Dubbio n. 28: chi comanda? La storia guida lo stile o lo stile si adegua alla storia?

Indice dei Contenuti

    Due settimane fa, nei commenti al mio post che aveva come oggetto quanto possiamo plasmare il nostro stile, Salvatore suggerì di concentrarci su altro. Cito testualmente:

    …Semmai la domanda giusta da porsi è: ma è la storia a doversi adeguare allo stile dello scrittore, o dev’essere lo stile dello scrittore a doversi piegare alle esigenze narrative della storia?

    Certamente un’ottima domanda.  A cui non è per nulla semplice rispondere. Non per niente ci ho riflettuto per quindici giorni.

    parliamo di stile o di linguaggio?

    Mentre – mumble mumble – rimuginavo, ho riflettuto su quanti ambiti differenti riguardino la scrittura  e mi sono ricordata di quando ero un’impiegata comunale.

    Allora capitava sovente di scrivere lettere. C’erano le prime mail, ma la consuetudine era ancora il cartaceo.

    Si utilizzava un linguaggio burocratico e piuttosto standardizzato: mai mi sarebbe venuto di rivolgermi al destinatario senza il classico Spett.le, così come non avrei mai tralasciato la dicitura Oggetto o la chiusura con i distinti saluti. Non c’era molto da ragionare tra la prima o la terza persona, era d’obbligo il classico si impersonale tanto che la comunicazione diventava impersonale per davvero.

    Eppure, e fate caso che qui siamo in uno degli ambiti in cui è più arduo spaziare, se ero io a redigere la lettera anziché la mia collega o la mia capa, pur all’interno di quell’insieme di codici prestabiliti, il risultato era parecchio diverso.

    In che modo? Per esempio nella scelta di usare periodi più o meno lunghi, oppure nella scelta di coordinate anziché subordinate o, ancora, nel modo di utilizzare la punteggiatura. Persino poi il linguaggio più spicciolo poteva risultare più o meno ricercato, così come la quantità di aggettivi poteva essere più o meno abbondante o persino assente.

    insomma, ognuno di noi era riconoscibile attraverso le peculiarità del proprio modo di scrivere, sebbene all’interno di un genere (se il linguaggio burocratico può essere considerato un genere) molto specifico.

    Quindi, la prima osservazione che vorrei fare è che certamente ogni testo scritto richiede un determinato linguaggio, tenendo però presente che con linguaggio non si intende semplicemente l’utilizzo singolo delle parole ma tutto un insieme di regole e elementi linguistici che rientrano in un determinato ambito.

    che cos’è, allora, lo stile?

    A questo punto, allora, è bene definire con precisione che cosa sia lo stile.

    Poiché il Vocabolario della Treccani online alla voce stile, tra le altre definizioni, riporta questa:

    Particolare modo dell’espressione letteraria, in quanto siano riconoscibili in essa aspetti costanti (nella maniera di porsi nei confronti della materia trattata, di esprimere il pensiero, nelle scelte lessicali, grammaticali e sintattiche, nell’articolazione del periodo, ecc.), caratteristici di un’epoca, di una tradizione, di un genere letterario, di un singolo autore.

    mi sentirei di dire che prima di tutto va fatto un ben distinguo: un conto solo le caratteristiche espressive che derivano da un certo periodo storico, da una tradizione o da un genere letterario (cioè quelle che richiederebbe l’opera), altro sono le caratteristiche espressive che derivano dal fatto che uno stesso testo possa essere stato scritto da un autore piuttosto che un altro (cioè quelle che dipendono dall’autore).

    Per fare un esempio relativo all’arte, è fuori di dubbio che sia Monet sia Degas fossero aderenti allo stile impressionista, ma è altrettanto vero che il loro stile personale era notevolmente diverso.

    Quindi, per evitare fraintendimenti, suggerirei di utilizzare, avvalendomi di una terminologia tipica del marketing, il termine marchio nel momento in cui con stile si intende lo stile personale di un autore.

    il marchio personale come impronta e segno di riconoscimento

    A questo punto mi sentirei di dire che se nella narrativa è indispensabile aderire a certe regole richieste dal genere, è altrettanto importante lavorare per rendere riconoscibile il proprio marchio come autori.

