Da quel giorno in poi le lettere di suo padre furono sue e soltanto sue.
“Non preoccuparti mai per me” scrisse suo padre. “Nonostante la guerra mi diverto molto. Nonostante la tua assenza, per la quale soffro molto, tutti i giorni, almeno una volta all’ora, figlio mio amatissimo”.
Sembrava che a quei giorni a Berlino tutti non facessero che festeggiare. C’erano grandi feste tutte le sere. Frau Bilka e il dottor Shneider facevano a turno a invitare gli altri inquilini del palazzo a prendere il tè.
– Ieri sera ho portato Thea in una sala da ballo. Ha sbalordito tutti per quanto era bella. Aveva un gran vestito rosso con una sottoveste rigida. Ha chiesto di te naturalmente, come fa sempre.
Peter rispose raccontando della bicicletta che aveva trovato in n campo, abbandonata lì e basta, e nessuno era venuto a reclamarne la proprietà. In verità Peter non aveva una bicicletta perché non ne aveva mai trovata una, e suo nonno pensava che una cosa fosse troppo pericolosa per un bambino così piccolo. “La mia bicicletta è rossa. con la trombetta più squillante che ti puoi immaginare. Ora so pedalare molto bene, e vado molto veloce, soprattutto in discesa”.
“Io invece” rispose il padre di Peter “mi sono comprato una motocicletta. E’ nera, con un seggiolino a fianco dove a volte porto gli amici a fare un giro. Frau Bilka mi prega in ginocchio per una corsa in moto”.
Arrivarono a cinquanta lettere scritte a macchina poi fu di nuovo Natale.
Le lettere del sabato, Irene Dische