L’ultimo capitolo de La Trilogia delle Erbacce: la mia intervista a Marco Freccero

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    L’ho detto subito a Marco: sono molto soddisfatta di questa intervista.

    Prima di tutto perché per me è un onore ospitare sul mio blog autori di questo calibro (domani, appena in tempo prima dell’inizio del Calendario dell’Avvento, troverete la mia intervista graditissima ad un altro ospite d’eccezione: Massimiliano Riccardi con il suo Joshua), poi perché Marco è un ottimo soggetto a cui porre domande: le sue risposte sono misurate ed efficaci tanto quanto i suoi racconti.

    Tra pochi giorni uscirà l’ultimo capitolo della sua Trilogia delle Erbacce.

    Poiché ho avuto l’onore di leggere in anteprima gran parte dei suoi nuovi racconti, la mia intervista, già in programma da tempo, ha potuto beneficiare di nuovi interessanti spunti di riflessione.

    la mia intervista a marco freccero

    Ciao Marco e benvenuto sul mio blog. Come sai, questa è una delle interviste a cui tengo maggiormente. Tempo fa in un post spiegai i motivi per cui, secondo me, gli scrittori come te, come Sandra Faè, come Serena Bianca De Matteis o come Massimiliano Riccardi, sebbene considerati meno famosi, meriterebbero addirittura maggior attenzione di quelli più famosi.
    Insomma, la rivincita del tanto bistrattato self e degli autori che pubblicano con case editrici minori.

    Ciao Silvia. Innanzitutto grazie dello spazio che mi concedi, e soprattutto di quello che dici; è un vero balsamo che fa bene al cuore. Ma sei certa di non scambiarmi per qualcun altro? Va bene: questa era una battuta. Da adesso in poi sarò serissimo.

    1. Ho avuto la fortuna di leggere in anteprima alcuni racconti della tua nuova raccolta. Quando avvicinai Non hai mai capito niente, la tua opera sviò la mia attenzione dalla lettura di Chiedi alla polvere di Fante. Ora la stessa cosa mi è accaduta con i tuoi nuovi racconti che mi hanno trascinata via dalla lettura di La manomissione delle parole di Carofiglio.
    Come dire? Confermo quello che ho detto in premessa: voi scrittori meno conosciuti siete più big dei big. So che tu sei una persona molto modesta e che non confermerai, ma che cosa pensi di queste mie parole?

    Non credo di essere una persona modesta, ma consapevole dei miei limiti, quello sì. Chi racconta storie, si sa, è molto presuntuoso, altrimenti continuerebbe a leggere. E di storie straordinarie il mondo è già pieno, per fortuna. Invece di ringraziarti (però lo farò lo stesso: grazie), e per evitare che chi legge pensi che ci stiamo facendo i salamelecchi, ti dirò quello che forse già sai. Chi scrive è come un assetato in un deserto, e quando pubblica, sente che è arrivato il Giorno del Giudizio. Tutto quello che fino a ieri sera era buono, adesso è puro orrore. Ho cercato, nello scrivere questi racconti, di essere corretto e onesto nei confronti dei miei personaggi, e spero di esserci riuscito. Il mio motto è o non è: “Prima la storia, poi il lettore”? Solo in questa maniera si riesce a raggiungere davvero il lettore. Se tu mi confermi che ci sono riuscito: ti credo!

    2. Il tuo nuovo libro (di cui non sveliamo ancora il titolo) è il terzo capitolo di una trilogia, la Trilogia delle Erbacce, e segue Non hai mai capito niente e Cardiologia. Come è nata la decisione di scrivere una trilogia e come si legano tutti questi racconti tra di loro?

    Scrivevo i racconti di “Cardiologia”, e mi sono reso conto che c’era un filo rosso che univa quanto stavo creando, con quello che avevo scritto in precedenza. E non era soltanto per via dell’ambientazione (Savona, o i suoi dintorni). No: era una certa specie umana, una categoria di persone che vengono o ignorate, oppure umiliate, ridotte a “casi umani” per la televisione. Io non avevo e non ho intenzione di metterli alla berlina come invece succede quando costoro escono dall’ombra dove vivono. Desidero raccontare chi sono, ridare loro un volto, una voce; ma non per urlare. Per parlare, per mostrare cosa sono, o cosa erano. Non devono piacere né a me, né al lettore e neppure essere simpatici o “carini”; la mia speranza è che siano sgradevoli. Vorrei, ma chissà se ci sono mai riuscito, che chi legge i miei racconti “inciampasse” su di loro, cadesse. Per vedere, quando si rialzerà, se sarà davvero in grado di provare pietà, compassione per loro. E per se stesso.