    Penso per esempio a Stephen King. Benché sia uno scrittore per lo più celebrato come scrittore di horror, in realtà i suoi numerosissimi romanzi sconfinano dall’horror al thriller, dal giallo al fantasy, toccando persino la fantascienza. A mio parere, in alcuni casi non è nemmeno possibile affidare ad un solo genere certi suoi romanzi, e preferisco definirli come mainstream. Tuttavia il suo marchio è estremamente riconoscibile indipendentemente dallo stile che lo scrittore abbia deciso di adottare.

    Per fare altri esempi, più vicini a noi, penso proprio a Salvatore, che ha posto la domanda, o a Sandra Faè. Di entrambi questi scrittori mi è capitato di leggere racconti (o romanzi) diversi che fanno parte di generi diversi. I racconti su Confidenze di Salvatore rientrano in un genere completamente diverso da quelli che pubblica sul proprio blog. E sono rivolti ad un pubblico diverso. Allo stesso modo i romanzi di Sandra Faè non hanno nulla a che vedere con gli esercizi dei thriller paratattici a cui Sandra partecipa con entusiasmo.

    Eppure in entrambi i casi, il marchio di Salvatore e quello di Sandra sono perfettamente riconoscibili.

    Ecco quindi quello a cui forse dovremmo aspirare tutti noi scribacchini: cercare di individuare il nostro marchio e, non solo renderlo unico, ma capace di adattarsi allo stile che viene richiesto dal genere, dalla situazione o dal pubblico a cui ci rivolgiamo.

    Ecco io credo che qui stia proprio il punto cruciale: superare i limiti posti dal genere attraverso la personalizzazione che di esso siamo in grado di attuare attraverso il nostro marchio.

    Del resto, se pensiamo al passato, i generi nascono sulla base delle caratteristiche comuni che riconosciamo in diversi autori e non viceversa. Altrimenti rischieremmo di produrre brutte fotocopie o di incasellare la nostra creatività in scatole preconfezionate, togliendo del tutto ogni originalità.

     

    E voi, che cosa pensate di tutto ciò? Che cos’è più importante: la storia, lo stile o il marchio?

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    37 Comments

    • Chi comanda? Rovazzi naturalmente 😀

      Ok, torno serio. Al tuo dubbio aggiungo il mio, ma come si definisce lo stile? Non intendo la definizione del dizionario, intendo, se devo descrivere lo stile di un autore e confrontarlo con quello di un altro cosa vado a guardare?
      Partendo dall’esempio pittorico, gli impressionisti aderivano tutti ad uno stesso canone, quello che dettava le “regole” dell’impressionismo, ma ognuno lo faceva col suo stile, usavano colori differenti, tipo di pennellate differenti ecc. E’ facile ad esempio distinguere un raffaello da un michelangelo da un leonardo guardando solo come disegnavano gli occhi, pur appartenendo tutti alla stessa corrente, pur rappresentando in modo realistico, ognuno lo fa in modo differente.
      MA per la scrittura cosa devo guardare? Manzoni e Foscolo sono entrambi romantici eppure sono così differenti. Lo percepisco, ma se dovessi analizzarli in modo scientifico?
      Perchè se non abbiamo un modo chiaro di definire lo stile di un autore continuiamo a girare intorno alla questione. O almeno continuo a girarci intorno io 😀

      • Questa è veramente un’ottima domanda, Grilloz, a cui ho pensato molto anch’io.
        Tornando ai miei esempi vicini, se devo riconoscere un testo di Sandra Faè tra diversi, probabilmente riesco a riconoscerlo anche se non so che l’ha scritto lei.
        Però se tu mi chiedi quali sono i suoi elementi peculiari (a parte dirti che mescola molto bene il dramma con ironia) non ti saprei rispondere.

        • Infatti a livello di sensazione so distinguere lo stile di due autori differenti (e se non si distingue vuol dire che c’è qualcosa che non va) ma non è abbastanza per me, vorrei indagare più a fondo.
          Ok, si può parlare di lunghezza delle frasi, di scelta degli aggettivi, ma è solo quello?

