Intrattenitori e intrattenuti: la scuola di oggi come specchio della società

Indice dei Contenuti

    Ormai ne sono consapevole. Parafrasando Nanni Moretti, mi troverò sempre d’accordo con una minoranza di persone. Quindi non stupitevi se dirò cose impopolari.

    Che io sia sempre stata piuttosto critica verso un certo tipo di mentalità che ha ormai invaso ogni ambiente dove si fa (o si dovrebbe fare) educazione, non è un mistero.

    A scuola dai miei figli, sono quasi sempre l’unica a sbuffare di fronte alla lunga teoria di gite d’istruzione che maestre e dirigenti scolastici entusiasticamente presentano alla prima riunione con i genitori e mi accartoccio sul mio stomaco dolente quando inizio a sentire parlare di progetti, laboratori, esperienze di socializzazione.

    Sono probabilmente rimasta una donna del secolo scorso: forse, almeno a paragonarmi con certe idee in voga, avrei dovuto nascere nei primi del novecento, almeno adesso mi sarei sentita vecchia a buon diritto.

    Poi succede che per caso la mia attenzione sia richiamata dall’intervento di Paola Mastracola alla Fiera della Mente del 2014, (che vi consiglio di ascoltare) e che io mi accorga di non essere proprio l’unica a pensarla in un certo modo. La Mastracola, mica l’ultima arrivata, parla della sparizione dello studio, partendo dalla sua esperienza di insegnante di Lettere nel biennio di un Liceo Scientifico.

    Ma come?, verrebbe da dire, la sparizione dello studio? Proprio in questo periodo storico in cui tutti, ma proprio tutti, vanno a scuola?  Oggi, si studia di più. Senza dubbio la scuola è diventata molto più accessibile.

    Nel secondo dopo guerra era l’élite a potersi permettere di studiare, le famiglie normali non avevano i mezzi economici.

    Oggi ci possono andare praticamente tutti. E ci mancherebbe.

    Tuttavia la scuola, forse nel bel tentativo di istruire un maggior numero di persone, invece che puntare sull’abbassamento dei costi affinché l’operaio potesse aspirare ad avere un figlio laureato tanto quanto l’avvocato, ha puntato sulla semplificazione dei contenuti, pur aumentando a dismisura la quantità delle materie di studio e dei contenuti stessi.

    Insomma, tanto per fare un paragone culinario, è come se si aggiungessero molti ingredienti ad una torta, tralasciando però di farla cuocere. Ne uscirebbe un gran pasticcio, per quanto molto saporito.

    Quello che lamenta la Mastracola è proprio la mancanza di educazione allo studio da parte delle famiglie così come da parte della scuola.

    La nostra società non vede di buon occhio lo studioso. Lo studio richiede silenzio, solitudine, fatica. Ecco che lo studioso vero finisce per chiudersi talmente tanto da quasi ripiegarsi su se stesso, diventando esteticamente poco piacevole, quasi gobbo. Una sorta di Leopardi moderno, brutto e malaticcio.

    Invece noi i nostri figli li vogliamo agili e pimpanti, belli, sani e, perché no?, pure abbronzati. Se non escono con gli amici, se non hanno pomeriggi pieni di impegni, se non fanno almeno due sport a livello quasi agonistico, se non studiano uno strumento musicale, se non frequentano un corso di teatro o almeno di yoga, ecco… ci domandiamo se sono normali.

    In tutto questo rimane davvero poco tempo per studiare, considerando che rispetto ai nostri tempi trascorrono molte più ore a scuola di quanto facessimo noi.

    Io nei miei lunghi pomeriggi di bambina mi annoiavo molto. Finiti i compiti e le lezioni, si faceva merenda (sempre la stessa, latte e pan di stelle, poi vennero i grisbì, che erano molto più buoni rispetto a quelli che producono ora perché non avevano dentro la crema, erano semplicemente molli tipo cookies americani, ma questo non c’entra niente). Non avevo altri impegni se non giocare con mio fratello o guardare la televisione.

