Ancora sul self-publishing: quando certi mezzi diventano popolari

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    Questo post prende spunto dall’interessante post di Marco Freccero Il problema del self-publishing (spesso) sono gli autori di self-publishing.

    Se ancora non lo avete letto, vi consiglio di farlo.

    Io, dopo aver letto l’articolo di Marco e i successivi commenti, ho riflettuto a lungo e mi è nata spontanea un’osservazione.

    Il boom del self-publishing grazie alla tecnologia

    Se ci pensiamo bene, l’avvento e la diffusione del self sono state possibili in primo luogo grazie al miglioramento e alla diffusione dei mezzi tecnologici.

    Del resto, il vero boom del self coincide con la possibilità di vendere i testi (o, meglio, ebook) su Amazon, fin dal 2009 in America, un po’ più di recente da noi.

    Più o meno in contemporanea, tra 2010 e 2011 sono le stesse case editrici a fiutare l’affare: non per niente nascono i tornei Io Scrittore, promosso dal gruppo GeMS, e Il mio esordio, concorso realizzato da Il mio libro, piattaforma di self-pusblishing del gruppo editoriale GEDI in collaborazione con Feltrinelli.

    Insomma, il self in Italia nasce e cresce grazie anche all’interesse delle case editrici.

    La “democratizzazione” della pubblicazione è nell’aria e vive grazie alla possibilità di fare tutto in digitale, dalla preparazione del testo alla stampa, dalla pubblicazione vera e propria alla pubblicità, compresa la lettura sotto forma di ebook.

    Mezzi per tutti = abbassamento di livello?

    Spesso in concomitanza alla diffusione di certi mezzi si registra un abbassamento di livello qualitativo del prodotto.

    Temo che sia inevitabile. In genere, per quanto tutto ciò sia poco democratico, i costi elevati fungono da deterrente e fanno selezione. Nella nostra società, dove non è così netta la scissione tra ricchi e poveri, il dover pagare per qualcosa può essere discriminante non tanto a livello di mezzi economici, quanto piuttosto a livello di interesse.

    Nello stesso modo, la semplicità con cui si può accedere e utilizzare certi dispositivi apre alle masse senza filtro.

    Ora, non vorrei sembrare elitaria, ma è abbastanza palese che dare
    certi mezzi a tutti senza limiti porta a un abbassamento del livello.

    Pensiamo che cosa è accaduto in questi anni con l’informazione: chiunque oggi può aprire un blog e diffondere notizie (anche false), spesso con conseguenze ancora più gravi di quelle che può creare un cattivo self.

    È pur vero che l’abbassamento di livello che si percepisce è comunque generalizzato: non è che i giornali ufficiali on line talvolta non facciano cattiva informazione, almeno quanto le case editrici non pubblicano anche porcheria.

    Nuove strade per nuove professioni

    Del resto, questa evoluzione si percepisce in tutti i campi: i grandi cambiamenti tecnologici hanno rivoluzionato persino i tipi di lavoro e l’accesso ad essi.

    In questo settore non esistono più percorsi predefiniti e obbligatori per svolgere una determinata attività.

    Parliamo di comunicazione? Come si diventa blogger, influencer, social media manager? Ci sono corsi universitari che corrono dietro al progresso comunicativo costante e che non riescono a stargli dietro, ci sono corsi di guru o presunti tali, ci sono scuole specializzate ma non sempre riconosciute né accreditate.

    Poi, c’è l’università della strada o, meglio, l’esperienza: un vero valore in certi casi, almeno quanto una truffa in altri.

    Insomma, qui come nel self-publishing, la differenza la fanno la serietà e l’impegno di chi presta la propria opera a un pubblico, non dimentichiamolo, pagante.

    Il bene e il male della democratizzazione informatica

    Io, che in questo settore ci lavoro, non posso lamentarmi della diffusione di certi mezzi, che appunto mi permettono di lavorare e, soprattutto, di fare il lavoro che amo. E trovo bellissimo che tutti li possano utilizzare, non solo i ricconi o i cervelloni (altrimenti ne sarei io per prima esclusa, eh eh!).

    Ma è altrettanto vero che tutti i giorni mi scontro con la massa di chi ha troppa facilità a usare certi mezzi senza averne le competenze e, soprattutto, senza nessun interesse a migliorare la propria condizione, con evidenti danni per sé stesso e per gli altri.

    Lo stesso vale per il self: come già si sottolinea nel post di Marco e nei relativi commenti, il cattivo self-publisher fa una pessima pubblicità per la sua categoria, a scapito di chi invece lo fa con serietà, impegno e capacità. Anzi, la cosa più grave è che, se il self-publisher scrupoloso si danna l’anima per migliorarsi, il pessimo scrittore nemmeno si accorge di esserlo. 1

    Personalmente sono dell’idea che, come sempre nelle grosse evoluzioni, ci sarà finalmente un momento di assestamento in cui i ciarlatani si faranno un po’ da parte e le persone competenti saranno meno esposte al pregiudizio. Ma ce n’è ancora tanta di strada da fare e i prossimi repentini cambiamenti, di cui ora non abbiamo ancora consapevolezza, potrebbero di nuovo modificare lo scenario.

