La donna del faro

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    Ursula guardò fuori dalla finestra gelata. Ancora una volta non c’era nessuna nave all’orizzonte. Infilò il giaccone pesante, calzò gli scarponcini e le stringhe dure, nell’atto di legarle, le fecero sanguinare le dita bianche.

     

    Accostò la mano alle labbra secche e succhiò producendo un breve fischio. Il sangue smise di scorrere.
    Premette la berretta ruvida sul capo e spinse giù finché le orecchie risultarono completamente coperte dalla lana.

     

    Spalancò la porta e si immerse nella bufera, fingendo con se stessa una buona scusa per giustificare l’uscita. Aveva solo bisogno di aria fresca.

     

    Vicino al mare il rumore del vento era più intenso. Copriva persino il battito cardiaco.

     

    Un uomo era immobile vicino al faro. Le falde della giacca aperta gli sbattevano contro la stoffa dei pantaloni gonfiata dal vento. Gli spruzzi delle onde infrante contro gli scogli producevano raggiere sottilissime e colpivano il volto dell’uomo come milioni di piccoli spilli acuminati. Lui stava ritto ma si percepiva la tensione del suo corpo nel reggere il peso della bufera.

     

    La donna fece un cenno per richiamare la sua attenzione. Lui non diede alcuno segno di averla vista né di aver percepito le parole che uscivano senza suono dalla bocca della donna.

     

    Ursula avanzò nella bufera, come se le sue ginocchia salissero gradini invisibili. Gli tirò il fondo della giacca e l’uomo si girò con un sussulto, tirando a sua volta, come se l’abito gli fosse rimasto impigliato in una sporgenza.

     

    – Deve togliersi di qui. Tra poco salirà la marea.
    – Mi lasci perdere, ho una missione da compiere.
    – La marea, ho detto. Salirà e la sommergerà. Venga con me.
    La presa dell’uomo divenne più flebile e la donna riuscì ad avere ragione di lui e a tirarlo per un braccio.

     

    S’incamminarono l’uno dietro l’altro, sballottati come navi in balia della tempesta. Navigatori silenziosi, ognuno col proprio viaggio.

     

    La donna aprì la porta di casa. Era una catapecchia solitaria appena a pochi metri dal faro. Doveva essere stata una villetta, un tempo. Prima di entrare Ursula girò la testa per assicurarsi che l’uomo la seguisse. La prospettiva di trovarsi un cadavere sull’uscio la preoccupava di più che portarsi in casa uno sconosciuto.

     

    – Cosa stava facendo lì fuori? Non ha letto i cartelli? Qui la marea sale rapida. Se non si sta attenti in pochi minuti ci si trova in mare. Non sarebbe il primo che annega in questo tratto.

     

    – Non volevo spaventarla.
    – A me? Ci vuole ben altro per spaventarmi. Ora metto su il té, ho bisogno di scaldarmi. Se vuole gliene offro una tazza. Appena la bufera si placa può anche andarsene. Ma non mi faccia lo scherzo di annegare qui davanti.

     

    L’uomo si strinse le mani e sussurrò qualcosa di incomprensibile.
    – Posso?
    – Si metta lì sulla sedia. Le porto qualcosa di caldo.
    Ursula attizzò il fuoco con un grosso ciocco di legno e prese da sopra la stufa una pentola fumante d’acqua calda a cui aggiunse generose cucchiaiate di foglie secche. L’aroma di tè speziato avvolse la stanza.
    – Ha fame?

     

    Senza aspettare la risposta gli allungò una fetta di torta rozzamente appoggiata su un foglio di carta. Aveva un aspetto stantio.

     

    L’uomo l’afferrò e ne staccò grossi bocconi senza curarsi delle briciole umide che gli sporcavano il viso là dove i peli rigidi cercavano di trasformarsi in baffi.
    – Cheesecake, la mia preferita.
    – E’ il compleanno di mio marito, tra poco sarà di ritorno.
    L’orologio segnava le diciotto.

     

    L’uomo si guardò intorno nella stanza: a parte gli scarponcini che indossava Ursula, di almeno tre numeri più lunghi del suo piede, non c’era alcun segno della presenza di un uomo.

     

    – Mi chiamo Joseph. Non vorrei che avesse frainteso il motivo per cui stavo qua fuori.
    La donna lo guardò con occhi vuoti, da uccello.
    – Ho fatto un voto. Tutti gli anni, l’undici di dicembre vengo al mare. Da quasi trent’anni. Scelgo ogni volta un faro diverso. Ho percorso tutta la costa. L’anno scorso sono stato a Cap Frehel.