    Riempivamo con la fantasia il lungo tempo libero vuoto e poiché nessuno ci intratteneva, era compito nostro intrattenerci da soli. Non sempre i risultati erano degni di applausi, tipo la volta in cui tagliai le lenzuola del mio letto e feci con esse una ghirlanda di omini o quell’altra in cui io e mio fratello lanciammo le macchinine dal quarto piano, ciascuna con dentro un petardo acceso che esplodeva in volo (fortunatamente quel giorno non passò sotto nessuno). Non ditelo ai miei figli: fu divertentissimo.

    Ma è pur vero che c’era tanto tempo per studiare, per leggere, per approfondire.

    I compiti si facevano a casa, da soli, tutti i giorni. E a nessun genitore veniva in mente di metterne in dubbio l’utilità.

    Allora non si parlava di socialità, e i problemi (intendo proprio quelli di matematica) si risolvevano da soli, in silenzio. Così come l’analisi grammaticale e l’analisi logica che non ci si sarebbe mai sognati di fare in gruppo.

    Oggi a scuola parliamo costantemente di inclusione, di socializzazione, di bullismo. Facciamo spettacoli teatrali e lunghi dibattiti. Assegniamo ruoli ai bambini per suscitare il loro senso di responsabilità e raccontiamo loro fiabe che lancino messaggi positivi.

    Poi però se un bambino viene preso in giro o, peggio, se diventa vittima di violenze psicologiche, non ce ne accorgiamo, troppo presi dai progetti, dai laboratori. A discapito delle persone, che poi dovrebbero essere il centro dell’attenzione nella scuola.

    Oggi alleviamo bambini iperintrattenuti che non trascorrono neanche un minuto da soli con loro stessi. A due mesi li portiamo già in vacanza ai tropici, ai tempi della scuola primaria hanno già visitato tutte le capitali europee. Per i diciotto anni gli regaliamo il loro primo soggiorno negli States.

    Che bello! Quanta cultura rispetto a quella dei nostri nonni, che nell’arco di tutta la loro vita avevano sì è no espatriato fin nella vicina Svizzera!

    Peccato che poi i nostri ragazzi non abbiano più bisogno di immaginare nulla, perché hanno già visto tutto. E non hanno nemmeno la capacità di concentrarsi per più di mezz’ora su un testo perché sono abituati ad essere intrattenuti, a subire passivamente, non a interagire.

    L’interazione a cui sono abituati è quella stessa che viene proposta dalla tecnologia. E il più delle volte è passiva. Non c’è bisogno di sottolineare la differenza tra l’azione attiva nel cercare il significato di un termine sul dizionario e l’azione passiva nel digitare lo stesso termine sulla tastiera in attesa che google dia una risposta.

    La Mastracola lo dice bene: lo studio è fatica. Per i bambini, per i ragazzi ma, aggiungo io, anche per i genitori e per gli insegnanti. E’ più facile e divertente dividersi in squadre tra intrattenitori e intrattenuti. E’ molto più facile lasciare tutto in superficie, senza toccare con mano le profondità che si celano.

    Essere informati è ben diverso dal conoscere. E noi abbiamo deciso di usare male il potere concessoci dagli attuali mezzi di comunicazione. Tutti, dico tutti, siamo informati. In un attimo sappiamo tutto quel che succede in tutto il mondo. Ma di ogni notizia sappiamo poco più del titolo. Ci fermiamo ai “caratteri grossi”, quelli che ci trattengono quel tanto che basta per poter scorrere velocemente su un’altra notizia e annebbiare così il nostro pensiero. La conoscenza, invece, richiede di fermarsi.

    Siamo una società che ha bisogno di movimento: non ci è concesso un sano pomeriggio ad annoiarci.

     

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    24 Comments

    • Io non ho figli, e la mia esperienza con la scuola italiana è ormai datata; tuttavia il tuo link sull’intervento della Mastrocola mi riporta in mente un altro colloquio che la stessa tenne, sempre sullo stesso argomento, con Baricco. Te lo linko qui. Secondo me è molto interessante da vedere.