    Insomma, tocca navigare a vista.


    [1] Su questo tema consiglio l’interessante articolo di Anna Maria Testa su Internazionale

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    15 Comments

    • In tutti i campi vale sempre la stessa massima: “Se pensi che un professionista costi troppo, aspetta di vedere quanto ti costa un incompetente.”
      Ancora oggi sento di piccole imprese, artigiani, liberi professionisti che per il proprio sito web si sono affidati non dico al mitico “mio cuggino” ma a personaggi che si sono riciclati a web developer (architetti che invece di disegnare case disegnano siti, tanto che ci vuole? geometri che vendono una semplice installazione di wordpress a 5000 euro… qui semmai bisognerebbe dargli l’Oscar per la vendita!) Dopo aver speso l’inverosimile, vanno dai veri professionisti e vogliono sistemare lo schifo spendendo il meno possibile.
      Succede anche col self: molti ci si buttano senza cognizione, o affidandosi a “mio cuggino”, dopo magari aver speso soldi in pubblicazione EAP. Ma il self, per dare risultati, richiede molto impegno. Comunque secondo me stiamo per giungere alla fine di un ciclo… qualcuno ha iniziato a ritirare i propri invenduti dagli store.

      • Anch’io penso che si tratti di cicli che poi si assestano. E finalmente danno la possibilità a chi è serio di emergere. Peccato, però, che tante persone competenti e serie siano state penalizzate dalla cattiva fama del self.

    • Giulia Mancini

      Credo che la possibilità di pubblicare in self publishing abbia aperto la strada a molti, però chi crede nella propria scrittura e vuole migliorarsi ha la possibilità di farlo. Mi è capitato di leggere dei romanzi terribili di self ma anche degli ottimi romanzi, alcuni molto belli e con meno successo di quelli terribili. Tuttavia a me questa “democrazia” piace, basta saper scegliere, ormai io ho i miei autori self che conosco, so che scrivono bene e sono seri. Ogni tanto cerco anche nuovi autori, se la storia mi ispira. Dal canto mio posso affermare che il mio primo romanzo La libertà ha un prezzo altissimo, nella sua prima versione, presentava qualche difetto che ho poi sistemato con una nuova revisione aggiornando il file. Credo di aver imparato molto anche grazie all’esperienza self. Infine vorrei sottolineare che non sempre “grande casa editrice” è sinonimo di perfezione, io leggo parecchio e mi è capitato di trovare errori veri e propri o romanzi davvero insulsi in libri pubblicati da CE importanti.

      • Sono d’accordo che la casa editrice non è sinonimo di perfezione. Più che altro è garanzia del fatto che il libro abbia seguito un certo percorso, ma non è detto che quel percorso sia sempre stato quello corretto.
        Per quanto riguarda il fatto di aver aperto la strada a molti, per me è sicuramente una novità molto positiva. Tutto sta nel saperla sfruttare bene.

    • A pensarci bene, non è curioso che tante persone scrivano e vogliano pubblicare? Non mi sembra che esista un corrispondente nelle altre arti. Se dipingi o suoni uno strumento, ti diverti da solo o con amici e familiari, ma non ti viene subito spontaneo pensare di fare mostre di pittura o di entrare nella filarmonica di Vienna. Se invece scrivi qualcosa, anche se hai sentito soltanto il parere di tuo marito e tua sorella in merito ai risultati, ti sembra normale pubblicare. Forse scrivere storie è illusoriamente facile? Oppure le altre arti sono una soddisfazione già in sé, mentre la scrittura, non facendo presa direttamente sui nostri sensi, ci spinge a cercare soddisfazioni di altro genere?

      • Be’, qui tocchi un argomento a cui ho spesso pensato anch’io. Chi scrive ha già enormi vantaggi rispetto ad altre forme d’arte: bene o male tutti impariamo i rudimenti della scrittura a scuola e non abbiamo bisogno di investire tempo e denaro quanto un musicista o un pittore. Senza contare che per scrivere basta un foglio e una penna, al limite un pc che oggi abbiamo tutti, mentre uno strumento spesso richiede investimenti non da poco. Forse in queste altre forme d’arte c’è una selezione iniziale che nella scrittura non c’è e, come dici tu, può essere che arrivare a saper suonare sia già una soddisfazione di per sé, che prescinde dal successo.

