Dubbio n. 18: Quanto e quando tagliare?

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    La settimana scorsa Salvatore nel suo blog ha proposto un interessante esperimento  su di un mio racconto.

    Per chi non l’avesse letto, dirò che si è trattato di un esercizio (badate bene, lui ci tiene: non un editing), in cui Salvatore ci ha mostrato che cos’è la scrittura per sottrazione, eliminando alcune parti ridondanti del testo e aggiustando le concordanze laddove il racconto lo richiedesse. In realtà nulla è stato aggiunto. Qualcosa è stato tolto, ma tutto quanto è uscito dalla mia tastiera.

    Accettare i tagli non è mai facile e i commenti al post l’hanno ben dimostrato.

    Noi aspiranti scrittori siamo un po’ permalosi. Abbiamo sempre la sensazione che ogni parto della nostra fantasia sia perfetto, almeno quanto noi madri vediamo bellissimi i nostri figli, come ben dice un adagio popolare che parla di mamme e scarafaggi.

    Tra i vari commenti a quel post, mi ha colpita e mi ha fatto molto riflettere l’opinione di Grilloz, che sostiene: Non chiamiamoli tagli, chiamiamole potature.

    Io che vivo immersa nel verde non ho potuto fare a meno di riflettere su questa osservazione.

    Le piante, lo sappiamo tutti, sono un bene prezioso. Non solo purificano l’aria inquinata di città, ma abbelliscono il paesaggio. Quanti tra di voi coltivano, anche in appartamento, piante o fiori? Negli ultimi tempi sono diventati persino di moda gli orti di città, piccoli spazi rubati al cemento dove produrre da sé un piccolo angolo di natura.

    Ma chi la campagna la frequenta sa che uno sviluppo incontrollato può produrre effetti nefasti. Lascereste la pur sanissima erba del vostro giardino crescere oltre una certa misura? Non potereste forse i rami secchi dell’acero che ombreggia il vostro cortile? Non stacchereste i fiori appassiti dei gerani prima che cadano a insozzarvi il balcone?

    Ecco, mi piace pensare che lo stesso meccanismo valga per ciò che scriviamo: la capacità di riconoscere le parti deboli, malate, ridondanti e di eliminarle allo scopo di far emergere e diventare più sane e forti quelle su cui vale la pena di investire veramente il proprio tempo e il proprio lavoro.

    Quali rami potare?

    Definita la validità dell’operazione proposta, il dubbio amletico rimane: che cosa va salvato e che cosa invece va tenuto?

    Prima di tutto teniamo conto di un fatto: non sempre le regole che valgono per un racconto valgono pari pari per un romanzo. Il racconto, a mio giudizio, è la forma narrativa più difficile da affrontare perché nella sua brevità offre poco spazio in cui far risplendere le potenzialità del testo e in cui ogni piccolo errore risalta proporzionalmente in modo più evidente.

    Nel romanzo, dove la narrazione permette spazi più ampi, scegliere che cosa eliminare parrebbe più difficile anche se meno rischioso.

    Partendo dall’ovvio, provo a definire quali linee guida ho appreso su ciò che andrebbe eliminato:

    • Il superfluo

    Bene, bella risposta. Ma che cos’è il superfluo in una narrazione? Tutto ciò che non serve veramente a far procedere la trama. Almeno così mi è stato detto.

    • L’infodump

    A volte mentre scrivo non ce ne rendo conto. Ho letto o sentito un’interessante intervento pochi giorni fa, e riguarda proprio l’argomento del mio romanzo. Non mi sembra vero di sbattercelo dentro e rimpolpare un po’. Subito magari mi sembra pregevole, ma a rileggerlo con attenzione è evidente: non sto scrivendo un trattato.

    • ciò che non mostra nulla

    Ormai la lezione del show don’t tell dovrei averla imparata. Eppure ci casco sempre, soprattutto quando scrivo in prima persona. Dopo una rilettura però taglio senza pietà: fatti, non pensieri.

    • ciò che inganna l’orecchio con la musicalità

    Leggere, è fuor di dubbio, deve essere un piacere. Però, se non si tratta di poesia, l’eccessiva lirica potrebbe essere più un fastidio che un tratto dello stile.  A volte mi rendo conto di aver usato parole vuote, che tanto mi parean belle, ma che niente aggiungono alla mia narrazione. Sebbene mi si stringa il cuore (è difficile staccarsi dalle proprie creature), via tutto. Il risultato rimarrà di certo migliore.