      • Grazie, Salvatore. Me lo ascolto volentieri. 🙂

    • Sono sostanzialmente d’accordo su tutto quel che scrivi (temo di fare anch’io parte della minoranza 😀 ), però aggiungerei che la radice di quel che racconti c’era già ai nostri tempi.

      P.S. la prima persona che ho sentito parlare di abolizione (sarebbe meglio dire riduzione) dei compiti fu mio padre, insegnante di matematica in una scuola superiore, che, alle soglie della pensione, decise di non assegnare più esercizi da svolgere a casa. Il suo ragionamento era semplice: se assegno dei compiti quelli bravi e diligenti li faranno tutti, pur non avendone bisogno, mentre quelli che ne avrebbero bisogno nella migliore delle ipotesi li copieranno, quindi finisco col punire i bravi. Si limitava quindi a suggerire una serie di esercizi sui quali esercitarsi. Va tenuto conto però che si trattava di un biennio di scuola superire, quando si suppone che i ragazzi abbiano già acquisito una certa responsabilità.

    • nadia

      Io direi anche peggio sulla scuola, e mi trattengo. Il mio diploma sta riposto ormai da anni e con rammarico posso dire che le mie esperienze didattiche sono state davvero impietose. Ho visto scuole piene di bambini caratteriali e con i vari disturbi a cui oggi si è dato nomi distinti, tutti raccolti insieme fare solo casino anzichè scuola, e insegnanti impreparati lasciati a governarli tipo gregge. Ma si trattava di elementari. Ho sperimentato l’asilo nido e la scuola materna. Lì siamo agli albori con l’influenza della famiglia che si riscontra nelle buone e cattive abitudini e ciò che si vede alla televisione a volte racconta la realtà di educatori frustrati che hanno sbagliato lavoro e fanno un servizio mediocre.
      Da madre posso solo dire che il livello delle elementari oggi è indecente. Cambiano nomi alle cose (tipo “tonnellata” non esiste più ora è “megagrammo”, “unità di misura” nemmeno, ora sono “marche”) e poi se domandi ad un bambino di quinta elementare la capitale italiana risponde Parigi. Vergognoso. Eppure laboratori di tecnologia, musica, teatro, educazione alimentare…bla bla bla. Ma a casa ho insegnato io a creare le cartelle sul desktop perchè nel laboratorio si fermano alla nomenclatura.
      Il mio commento non deve diventare un post, ma sappi che nel gruppo whatsapp la domanda dell’insegnante è appena stata: la gita a Torino al museo degli Egizi sarà il tot di dicembre tutti d’accordo? L’unica a chiedere in caso di maltempo, io.. la solita rompi, gli altri un ok al volo. E poi mi taccio.

      • Megagrammo lo capisco (anzi forse è fin meglio – anche se noi continuiamo a lottare con i pound 😀 ) ma marche da dove è uscito?

        • nadia

          Proprio non lo so. Quando quel giorno mi è arrivato alle orecchie “Mamma oggi abbiamo studiato le marche!” ho chiesto “Come le Marche, ma ora si inizia dal centro Italia con le regioni?” Ecco son cascata dalle nuvole. Eppure marche si usa al posto di unità di misura, sarà perché è più corto e si spreca meno inchiostro?

          • Incuriosito da questa storia ho provato ad indagare:
            Qui è spiegato il concetto http://www.youmath.it/scuola-primaria/matematica-scuola-primaria/quarta-elementare/2169-equivalenze-tra-unita-di-misura.html

            Le unità di misura continuano ad esistere e a chiamarsi così, certo che io che ho una certa dimestichezza coi numeri ho fatto un po’ di fatica a capire dove voleva arrivare, al di la del termine “marca” che è già ambiguo di suo (tra l’altro non ne ho trovato traccia in tutti i dizionari che ho consultato), secondo me crea ancora più confusione, in più in italia le maestre elementari, per formazione, hanno scarse competenze scientifiche e matematiche, quindi si troveranno a spiegare concetti che neanche riescono a capire, immaginate il risultato :O

    • Povera scuola. Penso a quella di Barbiana di don Lorenzo Milani, sempre aperta, dal mattino alla sera, tutto l’anno. Penso a come lui intendeva l’insegnamento: e rabbrividisco.