    3. La mia sensazione, avendo letto da non molto Non hai mai capito niente, è che questa nuova sia una raccolta più poetica. Per quanto si ritrovino temi molto simili, il tuo stile mi è parso appunto più poetico e in un certo senso più coinvolto nelle storie, come se i personaggi ti avessero toccato da vicino. Ti ritrovi in questa mia osservazione?

    Più poetico? Non so. Quando scrivi delle storie sei troppo coinvolto per riuscire a capire certi dettagli, le sfumature insomma. Ricordo un episodio che raccontava lo scrittore Ignazio Silone. Un gruppo di operai si era deciso a scrivergli per chiedere chiarimenti su un certo passo, contenuto in un suo libro; non erano d’accordo sull’interpretazione da dare. E lui confessava che lo aveva scritto senza nemmeno rifletterci… Questo per dimostrare che spesso chi scrive semina senso, e significato, senza averne consapevolezza. Quindi: immagino che tu abbia ragione. C’è più poesia, ma come si dice? A mia insaputa.

    4. Leggendo i tuoi racconti non ho potuto non pensare a Fabrizio De André, il grande cantautore degli ultimi, ligure come te. E’ un caso o c’è davvero una connessione con il tuo conterraneo?

    Adesso ti deluderò. Ho un 33 giri di De André, ma non posso affermare di conoscerlo davvero, e perciò temo che non ci sia una connessione con lui. O forse c’è, ma è “inconsapevole”. Gli Stati Uniti, con Woody Guthrie, Bruce Springsteen, hanno avuto un maggiore impatto sul mio modo di osservare e affrontare la realtà. All’inizio, adori tutto, proprio tutto: il Far West, il Sogno Americano, le Cadillac, e via discorrendo. Poi ti rendi conto che le storture, gli orrori e gli errori sono giganteschi, esattamente come quelli che vedi sotto casa, o nel tuo Paese. Allora cerchi quelle voci che, meglio di te, sono capaci di dar voce alla tua delusione; almeno agli inizi immagino che funzioni così per tutti. Ti senti tradito, ma senti anche il dovere di capire, e allora cominci a cogliere nella realtà quello che resta genuino e onesto, nonostante tutto.

    5. Il tema del lavoro inteso come lavoro negato, come sfruttamento o come causa di frustrazione è centrale nei tuoi racconti. Parli di una Liguria depressa, colpita dalla recessione. Ma allo stesso tempo parli anche di orgoglio: quello delle classi più disagiate che cercano l’affermazione di se stesse attraverso la consapevolezza di sé. In un racconto, a un certo punto un personaggio dice:
    – Gianni però non aveva ragione su tutto. Su una cosa si era sbagliato – dissi io all’improvviso. Tutti mi guardarono, in attesa che mi spiegassi. Dissi: – Era uno dei primi giorni di lavoro al magazzino. Lui mi disse che i figli dei notai, dei professionisti, si aiutano. Era il loro pregio. È qui che si sbagliava. Perché è anche il nostro. – Restammo in silenzio per qualche istante. Clara infine disse: – È vero.
    E se passasse proprio da qui la rivoluzione della classe operaia? Dall’amore verso se stessa invece che dall’odio verso la casta?

    Difficile rispondere. Ho letto di recente che nel 2021 il 6% dei lavori presenti negli Stati Uniti saranno scomparsi. A causa dell’intelligenza artificiale, dei robot. Il 2021 è domani mattina, e presto anche qui da noi sentiremo gli effetti di quello che accade laggiù, ma moltiplicati per… cinque? Il progresso non si ferma, certo, ma non vedo nessuno in grado di dire come stanno le cose, e proporre qualcosa di nuovo e differente. Perché siamo già dentro a una serie di cambiamenti radicali, che spazzeranno via ogni cosa. Noi viviamo all’interno di strutture, e idee, di derivazione ottocentesca, oppure della prima metà del Novecento. Ma tutto questo è andato; o sta per andare. L’alternativa? Non scorgo nulla all’orizzonte. Davvero non so che dire, tranne che nel medio e breve termine sono pessimista. O meglio: realista. Nel lungo termine sono molto ottimista.

