Dubbio n. 12: quali errori correggere in revisione e quali invece esigono uno stop? (parte II)

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    Mi capita sempre così. Preparo i miei post con un discreto anticipo (ormai la programmazione è diventata il mio forte) ma poi, qualche giorno prima della pubblicazione, trovo sui blog che seguo qualche spunto interessante che, per una sorta di telepatia inspiegata, ha a che fare proprio con ciò di cui ho intenzione di parlare nel mio blog e mi induce a modificare il contenuto del mio post.

    A volte, per motivi di tempo, lascio correre. Altre volte rimetto in discussione il mio post e lo rielaboro con elementi nuovi.

    E’ quello che è accaduto proprio ieri. Marina, sul suo Taccuino dello Scrittore ha raccontato in un post dei suoi progressi (e relativi dubbi) nella stesura del suo nuovo romanzo e, come ho commentato là, mi sono ritrovata in gran parte della sua visione. Marina scrive:

    Quando ho scritto “31 dicembre” ero una sognatrice, ho tradotto un’idea, che premeva per essere raccontata, in una storia che ha seguito un percorso tutto sommato semplice: scrivevo e le cose venivano da sé. Non mi preoccupavo di incongruenze, non avevo l’incubo dei punti di vista, non mi appaturniavo con sottotrame, infodump e show don’tell e nella mia beata incoscienza ho portato a termine il lavoro. Una valanga di errori e refusi mi ha seppellito, subito dopo la pubblicazione, ma la storia, quella, non mi ha mai, mai, stancato o fatto perdere l’entusiasmo: a distanza di anni, io la trovo ancora costruita bene (e scusate l’autocompiacente franchezza! Chissenefrega, ogni tanto…)

    Ora che le molte letture continuano a suggerirmi idee e strategie stilistiche, ora che molti blog letterari che seguo mi mettono in guardia, mi consigliano cosa fare e cosa no, ora che via via vengo a conoscenza di come si diventa scrittori, ebbene ora tutto quello che scrivo non mi piace. Trovo banalità in ogni cosa che penso, riconosco errori che fanno inciampare la penna una parola sì una no, leggo e non mi convince l’incipit, il dialogo è debole, la struttura fa acqua da tutte le parti, è tutto da cestinare. È lì, a buttare giù e ricominciare, scrivere e tornare indietro; fare un passo avanti e tre nella direzione opposta.

    Riassumendo, credo che il concetto chiave del post di Marina fosse questo: “finché ho scritto senza particolare attenzione alle tecniche narrative,  procedevo in modo spedito, traendone  piacere personale e tutto sommato, sebbene ci fosse la necessità di alcune correzioni, il mio lavoro era pregevole. Ora che scrivo  tenendo conto di mille nozioni che ho imparato, non solo mi sembra di trovare un’infinità di difetti, ma non mi diverto più”.

    Teniamo a mente questo concetto e procediamo.

    La settimana scorsa abbiamo affrontato il tema degli errori che possiamo aver commesso durante la prima stesura di un testo e ci siamo chiesti se fosse più opportuno correggerli subito, ancora in corso di scrittura, o se attendere di aver terminato tutto il lavoro.

    In quel post avevo indicato alcuni errori che, a mio personale giudizio, potrebbero essere tralasciati per essere corretti solo in un secondo momento. In conseguenza è nata una bella discussione, da cui sono emerse principalmente due posizioni:

    • quella di chi ritiene di non interrompere la scrittura di getto e, quindi, di correggere solo a lavoro ultimato;
    • quella di chi ritiene che non si possa generalizzare ma che, a seconda dei casi, si debba decidere il da farsi.

    La prima ipotesi si basa sulla considerazione ritenuta valida da molti scrittori, tanto da essere riportata nei manuali, secondo cui la prima stesura dovrebbe essere completata in tempi piuttosto brevi e, appunto, di getto. Di conseguenza l’interruzione per le correzioni in questa fase sarebbe un intoppo.

    La seconda ipotesi, che in realtà contrasta solo in apparenza con la prima, prevede che alcune correzioni possano anche essere fatte subito, in modo tale da non rischiare di essere dimenticate in un secondo momento, o almeno annotate, proprio per dare la possibilità di tornarci sopra senza tralasciare nulla.