     

    L’uomo, sporgendosi verso il tavolo, appoggiò la carta unta di torta. Si pulì le dita in un fazzoletto. Frugò nelle tasche ed estrasse un piccolo manoscritto. Era avvolto in una specie di carta velina consunta. Non odorava più di fresia. Ma lui, sfiorando la carta croccante, ebbe la sensazione di sentire ancora il profumo di lei.
    – Non mi è rimasto nient’altro. Me lo diede prima di partire. Andò in America, il  suo futuro marito l’attendeva là. La sua famiglia aveva già deciso tutto. Non ci fu niente da fare. Clandestini, giurammo che ci saremo ritrovati. Per questo vengo ogni anno al mare. Per chiedere che me la riporti. Almeno una volta.

     

    Ursula si voltò di schiena e col corpo nascose l’atto di accendere una sigaretta. La sigaretta tremò tra le labbra contratte in una specie di bacio arido. Le mani giunte, come se stesse pregando, stringevano il fiammifero.

     

    Tirò una boccata esagerata, come se le fosse tornato finalmente il fiato dopo una lunga attesa.
    – Non si faccia illusioni, il mare non restituisce nulla di ancora vivente.

     

    Lui accarezzo il piccolo libro come se fosse un viso.
    – Sa qual è la cosa peggiore? Inizio a non ricordare più il suo volto. Allora immagino i contorni.
    Ursula scrutò il mare ormai annerito nell’oscurità. Nessuna nave, ancora, all’orizzonte.
    – Ora può andare. La marea  smesso di salire, non si sbaglierà più.

     

    Joseph si alzò lentamente. Forse era un uomo vecchissimo. Infilò il pastrano e, prima che potesse andarsene per sempre, Ursula lo trattenne per un ultimo infinito istante.
    – Chiuda la giacca, fa molto freddo là fuori.

     

    E mentre usciva dalla stanza e dalla vita di Ursula, Joseph finse di non vedere il ritaglio di giornale, ben riposto sul comò, che raccontava del naufragio del guardiano del faro.

     

    Questo racconto partecipa al contest ideato da Barbara Businaro sul suo blog Webnauta per festeggiare il suo primo compleanno. Tantissimi auguri a Barbara e grazie per aver ideato questo bellissimo concorso. Partecipate numerosi, ne vale davvero la pena. 

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    27 Comments

    • Tiziana

      Silvia, poi non dire che non ti riesce scrivere racconti. Complimenti. Continua a scriverli e a pubblicarli. 😉

      • Grazie, Tiziana. Devo dire che inizio ad apprezzare la scrittura di racconti. Penso che seguirò il tuo consiglio e continuerò a scriverli. 😉
        Sul pubblicarli… sono sempre molto critica con me stessa, ma chissà… vediamo! 😛

        • Tiziana

          Non censurarti. Pubblicali. Io ti consiglio di farlo. Non so se potrebbe essere una consuetudine settimanale nel tuo blog; non sempre si ha il tempo sufficiente per far tutto.
          Potrebbe essere a sorpresa, nel senso di postare una tua storia appena l’hai scritta. Scrivere un racconto si pensa sia facile per la brevità della sua lunghezza. In realtà questa caratteristica la rende ostica poiché in poche battute, anziché in un romanzo, devi trasmettere qualcosa.
          Il racconto è tosto. Ne scrivo tanti, è un momento fecondo da questo punto di vista. E non faccio niente, le idee vengono e basta, le seguo sennò le dimenticherei. Per mia esperienza, più ne scrivo, più ho ispirazione, più ho voglia di farlo.
          Se mettessi tutti i racconti, verrebbe un’antologia.
          P.s. = è contagioso. Se segui qualcuno che scrive racconti, li leggi, poi non puoi farne a meno.

          • Hai ragione: è contagioso. Ed è anche vero che più scrivi più ti viene voglia di scrivere.
            Però (scusa se insisto) potresti aprirlo anche tu un blog con i tuoi racconti, no? 😉

            • Tiziana

              Che tu insista mi inorgoglisce. Ora non potrei, però grazie per l’appoggio. Devo far pratica. 😉

    • Brava Silvia. Complimenti. E la fresia ha trovato il suo posto nel racconto magnificamente. 🙂

      • Grazie Marina. Devo dire che la fresia è il termine che mi ha dato più problemi perché continuavo a pensare alla pianta e, a quelle latitudini, è impossibile da trovare. Poi mi è venuta in soccorso Barbara senza accorgersi, dicendo che è il suo profumo preferito. Allora mi si è aperto un mondo… 🙂

        • Alleluja! Ogni tanto qualcuno legge quel che semino qua e là, con apparente noncuranza! 😉

          • Ah, quindi c’era una precisa strategia nel tuo commento… 😉

    • nadia

      Nonostante tu sia iper critica questa volta dovrai ricrederti perché ammettilo che ti è venuto super stra bellissimo! E non lo dico solo io. Brava.

