del genere sappiano della mia esistenza.
          Poi ill lettore può leggere la sinossi e non comprare. Però bisogna ricordarsi sempre che la fiducia del lettore va conquistata pian piano.
          Il potenziale lettore potrà sentir parlare del libro una volta, due volte, tre volte, alla quarta dirà: perché no, provo a dargli fiducia.

          • Condivido. La fiducia si conquista lentamente e non va mai tradita, che è un po’ quello che intendevo dicendo che il marketing non deve prendere in giro nessuno.

      • A mio personalissimo parere, la chiave del successo sta in due elementi: eccellenza del prodotto e esclusività. Che consiste nell’anticipare i tempi rispetto alla richiesta futura e produrre un prodotto altamente qualificato. A quel punto, come dici tu, è sufficiente far sapere al mondo che esisti. Il marketing è già bello pronto.

    • Se dovessi rispondere in modo sintetico, mi basterebbe una parola: pessimo. Ebbene sì: il mio rapporto con il marketing, in tema di scrittura, è pessimo. Quindi, rifacendomi al titolo del post, sarei nettamente nella fazione “odi”, per una pura questione di spontaneità. Involontariamente ho anticipato la risposta sul mio retroblog, giusto settimana scorsa.

      • Silvia

        Trovo per certi versi sconfortante che chi vuole dedicarsi alla scrittura debba anche improvvisarsi venditore porta a porta. Richiede in termini di studio e di impegno almeno tante energie quante ne richiede la stesura di un libro. Non so se dovessi mai pubblicare un libro come mi comporterei in questa prospettiva.
        Nel frattempo leggerò il tuo post! 🙂

    • Pessimo 😀
      Soprattutto perchè ormai me lo trovo ovunque.
      Poi l’onestà mica è sufficiente. Anni fa un produttore di latte pubblicizzava il suo prodotto dicendo “il nostro latte è imbottigliato solo in bottiglie di vetro accuratamente sterilizzato”. Vero. Ma vero per ogni produttore di latte. L’averlo sottolineato però gli fece aumentare le vendite. Non è solo questione di verità, ma anche di come la racconti (e così torniamo al tema della scrittura :P)
      In campo letterario il rischio, o il problema, è che emerga chi fa marketing migliore piuttosto che chi scrive meglio.

      • Certo, il tizio del latte non dice una bugia, ma l’etica per me è un’altra cosa. Se so di far passare per eccellenza quella che è normale amministrazione, sto prendendo in giro il consumatore.
        Quella che sottolinei è una gran bella domanda: vende di più chi scrive cose migliori o chi migliori le fa apparire? E chi stabilisce quali siano migliori, se escludiamo il fattore vendite? 🙂

        • Nell’immediato chi le fa apparire, nel lungo periodo chi scrive cose migliori. Il rischio è che i frutti del lavoro se li godano i nipoti 😀
          Comunque se la pubblicità può essere etica quella del latte è una pubblicità etica, non mente, si limita a sottolineare una caratteristica del loro prodotto che attirerà il consumatore.

          • Abbiamo scritto quasi in contemporanea più o meno la stessa cosa. Beate le nuove generazioni, se i nonni avranno fatto bene! 😀

            • Ma anche noi, su. Se prendi libri di cui si parla ancora dopo una decina d’anni molto probabilmente saranno buoni libri 😉
              Quelli che sono solo fenomeni del marketing spariscono dopo un paio d’anni, in genere.

              • Silvia

                Sì certo. A fronte di fenomeni puramente di massa, ci sono ottimi prodotti editoriali. Questo è innegabile.

        • Al di là del gusto soggettivo e delle mode, vende di più chi si vende bene. Nel lavoro caproni assoluti, venditori di fumo che fanno carriera sono all’ordine del giorno, ahimè.

          • Vero, però sul lungo periodo anche nel lavoro i nodi vengono al pettine, non tutti magari ma buona parte 😉

          • Da inguaribile ottimista, spero che il mercato si orienti sempre di più nello spazzare via i venditori di fumo e abbiano invece ciò che meritano quelli che producono qualità. In certi segmenti produttivi per certi versi sta già avvenendo. Nel campo del food per esempio si va sempre più alla ricerca della qualità e dell’eccellenza. E se un giorno capitasse anche nell’editoria? Si tratta di allevare giovani che amano leggere, e secondo me ci sono buone possibilità che ciò accada. Anche se probabilmente lo vedranno i nostri bis-bis-nipoti. 🙂