    Tuttavia in quel post l’oggetto del discutere erano errori di un certo tipo (incipit poco accattivanti, infodump, dialoghi piatti, nomi dei personaggi, cliché) che, a ben guardare, riguardano parti circoscritte del nostro lavoro. Per quanto possano essere numerosi o lunghi i dialoghi, il lavoro di correzione o addirittura riscrittura in fase di seconda stesura non incide sulla struttura. E ciò vale anche per gli altri tipi di errori che abbiamo citato. Di conseguenza, per quanto la loro successiva sistemazione possa richiedere un lavoro lungo e faticoso, il posticipare la correzione in una fase più avanzata non innesca l’effetto palla di neve che si trasforma in valanga.

    Quello che invece fanno la differenza sono gli errori strutturali. Mi pare di poter dire che si possano ricondurre a due tipi di errori:

    1. la caratterizzazione dei personaggi;
    2. la costruzione della trama.

    Un personaggio piatto, non ben analizzato e studiato, si comporta in modo incoerente, non ha profondità e sparge qua e là la possibilità per chi scrive di fare confusione ed errori (nel linguaggio, nei cliché, nei dialoghi, etc. etc.).

    Una trama non ben costruita, oltre semplicemente ad annoiare o a non attirare il lettore, ostacola la possibilità di utilizzare strumenti narrativi adeguati e può creare intoppi nello svolgimento della storia.

    In questi casi sì che l’effetto valanga può essere pericoloso perché potrebbe portare a non dover fare delle correzioni circoscritte ma a riscrivere intere parti e addirittura in più punti.

    I manuali e la maggior parte degli scrittori hanno una soluzione per prevenire questo problema ed è il famoso schemino con cui ci insegnavano a fare i temi alle elementari. Non voglio entrare ora in questo famoso dibattito tra coloro che si sentono imbrigliati dagli schemi e coloro che invece programmano tutto a tavolino, tuttavia è innegabile che avere una mappa, sebbene anche solo mentale, di dove si voglia andare, aiuta a non perdersi.

    Ma, tornando al post di Marina, mi accorgo che, senza volerlo, lei ha dato la stessa interpretazione del valore degli errori: nel suo “31 dicembre”, dice lei, c’erano errori (infodump, show don’t tell etc etc), ma la struttura c’era. Appunto.

    Ora invece che, nella stesura del suo nuovo romanzo, l’abitudine a studiare, a leggere, a porsi domande fa suonare il campanello d’allarme quasi ogni volta che scrive una frase, la sana attenzione all’errore diventa una tendenza eccessiva (cosa ben diversa dall’annotare parti da rivedere) frammentando continuamente il lavoro e facendo perdere il gusto della scrittura.

    Che non sia mai che a non soffermarsi troppo su certi errori, si va avanti speditamente e ci si diverte pure?

    Dovremmo quindi trarre la conclusione che le tecniche narrative devono essere apprese per poi essere dimenticate? Di questo parleremo nel prossimo dubbio del giovedì.

     

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    21 Comments

    • Nel primo caso, personaggi non ben caratterizzati, è un lavoraccio, ma si può fare. Tieni anche conto che coi tuoi personaggi farai conoscenza man mano che procede la storia, quindi probabilmente un minimo di revisione che riguardi la caratterizzazione dei personaggi andrà fatta comunque.
      Nel secondo caso temo che non ci siano altre soluzioni all’abbandonare la storia, o almeno a sospenderla per un lasso di tempo più o meno lungo (poi magari ciò che di buono c’era potrà essere ripreso e ciò che non funzionava riscritto di sana pianta). Dirai che però a quella storia hai dedicato tanto del tuo tempo, tempo sprecato. E allora? Anni fa, quando avevo un blog (allora era su splinder, alla chiusura della piattaforma feci solo un backup) scrissi questo:
      http://frammentianima.blogspot.de/2008/10/freighter-volere-volare.html
      Lo so, riguarda un tipo di lavoro completamente diverso, ma penso che le conclusioni siano valide comunque.

