Dubbio n.3: Incipit e finale, una coppia indissolubile?

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    Nei dubbi precedenti, in particolare nel post intitolato Otto passi per un romanzo, abbiamo parlato della possibilità di creare la trama utilizzando una scaletta circolare.

    Avevamo detto di costruire uno specie di cerchio da suddividere in spicchi (io parlavo di otto), in modo tale che ogni spicchio rappresentasse un punto fondamentale nello sviluppo della narrazione e che, a sua volta, sarebbe poi stato suddiviso in ulteriori spicchi fino a organizzare tutto il materiale in una trama ben articolata.

    Pressappoco così:

    Quello che a me convince particolarmente di questo tipo di scaletta, mutuato da Morgan Palmas, è proprio nell’idea di circolarità.

    Mi autocito:

    La struttura a cerchio ha la funzione di far tornare dalla fine al punto di partenza: se la circolarità funziona, allora anche la struttura sta in piedi. E’ un cerchio che si chiude.

    Tuttavia, a ben guardare, il limite di questa visione consiste nella bidimensionalità della figura, dovuta ad una sorta di semplificazione.

    In realtà, la mia idea di romanzo è più simile a quella di una figura tridimensionale che, per intenderci, può essere paragonata ad una sfera o ad una scala a chiocciola.[su_spacer]

    Un romanzo a forma di spirale

    Mi piace moltissimo l’idea di un finale che riporti all’inizio del romanzo. Credo che per possedere una storia essa debba essere racchiusa idealmente in un cerchio, in cui tutto torna all’origine e la completa.

    Tuttavia non è sufficiente tornare al punto di partenza, altrimenti si sarebbe fatto, per così dire, un viaggio a vuoto.

    Il ritorno all’origine deve avvenire ad un livello diverso, in modo tale che il percorso compiuto sia stato di crescita: per l’autore, per i personaggi e per il lettore.

    Quello che viene appunto rappresentato da una sfera, attraversata su più livelli, o da una scala a chiocciola.

    Quindi, per terminare il lungo esempio geometrico, seppure incipit e finale avranno sull’asse delle x e delle y le stesse coordinate, avranno coordinate diverse sull’asse delle z: si partirà e si tornerà allo stesso punto, sebbene su piani (o livelli) diversi.

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    Perché è tanto importante l’incipit?

    L’importanza dell’incipit la conosciamo tutti. Potremmo considerarlo con una metafora il biglietto da visita del romanzo. In poche righe deve assolvere ad una serie di funzioni fondamentali per la buona riuscita di un romanzo:

    • Presentare il romanzo al lettore;
    • Proiettare una determinata luce sul romanzo;
    • Attirare il lettore e spingerlo a continuare a leggere;
    • Trasmettere un’energia o, meglio, una tensione sia all’autore che al lettore.

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    Il ruolo del finale

    Di tutto ciò che il lettore avrà letto, il finale sarà ciò che ricorderà maggiormente.

    In primo luogo per una banale questione di logica, ovvero che sarà l’ultima parte letta in ordine di tempo, in secondo luogo perché la conclusione racchiude il sé il senso ultimo della narrazione e darà (o non darà) significato all’intera opera.

    Un’ottima opera con un pessimo finale verrà ricordata per il pessimo finale, mentre un’opera mediocre con un buon finale assumerà valore proprio grazie al riscatto ottenuto dalla conclusione.

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    Incipit e finale: una coppia indissolubile?

    Per quanto mi riguarda, credo che non ci sia niente di più bello in un romanzo ben riuscito che il trovare nell’explicit i temi introdotti nell’incipit.

    Non soltanto per uno stratagemma stilistico che stupisce il lettore e gli lascia un sapore gradevole, ma anche per una completezza logica che, come dicevamo all’inizio, racchiude in una forma geometrica quasi perfetta l’inizio e la fine di una narrazione, dandole un senso di completezza.

    Personalmente ho preso l’abitudine di scrivere il finale appena ho concluso di scrivere il primo capitolo.

    In questo caso non parlerei strettamente di incipit e explicit, ma di capitolo iniziale e capitolo finale, per una serie di ragioni. Lo scrivere quasi contemporaneamente queste due parti determina:

    • Una scelta consapevole sullo stile da utilizzare. Non essendo ancora immersa nella narrazione ed avendo ben chiaro il tono della parte iniziale, mi è più facile lavorare sulla conclusione, scegliendo in modo consapevole come e quanto (e se) differenziarle;
    • La possibilità di costruire paralleli tra l’una e l’altra parte in modo esplicito, siano essi espedienti letterari piuttosto che semplici giochi narrativi;
    • La possibilità di stabilire dove inizia e dove andrà a finire una storia, lasciando alla trama interna la libertà di svolgersi entro questi parametri;
    • La possibilità di possedere in toto il mio romanzo, essendo padrona di disporne gli eventi e non lasciandomi guidare dai fatti stessi.

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    E per voi in che rapporto sono incipit e finale?