    • ciò che è frutto di troppi ragionamenti

    Per quanto non scriva di me stessa, ci possono essere temi e situazioni in un romanzo su cui ho speso non poche ore a ragionare. Al pari di ciò che costituisce infodump, nemmeno le paranoie personali dovrebbero essere infilate in un romanzo. Se senza accorgermi consciamente lo faccio, è importante che subito dopo riesca e rendermene conto e che affili la lama.

    Fatti salvi questi concetti, vorrei tuttavia sottolineare che si potrebbe anche sostenere il contrario: vorreste mica mettervi a potare la foresta amazzonica? Il fascino del selvaggio dove lo mettiamo?

    Ci sono romanzi che se avessero subito potature di questo genere avrebbero perso gran parte delle loro caratteristiche che li hanno resi tanto famosi. C’è chi sostiene che le centinaia di pagine dei romanzi storici di Ken Follett siano infarcite di infodump, eppure io non solo me le sono bevute come fosse coca cola, ma le ho apprezzate particolarmente per avermi rinfrescato avvenimenti storici ormai dimenticati.

    Però, certo, Ken Follett. Mica Silvia Algerino.

    Quindi io, nel dubbio, ho deciso di tagliare. Voi come vi regolate?

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    34 Comments

    • nadia

      Spiegata da te la potatura è dolce e dovuta.
      Per il resto ti immagino piegata sul pc a tagliare, potare e segare rami, pentendoti dopo poco del taglio rasta che è venuto fuori…non tagliare troppo, non ti fare prendere dal perfezionismo ti prego. Lascia qualche pagina oltre al titolo o non saprò cosa leggere.
      Quando toccherà a me tu sarai già in stampa e che bello ti torturerò io con questi dubbi amletici, io che lascerei la foresta amazzonica in piena esplosione…come faccio a dirti di tagliare…secondo me se ti stacchi un attimo da tutto questo parlare di tecnica e rileggi con il cuore, sai risponderti da sola.

      • Che ridere! L’immagine di me che taglio a metà il pc con la motosega è fantastica oltre che realistica!!
        Sì, hai ragione, è molto importante trovare l’equilibrio tra la smania di tagliare e l’amore per le proprie parole. Credo però che sia utile andare da un estremo all’altro fino a trovare la giusta misura. 🙂

    • Be’ è difficile, alla fine però dopo anni ho l’esperienza di capire dove tagliare, senza una vera regola, di solito però non consegno mai un lavoro finito senza che prima non sia passato da un editor – sto parlando di romanzi – o almeno da un beta lettore che ritengo valido e a quel punto se ho affidato la lettura a una persona fidata i tagli proposti verranno accettati di buon grado, di solito è pota qui, ma rimpolpa anche là. Drastici tagli suggeriti invece – è storia nota – per ridurre le pagine e far rientrare il romanzo in un genere preciso, non sono stati presi in considerazione, ben 2 volte a costo di non essere pubblicata (da loro, perchè poi la pubblicazione è avvenuta).
      Si potano anche parti poco armoniche col resto, all’inizio per esempio ero un po’ moralista, ricordo una frase che iniziava con “cosa sarebbe l’uomo senza libertà?” orrore e partiva un pippone sulla libertà che certe donne non hanno e il giudizio impietoso di altre verso chi esce senza il marito, un drastico ma necessario colpo di forbice ha reso molto più snello l’episodio dell’uscita di Francesca (Ragione e pentimento) con un’amica senza il marito. Fu la mia editor a farmelo notare e dirmi di eliminare tutto ciò che di simile c’era nel testo.

      • Tu lo sai che sei il mio modello. Studio i tuoi libri come se fossero il Vangelo! 😉

    • Da due anni, piazzato sul balcone del mio appartamento, capeggia un bonsai che, senza essere mai innaffiato o curato, è riuscito a sopravvivere, e bene, finora. D’inverno perde gran parte delle foglie, di cui resistono solo le più forti; d’estate torna a inverdirsi e a riempirsi e a crescere. Io sono contento che sopravviva. Non ho il pollice verde né alcuna aspirazione da giardiniere urbano, ma ogni tanto mi fermo a osservarlo e sono contento di vederlo in vita. Certo, cresce in modo indiscriminato; non rispetta alcuna regola estetica che riguarda il mondo dei bonsai. Non ho il cuore, però, di potarlo. Forse, se un giorno lo ritenessi necessario, lo porterò da un esperto: che sia lui a dargli una forma, io rischierei solo di ucciderlo.