      • Silvia

        Ma che belle cose si scoprono! Il blog di Grilloz! Volo a legerti!! 🙂

        • nonono, solo quel pezzo 😛 (scherzo, leggi pure)
          Diciamo che sono cose vecchie 😉

          • Ma pensa un po’…aerei, grandi anche!
            Ce l’hai anche un post per convincere qualcuno alla sicurezza dell’aereo? Che tutte le volte che sono lì lì per decidermi, o ne cade uno o scoppia un incendio… :/

            • Ehm, no, quel post mi manca 😛 ma posso rassicurarti a voce (per lo meno so quanti controlli ci sono prima che un aereo sia autorizzato a volare 😉 )

          • Ah, per me sono tutte nuove! 🙂

    • Un problema grosso nella costruzione della trama, come:
      trama troppo debole (non c’è abbastanza materiale per un vero romanzo)
      tempi sbilanciati (un evento va spostato avanti o indietro, oppure c’è una parte dove accade molto e poi un po’ di piattume)
      mancanza di back story (la storia c’è, ma non si capisce come si sia arrivati a quel punto)
      e molto altro, secondo me necessitano uno stop e un lavoro di programmazione serio, anche per chi, come me, non ama scalette e affini, perdersi soprattutto se si è già scritto molto, comporta una riscrittura assai faticosa, mi è capitato e so di cosa parlo, ma tutto si rimedia, come al solito l’editor esterno è di grande aiuto

      • Sì, penso che qualunque cosa deciderò di fare con questo romanzo (ammesso che un giorno finisca la prima stesura), il passaggio dall’editor sarà una tappa obbligata. E’ una di quelle cose che nella vita prima o poi vanno fatte!

    • Il discorso, a mio avviso, è sempre lo stesso: come procedo nella stesura di un romanzo? Ora, visto che ormai mi state tentando tutti, probabilmente scriverò proprio questo post. C’è un motivo se alla prima stesura si procede spediti. Il motivo è quello di non incorrere nello stesso problema riscontrato da Marina. Quei dubbi sono giusti, giustificati e opportuni persino. Ma non devono sorgere alla prima stesura. Altrimenti ci si blocca. Il segreto inconfessato di una scrittura efficace non è scrivere bene di getto, ma riscrivere. Riscrivere finché quello che volevi dire, nel modo in cui lo volevi dire, non ti si palesa lì: sulla pagina scritta. A quel punto ti fermi. Carver, che non è il primo arrivato, riscriveva i propri racconti anche venti volte… Ora, ogni scrittore ha un proprio metodo di lavoro e delle abitudini assolutamente individuali, che lo distinguono da tutti gli altri. Vale anche nella vita quotidiana; vale in ogni attività umana. Prendi due fabbri bravi nel loro mestiere e saprai che comunque ognuno dei due procede in maniera differente. Tuttavia ci sono dei passaggi che sono uguali per tutti. E sono quei passaggi che bisogna conoscere. Giuro, fra un paio di settimane ci scrivo un post.

      • nadia

        concordo con Salvatore in tutto e per tutto, l’ispirazione è lo scheletro dell’opera, ma il saper riscrivere rende completo il romanzo. Poi l’editor rifinisce le ultime imperfezioni

        • Continuare a scrivere. Scrivere e riscrivere, da soli e sotto la guida dell’editor. Credo che siano passaggi imprescindibili. 🙂

      • Evviva! Ora lo aspettiamo tutti con ansia il tuo post!! 🙂

        • E anche uno sullo sblocco?? 🙂
          “Quei dubbi sono giusti, giustificati e opportuni persino. Ma non devono sorgere alla prima stesura. Altrimenti ci si blocca.”
          Eh, sono proprio lì. Mi devo riprendere l’entusiasmo.

