Quanta autobiografia in un romanzo?

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    Quando feci la mia prima (e unica) presentazione del mio romanzo Come se fossimo già madri, la domanda più ricorrente fu: “è un romanzo autobiografico?”.

    Del resto accade anche a me, con spirito un po’ voyeuristico, di chiedermi quanto della vita reale di uno scrittore ci sia nei suoi romanzi.

    Nel mio caso, rispondevo sì e no. A seconda di come si interpretasse la parola autobiografico.

    Se per autobiografico si intende un romanzo che racconti fatti reali, accaduti nel corso della vita dell’autore, allora no, non si tratta di un’autobiografia. Le persone di cui ho parlato non esistono. Le storie che ho narrato non si sono mai svolte nella realtà.

    Tuttavia, se si intende mettere l’accento su qualcosa che mi riguarda, allora sì, Come se fossimo già madri parla di me.

    Il mio romanzo nacque nei giorni d’ospedale in cui venne al mondo il mio primo figlio. Di notte camminavo tra i corridoi silenziosi del reparto, nelle rare pause in cui Leonardo dormiva. E lì sentivo l’urgenza di dar voce alle storie che immaginavo nell’osservazione delle mie compagne di stanza.

    Con queste non solo condividevo uno spazio, condividevo uno stato d’animo. Noi neo mamme eravamo tutte uguali di fronte a questa nuova incombenza, sebbene ognuna di noi reagisse in modi diversi, opposti o complementari, in base a ciò che il carattere, le esperienze, le possibilità di ognuna disponessero.

    Quindi in realtà, pur parlando di persone e fatti inventati, parlavo di me.[su_spacer]

    SCRIVI CIO’ CHE CONOSCI

    Il monito di Stephen King nel suo On writing più o meno è rimasto impresso a tutti noi aspiranti scrittori. Scrivi ciò che conosci.

    E’ chiaro che ciò che conosciamo meglio è la nostra vita, per cui quanto più siamo esordienti inesperti, tanto più siamo tentati di ficcarcela dentro in ogni salsa. Soprattutto perché essendo la nostra ci sembra interessante, così come ci sembrano interessanti i nostri hobby e le nostre passioni più di quelle del nostro vicino di casa.

    Tuttavia possiamo imparare a staccarci dal nostro vissuto sebbene facendo tesoro delle nostre esperienze.[su_spacer]

    COME PRENDERE DISTANZA DALLA NOSTRA VITA?

    Ovviamente non possiamo cancellare noi stessi quando scriviamo, e nemmeno sarebbe auspicabile. Possiamo però prendere le distanze dalle nostre vite per creare storie interessanti per il lettore e personaggi a tutto tondo. In che modo?

    • Documentandoci su ciò che non conosciamo e approfondendo ciò che conosciamo

    Con questo non solo facciamo contento Stephen King, ma possiamo allargare i nostri orizzonti e affrontare argomenti diversi da quelli che trattiamo di solito. Inoltre questo studio ci permette di relativizzare e di dare alla nostra vita la giusta dimensione.

    • Cambiando il punto di vista

    In alcun casi, pur partendo da quello che siamo noi, può essere interessante capovolgere le situazioni e proporre quello che non siamo. Questo non solo ci fa prendere le distanze da quello che scriviamo (perché dall’alto le cose si vedono sempre meglio), ma ci aiuta a costruire personaggi più credibili e con tratti più sfaccettati.

    • Osservando le vite degli altri

    A me capita di farlo quando sono in coda al supermercato. Guardo che cosa acquistano gli altri e dalla loro spesa mi immagino la loro vita. Oppure quando leggo le notizie sul giornale. Attraverso un articolo ci giunge solo la punta dell’iceberg, l’evento che genera la notizia. Dietro di esso ci sono cause ed effetti. Fantasticare su di esse è un ottimo esercizio di scrittura, ma anche di vita quotidiana: cercare di capire ci allontana dalle generalizzazioni, nemiche della buona scrittura oltre che del vivere civile.

    • Metterci dalla parte del lettore

    Io non sono del tutto d’accordo con chi sostiene che bisogna scrivere pensando a chi leggerà. Parto dal presupposto che il gioco lo conduco io, la mia abilità deve stare nel riuscire a farmi seguire. E’ pur vero che non conoscere i propri potenziali lettori o, peggio ancora, non chiedersi che cosa può interessare ad un lettore è un atto di superbia.

    Se noi ci mettessimo ad osservare le nostre storie dalla parte del lettore, in alcuni casi potrebbero sembrarci noiose laddove invece a noi sembrano interessantissime. [su_spacer]

     

    Come trovare il nostro equilibrio narrativo?

    Sinceramente non ho ricette a questo proposito. Per quanto riguarda me è stato un percorso piuttosto lungo.

    Il primo romanzo che ho scritto parlava quasi solo esclusivamente di me, sebbene io me ne sia resa conto parecchi anni dopo averlo terminato. Il secondo, come ho detto prima, è un romanzo che parla di un tema in cui ero immersa nel momento in cui scrivevo, sebbene tutte le vicende fossero frutto di fantasia.

    Quello che sto scrivendo ora (finalmente!) non ha davvero nulla a che vedere con me, se non l’ambientazione, in quanto ho scelto di inscenarlo nei luoghi dove abito.

    Per me è stato un percorso necessario e inevitabile, credo che altri siano più abili di me fin dal principio.[su_spacer]

     

    E voi, come avete trovato il vostro equilibrio?

     

     

     

     

     

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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