    6. Nei tuoi racconti la società è spesso responsabile della sciagura dei più deboli. Tuttavia, i protagonisti dei tuoi racconti, benché vessati dalla vita, giungono ad un’assunzione di responsabilità autonoma, tanto che uno di essi (di cui non diciamo altro per non spoilerare) dirà esplicitamente dopo il proprio fallimento: Ciascuno è responsabile di quello che costruisce. Sei d’accordo con il tuo personaggio?

    Sì, credo di poter dire di essere d’accordo con lui. Il personaggio ci arriva grazie alla rovina, ma è una rivelazione a mio parere pesantissima. Non è una di quelle cose che, raggiunta, ti fa tirare un sospiro di sollievo. Noi tutti spesso deleghiamo, addossiamo responsabilità al Dna, a chi c’era prima di noi, a chi ci sarà dopo: perché vogliamo semplicità e leggerezza. Questo spiega il grande successo che riscuotono le dittature. Vivere è un lavoraccio, con poche pause e tanta fatica. Era meglio restare scimmie, mi dico ogni tanto. Poi penso a Giotto, a Vivaldi, a Bach, e capisco che è una fortuna non essere scimmie.

    7. Tu stesso hai sovente ammesso di non amare il mare. Almeno quello degli ombrelloni e della calca estiva. Eppure la tua terra entra prepotentemente nei tuoi racconti e si percepisce un grande amore. Che cos’è la Liguria per Marco Freccero?

    Ti svelo questo: nel dialetto ligure “male” e “mare” si pronunciano alla stessa maniera. Il ligure è costretto ad avere a che fare con il mare: non ci sono pianure, o quasi, e bisogna allora far buon viso a cattiva sorte, per campare. Vale a dire, andare per mare. Ma credo che resti un animale da terraferma. Per me la Liguria è il luogo delle storie: bisce enormi quanto un’anaconda che infestano il bosco, patate talmente grandi che per trasportarne una sola ci vuole un carro. Uomini che spostano i confini del terreno del vicino e che per questo, una volta morti, hanno il corpo pesantissimo, oppure si agita nella cassa. O ancora, arrivano al galoppo cavalli che nessuno vede, per portare l’anima all’inferno. Soprattutto è la terra dove l’asprezza delle persone, anche la loro cattiveria, mi ha spinto a compiere una scelta. Odiare, o avere almeno compassione, e infine amore per costoro. Cosa ho scelto spero sia evidente.

    8. Non sei certo il classico scrittore da lieto fine. Tuttavia, nonostante l’atmosfera pesante, spesso asfittica, che permea le tue storie a causa dei temi trattati, sovente i tuoi finali lasciano delle possibilità ai protagonisti. Nonostante tutto, c’è sempre una speranza?

    Se non ci fosse speranza, non racconterei storie. E chi non spera nemmeno legge, immagino. Ma non credo nel lieto fine proprio perché spero. Fatico a credere che questo mondo sia capace davvero di compassione: chi di noi ha compassione di Trump? Nessuno, ma quasi tutti ne hanno per Hillary. Io so che sono sciagurati entrambi. Lo scopo delle storie è ricordare a ciascuno la propria miseria, in maniera che non ci si monti troppo la testa. Insomma, per farla breve e non incartarmi in discorsi filosofici: si spera perché si è consapevoli che non c’è via d’uscita, non perché c’è. Se ci fosse, basterebbe la buona volontà, o no?

    9. Leggendo te mi sono avvicinata a Raymond Carver, di cui in precedenza non avevo letto nulla. Quanto c’è dello scrittore statunitense nei tuoi racconti?

    Moltissimo. Lui mi ha insegnato a osservare, prima invece guardavo. Se guardi, giudichi. Se osservi ti devi per forza avvicinare, sporcare, e soprattutto capisci che o sei al servizio della storia, oppure sei un chiacchierone. Magari di successo, ma chiacchierone. Come ripeto spesso: per me è stata una rivelazione. C’è stato un prima e dopo Raymond Carver. Leggete “Cattedrale”, se non lo avete ancora fatto. Almeno quello!