    • Grazie Silvia, per avermi fatto insieme a te protagonista di questa riflessione.
      Direi che hai tirato somme corrette dal mio discorso, con una puntualizzazione: scrivere mi diverte sempre, anche adesso che sono alle prese con questa nuova storia mi diverte pensare ai personaggi e alle loro vite, al loro passato e a quello che accadrà; l’unica forma di organizzazione di pensiero che riesco ad adottare è il capire dove andrò a parare, senza tuttavia conoscerne il percorso. Ma quel rispondere continuamente alle domande: sarò convincente, avrò descritto bene, avrò fatto dire le cose giuste, frustra non poco questa passeggiata piacevolissima nella fantasia. Ho capito, però o, meglio, me ne sono convinta di più, dai commenti ricevuti e anche dalle cose che hanno scritto da te, che devo scrivere, che devo ignorare la ragione che mi bacchetta continuamente. E devi farlo anche tu, se vuoi arrivare alla fine del tuo romanzo. Ci arriveremo con mille dubbi, ma almeno avremo qualcosa su cui lavorare!

      • Anche a me il tuo post è stato molto utile, così come i commenti sul tuo blog e quelli al mio post. Sono molto contenta di essere entrata a far parte di questa rete di contatti, che mi fornisce non solo strumenti tecnici, ma anche consigli e motivazione. Per cui, concordo con te. Avanti tutta. Sarà comunque un bel percorso. 🙂

    • Anche io mi trovo nella medesima situazione, paragonando la scrittura prima e dopo l’incontro della tecnica. Secondo me il segreto (sia chiaro però: non ci sono ancora arrivata! :D) è padroneggiare a tal punto la tecnica da applicarla in modo “naturale”, senza pensare. Quando si è bravi, non ci si domanda troppo se il punto di vista tale vada bene: lo si usa e basta. O al massimo si aggiusta un po’ il tiro in revisione. Io mi sento più rapida rispetto a un anno fa, e anche il risultato è migliore. Però la strada per la “competenza inconsapevole” (vedi qui: http://appuntiamargine.blogspot.it/2014/12/le-quattro-fasi-del-cambiamento.html) è ancora lunghissima.

      • Sì, è proprio così. Il classico esempio è di quando di prende la patente. Finché pensi al cambio, frizione, acceleratore ti incasini continuamente, quando smetti di pensarci è perché hai acquisito la tecnica. E diventa persin difficile tornare indietro, perché se ti chiedono come fai, non lo sai, semplicemente lo fai. Vado a frugare nel tuo post. 😉

    • “Dovremmo quindi trarre la conclusione che le tecniche narrative devono essere apprese per poi essere dimenticate?” Si, lo dice anche Stephen King, di scrivere di getto. Secondo lui se si superano i 3 mesi della prima stesura, già si perde la freschezza della storia. Ma stiamo parlando di 3 mesi di uno scrittore a tempo pieno. Quanto si dilata questo limite per uno scrittore a tempo risicato?
      La mia esperienza è che ho cominciato con entusiasmo. Poi ho iniziato a crederci e a studiare. Infodump, show dont’ tell, punti di vista, trame e sottotrame. E lì è arrivata la fregatura. Queste cose ti sovrastano appena imbracci la penna. Cosa che non mi succede con i racconti brevi, perchè essendo brevi vado più tranquilla. Con i voli pindarici poi è un attimo, manco me ne accorgo. Che quasi quasi mi viene il dubbio (t’ho, ci potresti scrivere qualcosa) se non debba convertirmi ai voli pindarici forever…

      • Secondo la mia personalissima opinione, se uno sa scrivere un buon racconto, a maggior ragione sa scrivere un buon romanzo. E’ come un bambino che impara a camminare: se ha imparato ad andare dalla mano della mamma fino alla poltrona, può andare ovunque. Deve solo avere la convinzione di poterlo fare. In base ai tuoi racconti che ho letto qua e là sul web (e che mi pare siano sempre molto apprezzati), hai tutte le carte in regola per metterti a correre! 🙂

    • Cavolo, è difficile rispondere. Io penso di abbandonarmi alle idee e di fare poca attenzione alle tecniche da manuale ma a conti fatti non sono sicura che sia così. Sicuramente dipende anche dal genere che si intende scrivere e dalla propria attitudine al raccontare. Sì, è decisamente difficile rispondere. :p

      • Io penso che a volte certe tecniche funzionino proprio perché sono inconsce. Le abbiamo assorbite quasi senza accorgercene. Poi, come dici tu, dipende da molte variabili. 🙂

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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