    • Marco Amato

      Concordo con il tuo ragionamento. Lo predicavo qualche anno fa, nelle diatribe sul self. Il self publishing è una innovazione portentosa, che pochi hanno compreso a livello teorico. Ha una portata che viene dopo solo alla stampa a caratteri mobili di Gutenberg. So che può sembrare esagerato e i detrattori sarebbero già inorriditi.
      Ma Gutenberg ha permesso di far diventare il libro popolare, niente più libri scritti a mano e la possibilità di replicare un’opera in quantità elevate.
      Il self, con l’ausilio dell’ebook e poi anche del POD, print on demand per il cartaceo, è dirompente. Sbriciola gli schemi concettuali prestabiliti e dà l’opportunità a chiunque (ed è un gran bene) di poter pubblicare ed esprimere opere che altrimenti il filtro editoriale (il famoso filtro) potrebbe smarrire nella sua corsa bulimica alla pubblicazione di solo ciò che ritiene vendibile.
      Questa possibilità dà spazio agli autori di poter intraprendere una carriera autonoma, di affermarsi e di poter vivere di scrittura senza dover fare i numeri mirabolanti dei best seller dell’editoria, perché in editoria lo scrittore vale, se gli va bene, un decimo di royalty del prodotto libro.
      Poi ci sono tanti mali. Gli scrittori improvvisati che compiono schifezze, ad esempio. E qui sta l’errore base dei detrattori. Fare una categoria self. Non esiste una categoria self, ma una categoria libro, che è identica nella sua funzione a quello prodotto da un editore Il libro racconta una storia, punto. Può essere scritto bene o male. Avere alti standard o bassi, ma racconta sempre e solo una storia.
      E’ anche vero che l’Italia questo treno non lo ha saputo sfruttare. Il self made man americano ha fatto esplodere in fenomeno negli States. Qui da noi invece il fenomeno italiano, la logica il posto fisso è l’unica cosa che conta, non ha sfornato una classe di autori indipendenti capaci e motivata a fare da solo, dalla scrittura della storia al marketing. Qualcuno c’è riuscito certo, ma pochi. Ed è un gran peccato.

      • Mentre scrivevo il post, stavo proprio pensando di paragonare l’avvento del self all’avvento della stampa. Poi mi sono trattenuta, pensando di poter essere fraintesa. Ci hai pensato tu a farlo e questo mi fa un gran piacere, vuol dire che – come capita spesso – la pensiamo allo stesso modo.
        Del resto, sono sempre convinta che i mali non stanno mai nel mezzo, quanto nel cattivo uso che si fa di esso. E poi, certo, la nostra pessima umanissima abitudine di generalizzare fa il resto.

    • Qui in Italia ci vorrà molto più tempo prima che l’autopubblicazione diventi “autorevole”. Noi, per ora, dobbiamo “rassegnarci” a essere gli apripista, cercando di convincere un lettore alla volta che si può scommettere su un autore indipendente anche se non ha il “marchio” della casa editrice. Non mi illudo: probabilmente perché questo accada sarà necessario attendere ancora molti anni. Ma devono essere gli autori indipendenti e osare la qualità. Non devono piagnucolare o criticare perché “gli altri” non li comprendono, o non li capiscono. Le rivoluzioni non si fanno in carrozza; ma in trincea.

      • Sono d’accordissimo. Sicuramente lavorare sulla qualità non può che contribuire a migliorare l’attuale opinione sul self.

    • Hai ragione Silvia, si tratta di navigare a vista. Sia nella ricerca della piattaforma più trasparente e corretta con l’autore, capace di non penalizzare il lancio con costi elevati e lungaggini burocratiche, che nella selezione dei titoli. Sto monitorando alcune case editrici tradizionali che stanno emulando il self quanto a costi del cartaceo e distribuzione. Se non fossi una pigrona venderei il doppio. Credo che se fossi una professionista del settore mi butterei sui servizi agli autori per la distribuzione e commercializzazione. Quello che mi manca.

      • La distribuzione e la commercializzazione sono due punti chiave non solo nel self, ma anche nell’editoria tradizionale che spesso è lacunosa in questo senso. Probabilmente passa proprio di qui la scommessa per rilanciare l’editoria. Nella speranza che si muova qualcosa di più di ciò che è stato finora.

        • Ciao Silvia, se valutiamo editoriali tradizionale e self da questo punto di vista la differenza si nota appena. Forse dobbiamo diventare scrittrici 4.0! 😲

    • Io da lettrice concordo sull’affermazione che il problema dei self sia la poca professionalità di alcuni improvvisati autori, ma lo stesso vale per i libri pubblicati con seficenti case editrici… Nemmeno i nomi altolocati e i premi sono una garanzia. Ma allo stesso modo ho avuto modo di apprezzare altrettanti autori self che mi hanno saputo regalare ottime letture. Come internet, come la polvere per fare i fuochi d’artificio… Tutto dipende da che uso ne fai.

      • Senza dubbio è l’uso che fa la differenza, non il mezzo. Eppure, tendiamo sempre a generalizzare, pensando che se ottanta persone su cento usano male un certo mezzo, allora se usi quel mezzo, sicuramente fai male. È una fallacia argomentativa.

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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