    10. Sul perché scrivi racconti hai già detto molto tu sul tuo blog. Però una piccola confidenza vorrei strappartela: possiamo aspettarci un romanzo di Marco Freccero? Sarò sincera: ci si prende così tanto gusto a leggere i tuoi racconti che davvero amerei un tuo romanzo…

    Be’, c’è un progetto che ho pomposamente chiamato “IOTA” per darmi un tono. Sono una persona molto provinciale, e per questo devo far credere di essere chissà chi e di lavorare a chissà cosa… Non so bene se ne sarò all’altezza, perché è davvero ambizioso (e prima della fine del 2018 dubito che riuscirò a combinare qualcosa). Potrei persino dire, in una frase, di che cosa tratterò; ma siccome ho grossi dubbi sulle mie capacità, preferisco tacere ancora. Naturalmente ci sarà Savona, ancora lei come protagonista. Ci sono dei bei personaggi (a me paiono belli e profondi, poi chissà…), ma di più non dico perché non so se sarò davvero in grado di scriverlo. Intanto raccolgo materiale, leggo. Vedremo…

    Grazie, Marco e in bocca al lupo per la tua nuova racconta di racconti, anche se per me è già stata un successo.

    ********************************

    avatar_marcp-frecceroMarco Freccero nasce nel 1966 in provincia di Savona, dove risiede. In passato ha lavorato come operaio, magazziniere, commesso, aiuto magazziniere, addetto alla vendita, autista.

    Adesso fa parte del team EspertiMac del sito BuyDifferent-TrenDevice e per essi produce libri elettronici e videocorsi destinati a insegnare l’uso dei computer Mac e dei dispositivi mobili Apple alle persone.

    Per la casa editrice 40K ha scritto il libro elettronico: “Starter kit per blogger”.Scrive soprattutto racconti, che sono sfociati in un progetto: la Trilogia delle Erbacce. La terza raccolta, quella conclusiva, dovrebbe apparire entro la fine del 2016. Le prime due: “Non hai mai capito niente” e “Cardiologia” sono in vendita sui principali negozi online

    Cura un blog: https://marcofreccero.wordpress.com  (dove spiega che cosa sia questa “Trilogia delle Erbacce”; ma non solo!).

    Ha anche un canale YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCKVAeNG6vlfWQ6x5Sa7N-wg
    Ha una pagina su Facebook (https://www.facebook.com/insiemenelbuio/)
    Ed è presente su Twitter: @certi_racconti

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    29 Comments

    • nadia

      Spero di essere la prima a commentare.
      Il solo fatto che Marco sia di Savona mi riempie di orgoglio, è la mia città natale, quella che ogni volta che rivedo mi fa sobbalzare il cuore. Che poi sia bravo non ci sono dubbi, forse un po’ troppo realista nei suoi racconti: a volte mi pare di leggere davvero scorci di vita quotidiana, ben più definiti delle notizie che passano alla tv. Una sorta di approfondimento letterario. Ho letto ad ora solo Non ho mai capito niente e su alcune storie ho fatto il tifo che tutto andasse per il meglio perché mi sono affezionata ad alcuni personaggi. La ragazza che si improvvisa a guidare camioncini per fare le consegne ad esempio. E’ davvero uno spaccato di cruda realtà quella che racconti e posso solo che restare in attesa di leggere il nuovo capitolo in uscita.
      Complimenti per portare alto il nome della bella Signora e continua così, i tuoi video sono davvero molto piacevoli.

      • Grazie!
        Certo che “portare in alto il nome della bella Signora”… Forse stai esagerando! 🙂

        • Pensa Marco che io subito pensavo che Nadia si riferisse alla Juventus!! 😛

          • nadia

            Ah non lo so se si usa dire anche per la squadra calcistica, ma per me è solo lei. Savona.

            • Non farci caso, Nadia. Sono io che, da piemontese che non conosce molto Savona, penso subito al calcio. 🙂

              • nadia

                Vedi siamo pari io non conosco una cippa di calcio

    • Bella Intervista. Brava Silvia: non è facile far parlare un ligure 😉
      E bravo a Marco, che non si stanca di scrivere le sue storie e ci apre gli occhi su un mondo che non sempre conosciamo.

      • Grazie, Morena, e benvenuta sul mio blog.
        Hai detto bene: Marco è molto abile a farci un mondo che non sempre conosciamo e vedere situazioni a cui spesso non pensiamo. Il tema delle “erbacce” mi ha affascinata davvero.

      • Belle e buone erano le domande. 🙂

    • Molto bene, bella questa intervista. Devo dire che trovo Marco un autore interessantissimo. Mi è capitato di parlarne con altri colleghi blogger, ho sempre sottolineato il tratto di intelligente ironia che traspare dal suo modo di essere. Credo che ci vorrà solo tanta pazienza, arriverà il suo momento, merita. Mi piace così tanto che gli perdono persino di essere savonese 😀 😀 😀 Complimenti all’intervistato e all’intervistatrice.