    • Mi ritrovo in praticamente tutto quello che hai detto, incluso l’argomento Grisbì. 😉 Resto con il dubbio se la scuola si stia forzatamente adattando al cambiamento in atto nella società, e quindi nei ragazzi, oppure sia responsabile di quel cambiamento. Immagino entrambe le cose. Secondo la mia esperienza di mamma, le famose attività extra sono spesso tempo perso, perché gli argomenti sono poco coinvolgenti o (ma questo vale per la mia specifica zona) imperniati in modo ossessivo sul passato locale. Forse si pensa che il problema dei ragazzi sia di essersi troppo allontanati dal mondo dei loro nonni, ma io credo che sia vero il contrario: è di evolvere che c’è bisogno, più che di guardare indietro.

    • Da prof posso solo dire che è molto difficile trovare un equilibrio. Forse, il fatto di insegnare nella scuola dell’obbligo cambia molto la mia prospettiva, rispetto a quella di chi insegna al liceo. Da una parte bisogna insegnare il valore della fatica e dello studio, ma sopratutto bisogna far capire perché si deve studiare. In un’epoca in cui è facile reperire informazioni (spesso sbagliate) bisogna far capire che il mondo è complicato e solo con basi e senso critico ci si perde in questo bombardamento di informazioni contrastanti. In teoria i progetti e le uscite servono a questo, a far capire il senso di ciò che si fa in classe. Non sempre si riesce, ma lo spirito è questo.
      Quanto al bullismo, quello è un altro problema. In generale, più riesci a guardare i ragazzi in un contesto non gerarchizzato (non di lezione frontale) e più hai possibilità di accorgertene. Il problema è che il bullismo oggi viaggia in rete e noi prof non abbiamo accesso alle conversazioni dei ragazzi e che i bulli sono dei maestri nel fingersi santi (sopratutto nel caso del bullismo femminile). Insomma, per essere prof ideali ci vogliono i superpoteri come i supereroi. Invece possiamo fare solo del nostro meglio.

      • Personalmente, nella mia visione magari un po’ drammatica, i professori sovente sono vittime di un sistema più ampio che investe la società intera.
        Non credo sia facile barcamenarsi tra le esigenze dei programmi, quelle delle famiglie (spesso orientate a pretendere più che a dare), quelle degli alunni e le proprie idee personali.
        E sono consapevole che nella maggior parte dei casi lo spirito con cui si lavora va nella direzione di migliorare il rapporto con i bambini. Per certi versi, si è fatto molto. Si pensi per esempio all’inclusione della scuola verso le persone con disabilità. Ai nostri tempi c’erano gli istituti, oggi ci sono gli insegnanti di sostegno.
        Tuttavia la mia sensazione è che ci si stia trascinando in una società dove al centro c’è l’intrattenimento, confondendolo con i veri contenuti. Le giornate diventano piene di impegni e di attività, non dico tutte da buttare, ma talmente concentrate e pressanti che alla fine i bambini sono programmati come gli adulti al lavoro. I miei figli non hanno più tempo per giocare, ma allo stesso tempo si sentono persi quando hanno mezza giornata che non sia già programmata. Ecco, mi sembra una società isterica in cui si mette troppa carne al fuoco, ma poi se ne mangiano solo le briciole.