          • No, non è solo quello.
            Io credo che ci sia un mix di elementi tecnici più facilmente analizzabili (appunto: lunghezza delle frasi, uso degli aggettivi, frequenza di certe parole etc etc) e di altre caratteristiche più aleatorie che contribuiscono a creare un’impronta ma che sono misurabili scientificamente. Mi viene da dire che è come osservare un volto: certo, i tratti somatici… ma a volte non conta di più l’espressione? e questa come la puoi incanalare in uno schema?

            • Facile, l’espressione è costituita dalla contrazzione o dal rilassamento di un certo numero di muscoli facciali 😉

              • Sì, ma non solo. Come definisci uno sguardo? Per me c’è altro oltre ai muscoli…

                • In realtà è proprio solo quello, infatti gli attori bravi imparano a imitarlo. Però il tuo cervello non percepisce il movimento dei muscoli, percepisce e interpreta un insieme.
                  Lo stesso avviene con un testo scritto, costituito solo da parole e segni di interpunzione, ma il cervello lo interpreta nell’insieme.
                  Ciò non toglie che si possa analizzare in modo scientifico, e imitare anche.
                  Del resto gli studenti di belle arti imparano a memoria tutti i muscoli del volto e del corpo, e poi, conoscendoli, sapranno astrarre ciò che fa l’espressione e realizzarla magari con un solo semplice tratto. Se non conoscessero ciò che sta dietro si limiterebbero all’imitazione della realtà, a copiare ciò che vedono, ottenendo qualcosa di magari apparentemente bello, ma parziale, piatto.
                  Deve essere lo stesso anche con la scrittura? Serve conoscere tutti i meccanismi che costituiscono un testo per poter scrivere bene? Non saprei, non credo. L’istinto a volte fa più della conoscenza della tecnica (anche in pittura). Però conoscerla non può che aiutare. 😉

    • nadia

      Per rispondere alla tua domanda finale ecco… senza storia c’è poco da leggere solo parole ben scritte ma alla fine noiose, però senza stile la storia migliore del mondo è sprecata. Il marchio è poi quella nota di particolare riuscita che permette l’identificazione dello scrittore in mezzo agli altri. Senza tutte e tre le caratteristiche un buon racconto o libro non verrà mai ricordato e riletto che a parer mio è il più bel complimento.

      • Eppure ci sono romanzi (ma anche film – tipo La grande bellezza) che non raccontano alcuna storia, e sono ugualmente magnificenti. Quindi dei tre elementi, la storia credo sia quello più debole. Almeno per un certo tipo di letteratura. Infondo le poesie non raccontano quasi mai una storia,e sono altissima (alcune volte) letteratura. Nella narrativa, soprattutto di genere, la storia è essenziale; ma stiamo parlando di un solo campo rispetto a tutto quello che si può fare con la parola scritta.

        • nadia

          Però quando ti trovi a raccontare di un libro per farlo leggere o recensirlo ti soffermi sulla storia, o almeno parti da quella, poi i personaggi, lo stile che ti ha colpito..

          • Questo è il problema vero di chi piazza i libri in libreria: trovare un modo per riassumere in poche, stringate parole un romanzo di trecento pagine, rendendolo persino accattivante. E’ chiaro che con una storia è più facile. Ma ci sono pieghe della realtà che non si possono raccontare attraverso una storia; renderebbe tutto banale.

      • Silvia

        Sì, certamente l’insieme delle tre caratteristiche è l’ideale per un’opera ben riuscita.
        Tuttavia, come dice Grilloz, anch’io penso che una storia, pur scarna, assume un altro significato nel momento in cui lo stile e il marchio la impreziosiscono.

      • Personalmente mi trovo più a mio agio a leggere una storia povera ma sritta con un ottimo stile piuttosto che il contrario. Ok, se proprio manca la storia è un altro discorso. Però un’idea originale scritta male mi crea un enorme senso di frustrazione. 😉

        • nadia

          Però è come se leggendo una storia povera da lettore saresti propenso a riscriverla per renderla meglio aggiungendo… insomma parrebbe un lavoro fatto a metà. Sullo stile non si discute se esiste è triste ammettere che il lavoro è un insuccesso.