     

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    10 Comments

    • È difficile rispondere a questa domanda. Perché si sa che certi romanzi hanno un incipit per nulla accattivante. “Cent’anni di solitudine” è perfetto, anche il finale. Idem per “Cronaca di una morte annunciata”. Ma certi incipit di Dostoevskij (L’idiota per esempio, o “I demoni”), funzionano? Secondo me funziona di più quello di “Delitto e castigo”.
      Il punto è che solo di recente abbiamo iniziato a pensare a incipit come si deve (o come si dovrebbe). “I promessi sposi” vanno bene come incipit? A mio parere (che non conta nulla), no. Il finale? Insomma. Però in mezzo c’è parecchia roba buona, ma davvero tanta.
      Per il resto, non so rispondere, e forse pure questa risposta non è granché. Non immaginavo, per esempio che fosse una buona strategia scrivere incipit e finale assieme. Ci penserò.

      • Sono d’accordo sul fatto che certi romanzi, soprattutto classici, pur avendo un grande valore assoluto, hanno incipit deludenti. Come ben dici tu, è un concetto recente quello legato all’importanza dell’incipit. Non so se scrivere assieme incipit e finale sia una buona strategia, per me è utile, soprattutto per possedere in un abbraccio il materiale di cui dispongo. Ma sono tecniche, non contenuti e ognuno ha la sua. 🙂

    • Uhm…io avevo scritto il finale prima di scrivere l’incipit, e ancora nessuno dei due mi convince appieno (che poi, si è mai soddisfatti al 100%?!)
      Però il concetto di “tornare al punto di partenza dal finale” non riesco a comprenderlo. Alla fine di un viaggio, io non sono più com’ero partito. Sarò tornato anche allo stesso punto di partenza, geograficamente magari, ma per forza di cose sono cambiato, vuoi per le emozioni, vuoi per le esperienze. Se prendiamo “I promessi sposi”, è vero che Renzo e Lucia sono tornati al paese e stanno di nuovo per sposarsi come all’inizio, ma dopo tutto quel che c’è stato nel mezzo, la peste soprattutto, non sono più gli stessi di prima!

      • Forse non mi sono espressa in modo molto chiaro, ne convengo :P. Certamente tornare al punto di partenza vuol dire tornarci con un’altra prospettiva, altrimenti sarà stato un viaggio a vuoto. Per questo dico che più che un cerchio, lo intendo come una spirale o una scala a chiocciola. Cioè il ritorno ad uno stesso punto ma su di un livello diverso. Il tornare a riprendere le fila del discorso iniziato in partenza e concluderle, ma da un’altra prospettiva.

    • Ma come ci riesci? Cioè, scrivi l’inizio e,contemporaneamente, sai già come finirà la tua storia? Non saprei farlo: so come iniziano le mie storie, ma mai come devono finire, oppure ho un’idea che, però, va messa a punto, definita meglio e questo avviene solo in corso d’opera.
      Preferisco un finale di grande impatto emotivo all’incipit; quando questo è efficace è meglio, ovvio, ma io so aspettare, mi piace inoltrarmi nella narrazione anche dopo un inizio deboluccio; sull’uscita, invece, non transigo: dev’essere perfetta.

      • Silvia

        Sì, nel mio secondo romanzo e in questo che sto scrivendo ho scritto il capitolo finale subito dopo aver scritto quello iniziale.Avevo già preparato il mio schema (il famoso cerchio) con una suddivisione di massima di capitolo per capitolo, per cui sapevo dove mi avrebbe portata. Considera che ho impiegato due anni a fare questo lavoro preventivo, per cui la stesura ora sarà molto veloce. Anch’io trovo che il finale d’impatto emotivo sia importante, ma nella mia prospettiva la correlazione tra uno e l’altro serve proprio a valorizzarli entrambi, creando una specie di climax ascendente. Probabilmente è un limite mio: ho poca memoria e poca capacità di tenere tutto a mente. Avere un inizio e una fine mi permette di possedere del tutto la mia storia. Questo non vuol dire che io non segua anche dove mi porterà la storia, semplicemente gliel’ho già permesso in fase progettuale, pur non avendo ancora scritto una riga. Ma come rispondevo a Marco, sono tecniche, non contenuti, ognuno ha la sua. )

    • Oggi che sono più tranquilla sto recuperando gli arretrati. Questo post e quello sull’autobiografia mi interessano molto e da giorni li ho segnati come da leggere.

      Il mio finale non è ancora scritto, ma non saprei se definirlo circolare. Sono passati quindici anni rispetto all’incipit, ma ti confesso che non mi dispiacerebbe creare un collegamento, se non altro nei pensieri e nelle battute dei personaggi. Ci rifletterò. 🙂

      • Silvia

        Secondo me un collegamento tra incipit e finale è un bel effetto narrativo, anche se non indispensabile al valore dell’opera in sé. Sono gusti personali, ognuno ha il suo. 🙂

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    Silvia Algerino

    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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