    • Tiziana

      Credo che dopo il mio commento, mi lincerete.
      Innanzitutto Tenar il tuo commento è interessante, almeno abbiamo la visione di un’insegnante.
      Da professoressa hai un’altra visuale e forse mi rispecchio più in ciò che dici.
      Nel mezzo sta la verità, secondo me.
      Il giusto equilibrio.
      I compiti servono nella maniera di renderli responsabili in futuro.
      Da grandi se devi fare (finire) un lavoro ti dovrai impegnare e a volte fare un bello sforzo, non così strano, poi, in alcuni periodi dover lavorare di più,può essere la norma.
      Lo studio è fatica, sì, ma paga sempre. Se ci sembrano tanti compiti è perché forse li paragoniamo coi nostri.
      Ti verrebbe da sbuffare quando hai altri impegni nel pomeriggio, sport, lavori da finire, ma non me ne sono mai lamentata di fronte a mio figlio.
      Lo renderà responsabile. Credo anche che sia una fortuna di avere un bambino studioso, anche se è umano e qualche sbuffo da parte sua ci possa stare qualche volta.
      Non vedo nemmeno grossi compiti(dalla prima elementare in cui avevano 1 pagina da leggere e due operazioni o poco più, già sentivo madri disperate del troppo compito), forse può capitare di avere quattro materie in un giorno e allora devi gestire il tempo.
      Ad esempio se il giorno prima hanno due materie, facciamo un po’ del compito successivo.
      Sarà che vede in casa che continuaiamo a studiare e per lui può essere normale star lì a fare i compiti.
      Devo inoltre dire che abbiamo una buona scuola, un buon programma, le uscite scolastiche non sono mai inutili, ma ben pensate, come i progetti che seguono.
      Nel mio caso non posso lamentarmi di nulla, né a scuola, né a casa.
      Seppure devo dire note negative sui genitori che spesso qui attaccano le maestre se riprendono il loro figlio, o di altre sciocchezze non inerenti al tema scuola.
      Non credo sia facile fare il maestro. Li ammiro.
      Come dovremmo ammirare noi stessi; star dietro ai bambini ora è più complicato, hanno già visto tutto.
      Almeno per me, mia madre non sapeva se avevo fatto i compiti, se andavo a scuola o no era a fiducia visto che ci andavo a piedi.
      Era un po’ più allo sbaraglio.
      Ora hanno molte attenzioni, ma devono essere incanalate nel modo giusto.

      • Personalmente credo che i compiti siano fondamentali. Anche il bambino più bravo e sveglio ha bisogno di un momento per assimilare e trovarsi da solo a riflettere su ciò che è stato fatto a scuola. Poi serve a mettersi alla prova e a iniziare a gestirsi.
        Il problema qui da noi è che tutti i giorni, eccetto il venerdì, sono a scuola fino alle quattro.
        Sono stanchi e non hanno più tempo per giocare. Sono troppo incasellati in un ritmo isterico. E pagano loro le conseguenze delle nostre scelte.

        • Tiziana

          Credo che sia il tempo pieno. Fino alle 16 sono immersi in un luogo.
          Mio figlio tornando a casa per pranzo ha modo di staccare.
          Le scelte dei genitori non sono mai facili, i figli ci rimetteranno sempre. Ma il pagare il prezzo di determinate scelte lo abbiamo avuto anche noi quando eravamo solo figli.

      • nadia

        Sul discorso dei compiti non sono molto dalla parte degli insegnanti, ma anzi… Come dice Silvia anche nel mio caso i bambini stanno a scuola fino alle 16.45 se quando arrivano a casa alle 17 hanno ancora compiti per il giorno dopo la cosa non è per nulla facile. Loro sono stanchi hanno voglia di rilassarsi e staccare la spina e non riesco ad insistere troppo, comunque il risultato di rendita è bassissimo. La scelta del tempo pieno è comunque indotta dal territorio, nel mio caso, non esistono scelte. O così o niente.
        Però resto dell’idea che il meglio lo si impari durante le ore scolastiche dove l’attenzione dovrebbe essere più alta. Poi nulla da dire sul fatto che quando andavo a scuola io nessuno mi aiutava o controllava, come nel tuo caso fiducia mai venuta meno, ma lì è questione di fortuna, infatti mia figlia fa da sè, mio figlio ci marcia con l’aiutino e potesse non farebbe nemmeno sotto tortura. Ogni caso è diverso e la scuola fa fatica ad ottenere risultati.

        • Sì ogni caso è un caso a sé.
          Poi le femmine, di solito, sono più scrupolose. I miei due maschi hanno bisogno di muoversi dopo otto ore sui banchi. Poi, è vero, sono entrambi abbastanza studiosi, non ho grosse difficoltà a far fare loro i compiti e studiare, però li sento nervosi e infastiditi e questo non va bene.