          • In realtà a me è capitato il contrario, ovvero di trovare un’idea buona scritta male, ed è stato frustrante, perchè ti immagini cosa sarebbe potuto uscire se l’autore avesse saputo scrivere.
            Se è scritto bene invece ti fai prendere dalle parole e quasi non ti accorgi che la storia è “povera”, o poco originale.
            Certo l’ideale è un’idea originale sviluppata in una storia interessante e scritta con uno stile meraviglioso 😀 ma i geni purtroppo (e parlo da lettore) sono pochi 😛

    • Grilloz

      Provando a rispondere a Salvatore
      “…Semmai la domanda giusta da porsi è: ma è la storia a doversi adeguare allo stile dello scrittore, o dev’essere lo stile dello scrittore a doversi piegare alle esigenze narrative della storia?”
      Ma la storia è qualcosa che esiste a priori, come diceva Michelangelo quando affermava che la scultura era già nel marmo e lui si limitava a farla venir fuori, o esiste solo in funzione dell’autore? Perchè nel secondo caso la domanda non si pone, storia è stile fanno parte di una malgama che nasce dallo scrittore, non sono separabili.

      • Per me la storia esiste già indipendentemente dall’autore. Poi sta all’autore farla uscire dalla penna con maggior o minor perizia, ma non s’inventa niente. Si interpreta.

        • Il che dovrebbe farti propendere per adattare la storia allo stile 😉

          • Eppure a seconda della storia che vuoi raccontare modificherai il tuo stile (non il marchio inteso come lo intende Silvia in questo articolo) per far spiccare quelli che sono gli elemento più importanti della storia stessa.

            • modifichi lo stile o ti adegui al canone mantenendo il tuo stile?

              • Come diceva Silvia, bisogna distinguere tra stile e marchio; quest’ultimo solitamente lo si definisce come la voce dello scrittore. La voce rimane tale, quindi non varia. Per il resto, ciò che varia dello stile è quanto serve a mettere in luce alcuni elementi della storia. In genere lo si fa sia attraverso l’intreccio, sia attraverso gli elementi tipici dello stile (prima o terza persona? focalizzazione interna o esterna? frasi lunghe e articolate, o brevi e dirette? molti o pochi aggettivi? eccetera). Il canone è un’altra cosa ancora: è ciò che all’interno di una certa tradizione culturale si intende come bello. Ciò può influire sullo stile, ma non sulla storia.

                • Ma io continuo a brancolare nel mio buio 😀 come si definisce lo stile? E il marchio? E il canone? E tutto ciò che gli gira intorno?
                  Perchè non ci fai un bel post? Anzi, perchè non fai un bel post su Aisha dove ci racconti come hai prceduto nello sviluppo e in che modo ti sei adattato agli stili e ai generi che hai usato? 😉

                  P.S. pensa che io cerco sempre qualcuno che scriva fantascienza liberandosi dallo stile (o meglio sarebbe dire dai cliche) della fantascienza. Vonnegut lo metto in lista 😉
                  Perchè adattare lo stile al genere? Non è solo per compiacere il lettore tipo del genere?

                  • Silvia

                    Probabilmente si adatta lo stile al genere non solo o non tanto per compiacere il lettore, quanto per poter rientrare in quel genere ed essere identificati come scrittori di quel genere.
                    Del resto in natura i generi non esistono: siamo noi a posteriori che diciamo che un autore appartiene a quel genere.
                    L’ideale, a mio parere, è quando la genialità del singolo, attraverso il suo marchio o voce dell’autore, scardina e supera i limiti del genere a cui aderisce.

    • Rispondo solo ora, ho avuto una giornata intensa. Dunque, mi pare che la risposta che dai alla domanda che avevo posto qualche settimana fa a un altro tuo post sia soddisfacente, anche se ti ho visto fare lo slalom lungo il testo fra i possibili fraintendimenti manco fossi una professionista delle piste da sci.

      Adesso, però, me ne sovviene un’altra, di domanda: quali elementi, nei miei racconti, manifestano tanto palesemente il mio stile? quali sono le caratteristiche che individui nei miei racconti tanto da farteli riconoscere come aderenti inequivocabilmente al mio marchio? Ma forse, questa, è una domanda a cui, se si risponde, è più opportuno rispondere in un contesto privato (solo per non tediare gli altri lettori). 😉

      • Hai ragione, ho fatto un po’ di slalom, ma mi era necessario proprio per evitare fraintendimenti tra le varie definizioni di stile.