      Potare un racconto è più o meno la stessa cosa. Forse vale anche per i romanzi; io però ho esperienza con i racconti. Cosa tagliare? Esattamente come per il bonsai, dipende dalla specie. A quale specie appartiene il tuo racconto? Ci sono dei canoni estetici… È un racconto classico, alla Buzzati? Rientra nel realismo magico, alla Calvino? o alla sua variante latino-americana: alla Marquez? Realismo isterico: Don Delillo, David Foster Wallace, Jonathan Franzen, Thomas Pynchon? È un racconto alla Carver? Eccetera. Stabilito quale sia la tipologia, bisogna anche sapere come riprodurlo quel canone lì… Altrimenti si finisce per fare quel che farei io col mio bonsai: taglio a casaccio le foglie e i rametti, affidandomi all’istinto e al mio gusto, rischiando di rovinarlo e, forse, di ucciderlo.

      Alcuni canoni richiedono un testo denso, altri un testo asciutto; alcuni fanno dell’infodump un elemento indispensabile, esacerbandolo all’estremo, altri devono presentare solo quelle informazioni logico-sequenziali indispensabili per la trama; alcuni richiedono continue digressioni, altri delle contrazioni. Insomma, dipende. Il fatto è che, nella scrittura, tutti si sentono degli esperti di bonsai: tanto non muore mica nessuno se sbagli a potare…

      P.S. grazie per la citazione. 🙂

      • Pensa che io ho sempre detto a chi mi regalava piante di sceglierle tra quelle con un gran senso di attaccamento alla vita perché non mi ci sento portata per quelle da vaso, manco mi ricordo di bagnarle. Curo invece orto e giardino con amore e passione. Che sia anche questo un sentirsi portati per un certo genere come accade per la scrittura?

    • Premetto che io non ho nessun “problema morale” a tagliare, anzi: eliminare ciò che non serve mi dà una sensazione di ordine e di pulizia, quindi mi piace. Anche io taglio l’infodump e, in prima stesura, anche tutto ciò che ho scritto per definire meglio la situazione, ma che alla lunga risulta ripetitivo e ridondante, perché il lettore non è scemo, e certe cose le ha già capite (vero, Marina? :D).
      Di recente mi è capitato di rileggere alcuni brani scritti due anni fa. Il mio stile è cambiato, è diventato più naturale ma al contempo più elegante. Mi sono quindi trovata a eliminare tante similitudini, aggettivi e climax che non davano alcun valore aggiunto al testo. 🙂

      • Esatto, è proprio quello che intendo. Anche se a volte è più facile che se ne accorga qualcun’altro. Marina (a te) e Salvatore (a me) servono proprio per questo. Dura la vita da lettore beta, eh?

      • Questo accade quando scriviamo i capitoli in prima stesura. Nel momento della revisione, la lettura compatta di intere parti fa venire fuori tutti i concetti ripetuti, le cose ribadite, quelle che ritornano sotto mentite spoglie. Sennò, le revisioni a che servono? 🙂

    • Io metto da parte la storia per un po’, la riprendo quando non me la ricordo più e allora dico: “Ma che è questa robaccia?”. Oppure: “Interessante”. Elimino volentieri tutto quello che mi pare di troppo, e come faccio a capire che è di troppo?
      Mi illudo di capire quando il “motore” gira a vuoto, e non va da nessuna parte. Allora cancello. Nel dubbio, non esito mai: elimino. E mi pare che funzioni bene come metodo.