    • Tiziana

      Ciao Nadia.
      Qui non c’è il tempo pieno quindi tornano a casa alle 13:45.
      I compiti quindi li fanno interamente a casa.
      Nel tuo caso, visto che tornano nel tardo pomeriggio, ulteriori compiti si potrebbero evitare.
      Comunque sia, credo che più o meno i programmi siano gli stessi.
      Cambia solo dove fare i compiti.
      Studiare non è una passeggiata.
      Poi l’andamento scolastico dipende da tanti fattori.
      Come ti dicevo prima, sono fortunata col primo figlio, non mi ha mai dato problemi nello studiare. Mi sono beccata un brava dall’insegnante a fine anno andando a prendere la pagella, dopo avermi esternato di mio figlio.
      L’ho guardata un po’ stupita pensando avesse sbagliato parlando al femminile.
      Il “brava” era perché avevo mandato mio figlio sempre con i compiti eseguiti. Per me è normale, evidentemente per alcuni genitori della classe dove insegna non è scontato.
      Però ognuno fa come crede. La maestra esegue il suo mestiere e se non studi, deve metterti un voto adeguato.
      Invece la voglia di studiare non s’inventa, se non ti piace non è facile imporsi.
      Io, poi, continuo a studiare alla mia età. Sono un caso a parte. 😀

      • nadia

        Invece sai in quel brava c’è proprio tutto. Come per le scelte anche qui l’influenza del genitore è visibile. Il trasmettere il senso di responsabilità, il dare un valore al lavoro dello scolaro è sicuramente un compito del genitore e solo con l’esempio lo fa passare come facile e fattibile. Quindi il brava te lo meriti a tutto titolo.
        Resta sempre valido il discorso che se uno voglia di studiare non ne ha …

    • nadia

      Posso assicurare che io ci capisco davvero poco, ma i bambini nulla. Il risultato è che loro vanno a tentativi, come a crocettare la risposta che pare più giusta. Il problema di fondo è che sono pieni di tante cose, tutte di scarso valore. Cambiare il nome e non dare contenuti o darli annacquati crea solo confusione ed ignoranza. La severità della scuola dei miei tempi si è persa, ma è un giro di vita. Mio padre lamentava con me la stessa cosa dicendomi che tenevo la penna male, ora mia figlia è mancina ed ha una scrittura minuscola a volte illeggibile eppure non le dicono nulla e non so se in effetti riescano a capirci qualche cosa. Quando legge metà delle parole le risultano sconosciute ed io che le consiglio il vocabolario mi sento ripetere no le cerco su google! Ecco tutto detto.

    • Ho dato un’occhiata al link che citi. Ecco, c’ho capito ben poco! Mi chiedo che cosa possano capire i ragazzi! 🙁

    • Sì, probabilmente è una spirale che si avvita su se stessa rendendo inscindibili cause e conseguenze.
      Il problema che avremmo bisogno che l’inversione di tendenza arrivasse proprio dalla scuola perché da lì parte la formazione delle nuove generazioni.
      Tra l’altro, per quanto la mia affermazione sia basata sul nulla, io ritengo i ragazzi di oggi costituiscano una gran bella generazione. Siamo noi che gli stiamo facendo del male.

    • Silvia

      E poveri ragazzi! Che ne escono più ignoranti loro malgrado e meno attrezzati ad affrontare la vita.

    • Il megagrammo ce l’abbiamo anche noi, le “marche” invece dev’essere una specialità ligure 😀 !
      Io sto impazzendo con i nuovi metodi per imparare a leggere e scrivere: ora s’impara a sillabe, non più a lettere. Mio figlio, per ora, fa un gran casino. Cerca di imparare le parole a memoria. In compenso però dice già mamma, papà, fratello, sorella, alcuni animali e tutti i colori in inglese (a parte che continua a chiamare “pather” il padre e il cane gli viene sempre “brown” invece che dog).
      Ma il punto è che si continuano a cambiare i metodi tralasciando i contenuti.
      Si semplifica, si annacqua il contenuto per aumentarne la quantità. Si studia un po’ di tutto, ma molto male.
      L’altro mio figlio in quinta studia già i rudimenti della fisica, i pianeti, chimica, il corpo umano etc etc, però se poi gli chiedi che cosa vuol dire perpendicolare non te lo sa dire.
      Non sarebbe meglio fare meno ma farlo bene? Costruire basi solide su cui poi, pian piano, aggiungere contenuti?