        La domanda che poni è ancora più ostica di quella precedente. E in parole povere è il centro del problema sui cui stiamo argomentando da ieri anche con Grilloz.
        Il punto è proprio che non ti so rispondere. Mi viene in mente quella famosa frase di S. Agostino che diceva: Che cos’è il tempo? Se non me lo chiedi lo so; ma se invece mi chiedi che cosa sia il tempo, non so rispondere.
        Cioè, so riconoscere il tuo marchio, ma se mi chiedi da cosa, non lo so.

        Ora, visto che questo tema mi interessa molto (e credo interessi anche altri, tipo Grilloz), io potrei provare a fare un esperimento: analizzare in modo approfondito i tuoi racconti e vedere se riesco a cogliere quali siano per il lettore i punti salienti che permettono di riconoscere la tua impronta.
        Però mi devi dare un po’ di tempo, eh? Diciamo per fine gennaio… 😉

      • Grilloz

        La domanda è un’ottima domanda, perchè io ancora non mi so dare una risposta, e non riferendomi ai tuoi racconti, ma in generale 😉

    • Confesso che io ho iniziato a pormelo “dopo”, e credo che sia giusto così. Insomma: si scrive e la storia, quasi da sé, fa in modo che l’abito calzi a pennello. Scriveva qualcosa del genere Flannery O’ Connor, e avvertiva quelli che pensavano che lo stile fosse una cosa da imporre alla storia. Niente del genere: scaturisce dalla storia.

      • Silvia

        Questo sarebbe a conferma del fatto che non nasce prima il genere ma, viceversa, siamo noi che facciamo rientrare una storia in un genere.

        Forse, nel momento in cui decidiamo di scrivere un racconto, non dovremmo porci il problema del genere a cui appartiene, ma analizzarlo solo in un secondo momento, diciamo in fase di revisione, per poi poter valutare se i meccanismi narrativi funzionano.

    • Marco Amato

      A me piace molto spaziare per i generi. Dal giallo al distopico, al thriller, alla fantascienza vecchio stile, allo storico, alla commedia sentimentale.

      Per quel che penso, occorrerebbe aggiungere un altro elemento dello stile dell’autore.
      Se nel giallo ad esempio mi piace poter far emergere il lato brillante, dove le situazioni possono anche diventare comiche, esilaranti, cioè far scappare sorrisi o una risata al lettore non mi dispiacerebbe, ci sono altri tipi di romanzi come il thriller che ho in corso in cui lo stile brillante viene sostituito dalla tensione e le risate non possono nemmeno essere concepite.
      Ma è anche vero che il distopico che ho finito in prima stesura (l’anno scorso ho deciso di scrivere tre romanzi contemporaneamente così da formare meglio il mio stile O.O), pur i protagonisti dovendo lottare per la sopravvivenza, lui e lei, mi sono venuti così diversi, antitetici, in cui trovarsi a ridere per la reazione di lei che battibecca col killer, mentre lui sta per essere ammazzato, ecco, questi paradossi mi piacciono parecchio.

      Ma nella realtà ci sono scrittori che nel loro stile, una risata non la strappano mai, mentre altri, riescono a essere leggeri in qualsiasi romanzo.

      Ecco, a me piace, adattare lo stile del romanzo alla storia. Ma credo che ogni autore abbia una propria inclinazione, quindi non c’è una regola assoluta.

      • Secondo me, Marco, questo rientra un po’ in quello che rispondevo sopra: noi, da forti lettori, spesso partiamo dal genere. Cioè ci poniamo il problema di quali caratteristiche stilistiche debba avere il nostro romanzo per essere un buon giallo, un buon thriller, un buon rosa etc etc.
        Invece le classificazioni dovrebbero arrivare in un secondo momento e la storia assieme al nostro estro dovrebbero guidare il resto.

        In origine, Leopardi non credo che si sia posto il problema di aderire allo stile del Romantiscimo né Agatha Christie a quello dei gialli. Siamo noi che, a posteriori, abbiamo riconosciuto caratteristiche comuni agli esponenti dei vari generi o movimenti.