      • Grazie, Massimiliano.
        Ti aspetto qui, domani! 😉

      • Grazie.
        Ah. Sei genovese, già. Genovese. GENOVESE. Ridateci le torri!!! 😉

    • Io sto ancora terminando la prima raccolta di racconti, me li gusto come cioccolatini, con l’esterno dolce si apre sul ripieno liquoroso, a volte amaro, ma pur sempre buono e denso.
      Ho già la mia copia di Cardiologia e aspetto anche questo nuovo. Un cioccolatino tira l’altro.
      Solo dalle copertine però noto un cambiamento, quale esteta sono. La prima in bianco e nero, nella nebbia cupa, in un viottolo triste. La seconda con un muro davanti, colorato vivacemente, ma pur sempre un muro, con una porta, forse apribile forse no, e delle finestre murate. E il cielo blu sopra. Vorresti puntare all’infinito, quasi lo tocchi, ma c’è ancora il muro che ti trattiene.
      La terza, ipotizzo sia questo nuovo edificio a specchi che ha usato anche come cover su Facebook (e spero non mi smentisca tra qualche giorno), rilascia ancora di più speranza: non è un muro, ma un’edificio specchiato, con terrazze e finestre, arioso, e la punta dell’edificio ti trasporta in alto, stavolta davvero verso il cielo. Possiamo supporre tra questa variazione cromatica e costruttiva si rifletta anche nei racconti? Toccherà leggere, per saperlo. 😉

      • Per quanto riguarda la copertina non so nulla e anche se lo sapessi ovviamente non te lo direi. 😉
        Tuttavia condivido la tua analisi per quanto riguarda il testo: come ho detto nell’intervista, ho trovato questa raccolta per certi versi più poetica e ho anche trovato una grandezza d’animo in certi personaggi che potrebbe essere paragonata a uno sguardo verso il cielo. 🙂

      • Io taccio, non dico nulla. 🙂

    • Una bella intervista io ho letto i primi due libri di racconti di Marco e sono curiosa di leggere il prossimo *_*

      • Grazie, Giulia,
        Te lo consiglio sinceramente. In certi passi l’ho trovato persino commovente. 🙂

    • “Chi scrive semina senso, e significato, senza averne consapevolezza. ”
      Solo per questo comprerei tutti i tuoi racconti, se non l’avessi già fatto. Come fangirl sono uno schifo, non ho ancora letto tutto, ma quello che ho letto spesso mi ha strappato una lacrima e mi ha fatto venire la voglia matta di abbracciare il protagonista.
      Come ho già detto altrove, Marco, meriti molto più tempo di quello che ti ho dedicato finora.
      E quest’intervista è bellissima.
      (aggiungerei che anche i tuoi video non scherzano, ma poi sembrerebbe proprio una sviolinata)

      • Grazie.
        È vero, meglio contenersi! Che poi dicono che siamo tutti un magnamagna, una cricca, una loggia 😉

      • Sono d’accordo, Serena.
        Le risposte di Marco mi hanno conquistata. Da sole valgono lo sforzo di acquistare i libri di Marco.

    • Brava Silvia, bella intervista. Mi ha incuriosito la poesia che tu hai visto nei racconti di Marco: mi piacerà verificarne la presenza. Marco, per me, è una garanzia fin dalla sua prima raccolta, è inutile dire che sto aspettando di leggere l’ultimo capitolo della Trilogia con rinnovato interesse. 🙂
      Tuttavia, questa faccenda del mare che lui non ama tanto…

      • Preferisco la montagna: d’estate però 😉

      • Grazie, Marina.
        Sì, l’ho chiamata poesia anche se non sono certa che sia il termine giusto. A me lascia un gusto leggermente diverso, forse c’è più speranza, non lo so. Appena l’avrai letto sono curiosa di sapere che cosa ne pensi. 😉

    • Bella intervista, letta tutta d’un fiato. Mi ha colpito la frase “Lo scopo delle storie è ricordare a ciascuno la propria miseria, in maniera che non ci si monti troppo la testa.” a proposito del non-lieto fine dei racconti di Marco. Eppure sono d’accordo con Silvia, la speranza è palpabile, c’è sempre una porta aperta. Beh magari non proprio sempre, perché ancora ricordo un finale della prima raccolta che mi ha scioccata… ma in linea generale è così. Allora aspettiamo tutti con ansia il grande debutto del terzo volume!

      • Grazie, Maria Teresa.
        Dici bene, c’è sempre una porta aperta. Ed è quella che dà senso al racconto stesso.

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

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