    • Aiuto! Odio i bisogni indotti, quella pubblicità che ti fa pensare “oddio, forse avrei bisogno di quella cosa, la mia vita sarebbe migliore” anche se si tratta soltanto di un articolo semi insignificante, di solito rispondo “no”. Difficilmente si riesce ad abbindolarmi ma solo perché sono molto attenta nelle mie spese. Per quanto riguarda la scrittura, il mio primo editore disse: ti sei rivelata un’ottima venditrice, sì, è vero misi in atto tecniche empatiche casalinghe, come questa http://frolliniacolazione.blogspot.it/2011/09/limited-edition.html e molte altre che furono nel mio piccolo un vero successo. Sono passati 6 anni da quell’uscita e molto è cambiato nell’editoria, in peggio, l’evento del self ha scompaginato tutto e ora credo che queste mie idee semplici-semplici (che comunque mi portarono via un sacco di tempo, energia e furono un investimento) non funzionerebbero più. Ieri ho invitato il romanzo a bookabook, toccherà studiare qualcosa di nuovo. Un bacione

      • Silvia

        Anche su di me la pubblicità in genere ha ben poco effetto, se non altro perché da buona biellese (in questo siamo secondi solo ai genovesi) sono piuttosto tirchia. E’ vero però che amazon con i libri su di me ha fatto centro. Mai comprati tanti libri da quando con pochi euro mi arrivano in tempo reale. Io poi che amo il cartaceo!
        Le tanto bistrattate casalinghe sono ben più avvedute di certi manager. Metti una casalinga al ministero dell’economia e ti risolleva l’Italia. 🙂
        Per bookabook, non ho dubbi, chiuderai la campagna in un tempo ridicolo. Per quanto nelle mie capacità, mi metto fin da ora a tua disposizione. Sarà un successone! 😀

    • Super grazie! 😀 alla fine ho deciso di mandarglielo ora perché ho proprio bisogno di una ventata di aria nuova.

    • Il mio rapporto col marketing? A fasi lunari.
      A volte pubblicizzo meglio gli altri che me stessa. Altre volte butto là un’idea a caso e diventa un successo per sbaglio. Quando tento di capirci qualcosa (la famosa strategia di marketing) mi pare che la relatività di Einstein sia più semplice.
      Forse ci tornerò su anch’io su questo tema. Perchè se scrivo un racconto breve, mi dicono che è troppo lungo e si addormentano in treno. Se scrivo un testo del cavolo per puro sfizio, senza nemmeno starci a pensare su, si mobilita l’esercito di lettori (ma dove stanno il resto del tempo sti qua????) Questa settimana è proprio in trigono…
      I social comunque sono fondamentali. L’ultimo mio post, che poi è un guest post, è sbalzato in vetta solo per l’aggancio con l’hashtag ufficiale su Twitter ed il retweet del British Council. In un giorno, ha sbaragliato le visualizzazioni già ottime del resto degli articoli (il più letto è Dimmi che lavoro fai e ti dirò che scrittore sei…merito dei pinguini di Madagascar, già lo so).
      Però non riesco a star là a leggermi statistiche di Google, tweet più visualizzati, insights di Facebook, popolazioni d’utenti, giorni e orari di lettura, provenienza geografica, chiavi di ricerca e basare l’articolo successivo su questo…perchè, come dici tu, sarebbe prendere in giro il lettore. Scriviamo storie. Il marketing per noi dev’essere altro.

      • Personalmente ritengo più utile twitter di facebook. Un po’ per una questione di livello dell’utenza (senza voler essere snob) e per le aspettative dell’utenza: su facebook ci si va più per svacco che per reale ricerca di contenuti. Un po’ perché attraverso gli hastag si può mirare il messaggio su un target specifico di destinatario. Inoltre Facebook, a meno di utilizzare le sponsorizzate, altrimenti chiude in una cerchia di persone: si fa rete, sì, ma ci si rimane pure imbrigliati. 🙂

    • Credo che il miglior marketing sia quello inconsapevole. Vale a dire: non pensarci, essere se stessi, lavorare duro sulla storia, e incrociare le dita. Perché ci sono un sacco un guru, esperti, maestri: ma senza un colpo di fortuna, spesso non vai da nessuna parte. E per quella non mi risulta che ci siano guide, corsi, webinar o libri. Devi muoverti, diranno i guru: e lo so pure io che devo muovermi. Ma il tempo è quello che è, se devo scegliere tra scrivere e marketing, scelgo scrivere. Anche perché è lì dentro, nelle storie che uno scrive, che si nasconde il segreto di tutto… 🙂

      • Secondo me, come già detto in altri commenti, il mercato alla lunga premia la qualità che, in fondo, come dici tu, è marketing inconsapevole. Per cui non posso che concordare: precedenza assoluta allo scrivere, al marketing, semmai, ci pensiamo dopo. 🙂

    • Il mio rapporto con il marketing è sereno: l’ho studiato bene all’università, e anche se devo aggiornarmi ne conosco i principi base. Al momento però non è in testa alle mie priorità. In futuro, si vedrà. 🙂

      • Avere delle basi dallo studio è la cosa migliore in qualsiasi ambito. Se potessi avere la bacchetta magica, vorrei potermi laureare almeno in 7/8 facoltà diverse!

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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