        Ora, conoscerle è importante per valutare l’efficacia narrativa della nostra opera, ma secondo me deve arrivare in un secondo momento.

        Ecco quindi che appoggio il tuo discorso: se nella tua storia ha senso che ci siano scene che suscitano paradossalmente il sorriso nel lettore, anche in un romanzo distopico, ben venga che ci siano. Altrimenti rimarremmo cristallizzati in generi bloccati e non solo limiteremmo la genialità di chi scrive, ma non cresceremmo mai.

        • Marco Amato

          In realtà riguardo al genere io pongo due interpretazioni.
          Occorre comprendere se si vuol scrivere letteratura alta, di nicchia, e allora i canoni del genere puoi prettamente ignorarli. Sciascia ha scritto gialli in cui l’assassino non si sa chi sia, anzi, addirittura soccombe l’investigatore.

          Ma se vuoi scrivere romanzi di genere, per la grossa fetta dei lettori, allora rispettare i canoni del genere è pressoché d’obbligo. E lo dico io che sono anarchico. Cioè in un giallo, se è un giallo, all’inizio deve starci il crimine, l’assassinio, deve esserci un investigatore di qualunque forma che indaga, ci devono essere ostacoli da superare e si deve arrivare a qualche risoluzione finale. Questo per dirne alcuni. Se il genere non rientra nei canoni che il lettore di genere si aspetta, è un disastro.
          Ciò non significa che non si possa innovare, o scrivere gialli colti.
          Quindi per mia esperienza, per quel che ho capito e ho ancora molto da imparare, se si vuol scrivere di un genere occorre conoscerne le caratteristiche e in qualche modo influenzare il proprio stile di scrittura.
          Se ad esempio ho uno stile prolisso, scrivere un giallo dove il ritmo o la suspence sono d’obbligo, ecco, che sto scrivendo male per il genere.

          • Silvia

            Su questo sono perfettamente d’accordo.

            Tuttavia parlo semplicemente di priorità. Mi sembra più sensato chiedersi prima che storia vogliamo scrivere, che cosa vogliamo dire e solo in un secondo momento domandarci a quale genere appartiene e se effettivamente risponde alle caratteristiche tipiche di quel genere. Anche perché è altrettanto vero che se conosciamo un certo genere molto probabilmente faranno già parte di noi certe tecniche e comunque ne terremo conto inconsciamente.

            • Marco Amato

              Ah su questo hai ragione. Se ancora non si sa che storia scrivere, prima occorre partire da cosa si vuol raccontare.

    • Storia e Stile.
      Per me è lo Stile che si adatta alla Storia, per avere i risultati migliori.
      Immagina la Storia come una donna che si guarda allo specchio di un camerino per provarsi i vestiti. C’è la Storia magra e alta, la Storia grassa e botticella, la Storia con le gambe chilometriche e il busto piccolo, la Storia con le spalle troppo grosse e niente fianco, la Storia tutta curve a clessidra. Insomma, lo sappiamo che c’è una bella varietà, no? Lo Stile è il vestito.
      Ed è inutile che la Storia bassa e botticella insista col volersi mettere lo Stile dei leggings addosso, non ce staaaaa! Tigrati poi non si possono vedere!!!! 😀 😀

    • Stavo ripensando a questa cosa dello stile che deve adattarsi al genere: Lovercraft e King sono entrambi autori horror, eppure oserei dire che i loro stili sono agli antipodi, lo stesso potrei dire per Agatha Christie e Giorgio Scerbanenco o Andrea Camilleri, tutti autori di gialli, ma ognuno col suo stile peculiare. Quindi la risposta è no, lo stile non deve adattarsi al genere. Penso che spesso chi lo fa lo fa per insicurezza, teme che le sue idee non siano abbastanza forti da sostenere il romanzo (il che non vuol dire che non lo siano) e quindi adatta lo stile a quello di autori noti.
      Penso a sto punto che la necessità di un adattamento dello stile alla storia sia ancora meno forte.