      • Direi che nel tuo caso il tuo metodo funziona alla grande. Ultimamente sto leggendo Carver. Trovo molto simili le sue atmosfere alle tue. 🙂

    • Ho aperto il link e…oddio, rocchetti, tessuto gessato, forbice da sarto!!
      Mio padre è sarto. Dovrei dire era, perchè è in pensione, ma il sarto è per sempre.
      Tanto per capirsi, tutti i giardini dove passa hanno il terrore della sua persona. Questo moderno Attila ha costantemente tosaerba, decespugliatore, forbici di ogni sorta e dimensione in mano.
      Qual è il rischio? Come è già successo, ha potato troppo, germogli compresi.
      E credo che tutti conoscano il valore di un germoglio.
      Anche se tutto dipende da che pianta vuoi.
      Certo un arbusto di rosmarino richiede una potatura diversa da un salice piangente secolare, senza nulla togliere alla bellezza di entrambi.
      Detto ciò, ho letto con interesse il post di Salvatore, non tutti gli 80 e passa commenti, ma il senso delle obiezioni le ho colte. Concordo con chi dice che la versione di Silvia è “femminile” (prolissa e pensierosa, come i miliardi di neuroni impazziti dagli ormoni) e la versione di Salvatore è “maschile” (stringata e vaga, dove ci puoi leggere tutto e niente…ed è di solito da lì che partono i film mentali femminili 😛 )
      Ma il punto è: qual è il target del racconto? Perchè Salvatore in un commento dice che è da “Donna Moderna”, il che mi ha lasciato un po’ spiazzata. Sapevo di non essere un lettore da Confidenze, ogni tanto il Donna Moderna s’infila in borsa (molto più spesso Donna in sella, Due ruote, Cucina moderna e Paperino….ora potete profilarmi), ma non mi rispecchio nella lettrice della versione ridotta. Preferisco comunque quella di Silvia.
      A Natale ho regalato ad un “lettore pigro-leggo solo sotto tortura-non ho tempo” due edizioni di Toilet, racconti brevi e lunghi a seconda del bisogno della 80144 edizioni. Dopo due mesi, il fortunato voleva tirarmeli in testa (fortuna son leggeri) ed ha esclamato: “Ma scrivi meglio tu!” (…qualcosa mi dice che non era un complimento)
      Ed in effetti, dandoci una scorsa, non li capisco. C’è molto di quella vaghezza, del non dire esplicitamente niente e lasciar interpretare. Solo che già in due, opposti nei gusti, non abbiamo inteso.

      • nadia

        tu sei una grande!!!

      • Leggendo il tuo commento ho realizzato che invece che le forbici da sarto avrei dovuto mettere quelle da giardiniere come immagine del post. Sarò stordita? 😛

        Riguardo al discorso del mio racconto e della “potatura” di Salvatore, presto preparerò un post con la mia nuova versione, riscritta sulla base dei tagli suggeriti. Solo così l’esperimento sarà completo e, spero, si capirà meglio il lavoro proposto. 🙂

      • Mi sorgono dei dubbi sulla mia capacità comunicativa: quella presentata sul mio blog, Barbara, non è la mia versione, perché per esserlo avrei dovuto (ri)scriverla io. Quello che mi sono limitato a fare è stato togliere il superfluo, non aggiungere o modificare. Se ti piace di meno non dipende da ciò che è stato tolto, ma da ciò che non è stato aggiunto. Il punto, però, che evidentemente non è passato, è che la versione potata, pur bisognosa di riscrittura, ha un taglio più professionale della versione originale. Il commendo a Donna Moderna era una battuta in risposta a un altro commento. Nell’articolo, se ci fai caso, non ho mai deto che il racconto presentato nel mio blog è da Donna Morderna, ma solo che è “quasi vendibile”. È probabile che abbia posto male la questione, generando dei fraintendimenti. 🙂

        • No, ho capito la questione. Pur non avendo scritto nulla, ma avendo solo sottratto, la devo comunque chiamare la tua versione (perchè il tipo di taglio, quanto meno, l’hai deciso tu). Chiamiamolo esercizio di Salvatore, se per te è meglio.
          La mia domanda è: taglio professionale per chi? vendibile per chi? per il direttore di una rivista o per il pubblico? Cosa la rende più vendibile? La vaghezza o il numero delle righe?
          Io, da pubblico, pur volendo inserire aggiustamenti al tuo esercizio (ma non troppo, altrimenti più che sottrazione è sostituzione), non mi ci rivedo. Se vado a riguardare le ultime cose lette, sono verbose e chiarissime, che più non si può.
          Sto cercando di capire eh, non c’è polemica nel mio commento 🙂

          • Sì, certo, il gusto è comunque mio, e al momento la mia esperienza è limitata al Gruppo Editoriale Mondadori. Quindi “vendibile” (quasi) in quel contesto. Nulla toglie che a te, o a chiunque altro possa piacere la versione (nel suo caso sì) di Silvia o qualcosa di ancora diverso.