    • Probabilmente certi cambiamenti, che a noi paiono improvvisi, hanno radici profonde. Ricordo che già ai nostri tempi molti si lamentavano del “lassismo” che stava subentrando nella scuola.
      Del resto è anche vero che la scuola perfetta non è mai esistita: ai tempi dei nostri genitori la scuola per certi versi era persino vessatoria, difficile trovare il giusto equilibrio.
      Io tengo però a pensare che un certo degrado dipenda anche da un’offerta scolastica non tarate sull’istruzione dei ragazzi quanto alla risoluzione di altri problemi. Cioè spesso sulla scuola si ribaltano esigenze di altri soggetti: orari commisurati all’esigenza delle famiglie di lavorare a tempo pieno, inserimento di materie di studio per offrire nuovi posti di lavoro etc etc.
      Per quanto riguarda i compiti, io credo che un sano e commisurato esercizio da svolgere in autonomia sia fondamentale soprattutto nell’età scuola primaria e scuola media. Tuttavia è realmente un peso per i bambini che oggi, in molte scuole, stanno a scuola fino alle 4 di pomeriggio. Non gli rimane davvero alcun tempo per giocare, distrarsi, leggere. Subiscono lo stesso stress di noi adulti che lavoriamo. Ma il problema non è dei compiti: è di un orario studiato per tutt’altro che per la loro istruzione.

    Lascia il tuo commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Potrebbero interessarti:

    Silvia Algerino

    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

    Post Recenti

    • All Post
    • Blog
    • Risorse per crowdfunder
    • Risorse per lettori
    • Risorse per scrittori
      •   Back
      • Sei personaggi in cerca di...
      • Seo
      • Blogging
      • Dubbi d'autore
      • Copywriting & Co.
      • Marketing editoriale
      • Le mie parole
      •   Back
      • Indie&co
      • Calendario dell'avvento
      • Guest post
      • Idee
      • Interviste d'autunno
      • Libri
      • Poesia
      • Racconti
      •   Back
      • Crowdfunding editoriale

    Come se fossimo già madri

    Silvia Algerino

    Restiamo in contatto?

    * indicates required

    Per favore, scegli i contenuti che ti interessano:

    Puoi cambiare idea in qualsiasi momento: il tasto per l'annullamento dell'iscrizione è piè di pagina di ogni email che ricevi da me. Oppure scrivimi a privacy@silviaalgerino.com. Per altre informazioni visita il mio sito web. Cliccando qui sotto, mi autorizzi a gestire i tuoi dati nel rispetto della legge. Grazie di cuore.

    Utilizziamo Mailchimp come piattaforma di marketing. Cliccando qui sotto per iscriverti, accetti che le tue informazioni verranno trasferite a Mailchimp per l'elaborazione. Scopri di più su come Mailchimp gestisce la tua privacy.

    Intuit Mailchimp

    Restiamo in contatto

    Iscriviti alla newsletter (e niente spam).

    Yeah! Ora sei dei nostri. Ops! Qualcosa non va. Mi spiace! :(
    Edit Template

    Articoli recenti

    • All Post
    • Blog
    • Risorse per crowdfunder
    • Risorse per lettori
    • Risorse per scrittori
      •   Back
      • Sei personaggi in cerca di...
      • Seo
      • Blogging
      • Dubbi d'autore
      • Copywriting & Co.
      • Marketing editoriale
      • Le mie parole
      •   Back
      • Indie&co
      • Calendario dell'avvento
      • Guest post
      • Idee
      • Interviste d'autunno
      • Libri
      • Poesia
      • Racconti
      •   Back
      • Crowdfunding editoriale

    Contatti

    Silvia Algerino

    silvia@silviaalgerino.com

    P. IVA IT 02613430020

    © 2014 Created by Silvia Algerino – 2023 Updated by Silvia Algerino