      • Grazie, Nadia. Temo che rimarrò super iper critica. Mi fa piacere, però, che vi sia piaciuto. 😉

    • Fischia che bello!!!
      Finalmente qualcuno che mi ci mette il mare e non considera il navigatore come mero aggeggio elettronico! Navigatore è una parola di ampio respiro in webnauta, quindi ci si può spaziare in ogni dove.
      Comunque, i giudici avranno il loro bel daffare: in soli 4 giorni, 3 racconti e tutti peculiari. Sarà dura! 😀

      • Per me che sono una donna di montagna, il viaggio è sempre legato all’idea del mare, sebbene a volte possa essere un viaggio immaginario. E in fondo il viaggio più difficile è quello che chiamiamo vita, con le sue innumerevoli tempeste e i suoi approdi.
        Grazie Barbara, mi fa molto piacere che ti sia piaciuto. E grazie per aver ideato questo contest che mi ha spinta a mettermi in gioco. Come sai, pubblico molto raramente i miei racconti… 😉

    • Che bellezza, la mia amata Bretagna!

      • Oh sì, Sandra. Ci sono stata due volte, ma ormai sono passati più di vent’anni. Quando ho pensato a che cosa potesse rappresentare un viaggio per me, mi è subito venuto in mente in mare della Bretagna. Quello, per me, è il vero mare. 🙂

    • Mi piaciono i finali così, sfumati 🙂 ti lasciao quel senso di malinconia…
      Fai solo attenzione alle ripetizioni 😉

      • Sì, l’idea era proprio di lasciare un senso di malinconia. Due persone accomunate da un destino molto simile (la perdita della persona amata) con due diversi modi di affrontarlo, ma ugualmente malinconici.

        Mi spieghi meglio che cosa intendi per ripetizioni? Come concetti o come utilizzo di termini? Grazie, mi interessa molto il tuo parere. 😉

        • Quisquiglie, termini ripetuti, in particolare uomo e donna. Due esempi:

          Un uomo era immobile […] raggiere sottilissime e colpivano il volto dell’uomo […].

          La donna fece un cenno per richiamare la sua attenzione. Lui non diede alcuno segno di averla vista né di aver percepito le parole che uscivano senza suono dalla bocca della donna.

          In entrambi i casi te la puoi cavare con l’uso di pronomi (Salvatore ci ha fatto una testa così di recente 😀 ) o anche con niente quando è chiaro a chi ci si riferisca.

          • Silvia

            Ok, ho capito. Grazie.
            Ti confesso che sulla ripetizione di uomo/donna, di cui come dici tu ho un po’ abusato in effetti, mi ero accorta e mi sono posta il problema. Ho scelto di non utilizzare altri termini o perifrasi per sostituirli perché volevo lasciarli molto indefiniti e che il lettore li immaginasse dalle loro azioni più che attraverso descrizioni. Potevo usare anziana, ragazza, signora? Sì, però avrei detto troppo.
            E secondo me anche il pronome personale Lei rischiava di suonare troppo delicato rispetto alla caratterizzazione che volevo dare al mio personaggio.
            Ti do pienamente ragione sul fatto che in alcuni casi si poteva proprio eliminare il sostantivo, anziché sostituirlo, oppure utilizzare un pronome (“gli colpivano il viso” o “colpivano il suo viso”), forse ho erroneamente avuto timore che non si capisse a chi si riferiva.
            Ci farò più attenzione. Grazie. 😉

    • Tiziana

      L’occhio attento. 🙂
      Silvia, piacciono anche a i pareri altrui. Un lettore più attento o un addetto ai lavori, in certi casi sono indispensabili.
      Ci sono cose che anche se le rileggi venti volte, sfuggono.

      • Sì, esatto. Per questo ha ragione Daniele quando dice che il self-editing è molto rischioso, se non impossibile. 🙂

    • Tiziana

      Ad esempio oggi mi mangio le parole. Per fortuna ho chi mi corregge. 🙂

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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