            Le polemiche, per quanto mi riguarda, anche se possono in un primo caso essere fastidiose, servono per imparare e comprendersi meglio. Sono un uomo di polso: preferisco il conflitto. Questo non toglie che non voglia comunque bene alle persone con cui entro in conflitto. Ti pare anomalo? 🙂

            Pensa che Silvia, poverina, che ho messo senza volerlo (o meglio, con buone intenzioni) in imbarazzo, si è spesa più di me per difendere la “mia” versione… Alla fine il mondo del blog mi piace perché, a parte qualche testa matta, ce se vole tutti bbene. (sto leggendo Gadda…). 😉

            • Io non mi sento per nulla in imbarazzo, perché dovrei? Credo che qui l’interesse di tutti sia solo cercare di capire e di migliorarsi. E poi, da vanitosa, mi piace che il mio racconto sia al centro di tanto discutere! 😛

              Difendo la “tua” versione perché la vedo come un’utile step per raggiungere una mia nuova versione più professionale. Ma poi però facciamo l’esperimento: mandi quella finale a Confidenze come tua e vedi se te l’accettano, no? 😉 (ovviamente scherzo!!!)

              • Se la mando io l’accettano di sicuro… 😛

    • PS. Complimenti per il nuovo vestito del blog, molto fresco ed estivo 😉

      • Silvia

        Grazie! Allora qualcuno l’ha notato? Mi annoiano le cose che non cambiano mai… 🙂

    • Io mi sono già espressa nel contesto di Salvatore, ma non sono rigida e ho provato a dare un senso a tutta quella discussione. Mi accorgo che qualcosa mi è rimasta dentro, perché quando ho riletto, dopo un po’ di tempo che non lo facevo, i capitoli già scritti del mio nuovo romanzo, ho tolto, sacrificato parti che mi piacevano, potato rami secchi, ma anche tagliato foglie verdi per cogliere l’essenza. Mi sono trovata con tre righe a capitolo! Ahah, no, quest’ultima era una battuta, ma tutto il resto è vero: snellire può avere un senso se ciò non va a intaccare quello della storia. Dunque oltre al target o al genere, secondo me occorre chiedersi: quale messaggio voglio fare passare attraverso le mie parole?

      • Sono pienamente d’accordo con te. Forse ci vuole un attimo a interiorizzare ciò che ci ha mostrato Salvatore, ma credo che ci sia molto da imparare da quel post. 🙂

        Credo anch’io che, benché presi dalle nostre parole, non vada mai dimenticato che cosa si sta scrivendo e perché. Forse è la cosa più difficile da fare, ma è anche la risposta alle nostre domande.

    • Ehy, grazie per la citazione 😀
      Cosa potare l’hai già detto tu 😉 resta da definire il come. Lo scopo della potatura dovrebbe essere quello di rendere più forte la pianta che si va a potare, dunque facile decidere, no? No! Non è facile per nulla 😛 PErchè è facile indiviuare i rami secchi, ma se ti trovi a scegliere tra due rami freschi quale andrai a potare? Quello rivolto a nord o quello rivolto a sud?
      Anche tagliare ciò che non serve alla trama è difficile, perchè magari un certo episodio può servire a inquadrare meglio un personaggio, anche se inutile allo sviluppo della storia.

      Sul discorso della foresta amazonica e del bello della natura selvaggia concedimi un’altra metafora. La natura selvaggia è la vita, ma il romanzo (o il racconto) è un giardino, un orto botannico, un parco. E cura dell’autore/giardiniere tenerlo in ordine e farlo prosperare.

      • Bella, mi piace questa metafora finale. Toccherà riprenderla in un altro post. 😉

          • Potresti trasformarla in una nuova professione! Altro che ing! 😀

            • Ma già lo faccio, in qualità di commentatore abusivo 😀

              • Tiziana

                Non so mica se ce la farei ad averti come tagliatore di storie, Salvatore.
                Un po’ di soggezione me la crei.
                :p

      • P.S. sarà un caso che uno dei più grandi maestri di scrittura creativa si chiamava Gardner??

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

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