      • Marco Amato

        Di norma è così, gli autori hanno uno stile determinato. Ma più che un pregio, lo considero un difetto. Una mancanza di plasticità. In tal senso l’esempio più lampante è Stanley Kubrick. Kubrick, al contrario dei suoi colleghi registi che sembrano avere sempre un medesimo stile, per ogni film variava genere e stile di racconto. Il Dottor Stranamore, Spartacus, Barry Lyndon, Arancia Meccanica, Full Metal Jacket, Shining, Eyes Wide Shut. Come se avesse la necessità di mettersi sempre in gioco, di sperimentare nuovi linguaggi.
        Senza nulla togliere al grande Camilleri o Simenon, trovo che alla lunga sia noioso raccontare sempre nel medesimo modo, col medesimo stile. Per i lettori è rassicurante, per lo scrittore pure, ti crogioli in uno stile che conosci e sai che va bene.
        Io ad esempio mi annoierei non a scrivere 50 romanzi nel medesimo modo, ma due di seguito.
        Come per Kubrick a me affascina variare i generi, lo stile della scrittura, mettersi continuamente in gioco nella scrittura. Reinventarsi ogni volta. Sono ancora ai principi, non ho ancora fatto nulla, né dimostrato qualche cosa. Però se avessi un manifesto programmatico a me piacerebbe questo, variare, non solcare schemi, che per quanto vincenti mi porterebbero alla noia.
        King stesso, a volte riesce a variare, e quando capita è una piacevole scoperta.

        • Certo, che un autore provi e abbia il coraggio di sperimentare è bene, quel che intendevo però è che non è necessario usare un determinato stile per aderire ad un determinato genere, anzi. è proprio lo scrittore insicuro o quello che vuole andare sul sicuro che si limita ad adattarsi a uno stile noto invece di sperimentarne uno proprio.

    Lascia il tuo commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Potrebbero interessarti:

    Silvia Algerino

    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

    Post Recenti

    • All Post
    • Blog
    • Risorse per crowdfunder
    • Risorse per lettori
    • Risorse per scrittori
      •   Back
      • Sei personaggi in cerca di...
      • Seo
      • Blogging
      • Dubbi d'autore
      • Copywriting & Co.
      • Marketing editoriale
      • Le mie parole
      •   Back
      • Indie&co
      • Calendario dell'avvento
      • Guest post
      • Idee
      • Interviste d'autunno
      • Libri
      • Poesia
      • Racconti
      •   Back
      • Crowdfunding editoriale

    Come se fossimo già madri

    Silvia Algerino

    Restiamo in contatto?

    * indicates required

    Per favore, scegli i contenuti che ti interessano:

    Puoi cambiare idea in qualsiasi momento: il tasto per l'annullamento dell'iscrizione è piè di pagina di ogni email che ricevi da me. Oppure scrivimi a privacy@silviaalgerino.com. Per altre informazioni visita il mio sito web. Cliccando qui sotto, mi autorizzi a gestire i tuoi dati nel rispetto della legge. Grazie di cuore.

    Utilizziamo Mailchimp come piattaforma di marketing. Cliccando qui sotto per iscriverti, accetti che le tue informazioni verranno trasferite a Mailchimp per l'elaborazione. Scopri di più su come Mailchimp gestisce la tua privacy.

    Intuit Mailchimp

    Restiamo in contatto

    Iscriviti alla newsletter (e niente spam).

    Yeah! Ora sei dei nostri. Ops! Qualcosa non va. Mi spiace! :(
    Edit Template

    Articoli recenti

    • All Post
    • Blog
    • Risorse per crowdfunder
    • Risorse per lettori
    • Risorse per scrittori
      •   Back
      • Sei personaggi in cerca di...
      • Seo
      • Blogging
      • Dubbi d'autore
      • Copywriting & Co.
      • Marketing editoriale
      • Le mie parole
      •   Back
      • Indie&co
      • Calendario dell'avvento
      • Guest post
      • Idee
      • Interviste d'autunno
      • Libri
      • Poesia
      • Racconti
      •   Back
      • Crowdfunding editoriale

    Contatti

    Silvia Algerino

    silvia@silviaalgerino.com

    P. IVA IT 02613430020

    © 2014 Created by Silvia Algerino – 2023 Updated by Silvia Algerino