7 cose da sapere sul crowdfunding per l’editoria

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    Ritengo che sul crowdfunding, e in questo caso in modo particolare sul crowdfunding editoriale, ci sia ancora un po’ di confusione, in parte generata dal fatto che si tratta di una pratica “nuova” soprattutto in Italia e, per questo, ancora poco conosciuta e poco sperimentata, in parte per legittime questioni ideologiche.  C’è infatti chi rifiuta il crowdfunding per convinzione personale, così come accade nei confronti del self-publishing, e si tratta ovviamente di posizioni legittime e, in alcuni casi, persino autorevoli.

    Tuttavia mi preme dire la mia opinione su alcuni punti che ritengo necessario chiarire per chi abbia intenzione di avvicinarsi al mondo del crowdfunding.

    7 cose da sapere sul crowdfunding editoriale

    1. Il finanziamento dal basso sostituisce il mecenate

    Un tempo era il mecenate la figura che permetteva a molti artisti di realizzare le proprie opere e con esse i propri sogni. Pur lasciando stare i De’ Medici o i Frescobaldi di epoca ormai lontana, abbiamo tutti presente l’importanza di figure a noi più vicine nel tempo come Peggy Guggenheim.

    Oggi, a parte qualche rarissima eccezione più legata alle industrie o alle fondazioni che singoli personaggi, per vari motivi che non è mio compito né è nelle mie capacità sondare, queste figure sono sempre più remote.

    Il crowdfunding nasce con presupposto di creare un finanziamento dal basso che anziché fondarsi sulla generosità di un singolo (o di una singola famiglia) che investe molto denaro, si fonda su un piccolo contributo di molte persone.

    2. Per una campagna vincente serve un progetto strutturato nel tempo

    Per coinvolgere un vasto numero di persone e soprattutto per convincerle a investire su di sé, è necessario avere un progetto che va al di là della singola opera che si vuole sostenere e che inevitabilmente deve occuparsi di comunicazione.

    Tuttavia imparare a comunicare nel modo giusto e trovare la propria strategia (perché non ce n’è una sola, ma ciascuno può avere la propria) non solo non è semplice, ma non è nemmeno immediato.

    Pertanto bisogna partire in anticipo sulla campagna stessa e strutturare un progetto comunicativo organico e puntuale.

    3. Avere ben chiaro il target a cui ci si vuole rivolgere è fondamentale per centrare il bersaglio

    Questo punto, in realtà, non vale solo per il crowdfunding editoriale, ma per la comunicazione in genere. Del resto è abbastanza ovvio.

    Immaginiamo che voi stiate tirando con l’arco. Quando mirate puntate al centro perché , sebbene possa essere accettabile anche colpire una parte più laterale, è intuitivo che se non miriamo al centro abbiamo meno possibilità di colpire il bersaglio stesso.

    La stessa cosa avviene nella comunicazione: può essere che pur concentrandoci su un target specifico colpiamo persone al di fuori del target, ma se ampliamo troppo il raggio di azione rischiamo di non colpire proprio nessuno.

    4. Distinzione tra successo/insuccesso della campagna e successo/insuccesso personale

    Questo è un altro punto molto delicato e molto importante. Spesso mi è capitato di incontrare persone che hanno rinunciato a mettersi in gioco per il timore di uscire devastati psicologicamente da un eventuale insuccesso. Purtroppo nella nostra cultura, a differenza di altre, il concetto di fallimento è talmente negativo da tarparci le ali.

    Certo, fallire non piace a nessuno, ci mancherebbe, ma quando la paura di sbagliare sblocca il tentativo stesso è un grave danno.

    Per questo bisogna tenere ben presente la distinzione tra successo/insuccesso della campagna e successo/insuccesso personale. Se una campagna registra un insuccesso non deve essere letto come un fallimento personale, semmai un intoppo, una esperienza fondamentale da cui trarre indicazioni per il futuro.

    5. Distinzione tra successo/insuccesso della comunicazione e successo/insuccesso dell’opera letteraria

    In una campagna di crowdfunding editoriale, come in genere in tutte le campagne che richiedono una comunicazione, la comunicazione è fondamentale.

    Può accadere che un’opera non riesca a raggiungere il goal perché al potenziale sostenitore non passa il giusto messaggio. Quindi in un eventuale insuccesso va analizzato anche questo punto per poterne trarre insegnamento per le esperienze successive.

    Mi è capitato di incontrare persone frenate anche da questo aspetto: io sono un aspirante scrittore, non un esperto di comunicazione.

    In effetti sono concorde del dire che sarebbe bello se ognuno potesse fare il proprio lavoro concentrandosi su di esso per poterlo fare al meglio. Purtroppo in questo periodo storico, a meno di essere pubblicati da una major, è inevitabile che ci si faccia promozione da sé.

    Quindi il mio consiglio è di tenere separati i due concetti, ma di non tralascurarli.

    6. Il raggiungimento del goal non è il punto di arrivo, ma il punto di partenza

    Se, invece, la vostra campagna va a segno, sappiate che non siete arrivati, ma che siete appena partiti.

    Il mercato editoriale è talmente complesso e intricato che toccherà ricominciare a lavorare pressoché subito, a meno di accontentarsi di una pubblicazione che non acquisterà nessuno.

    E sarà ancora più arduo perché, se è probabile che in campagna abbiate spremuto le vostre cerchie più vicine e sensibili, ora sarà necessario ampliarle e crearne di nuove.

    Quindi, forza, smettete subito di leggere e tornate al lavoro.

    7. Il crowdfunding editoriale non è editoria a pagamento

    Questo è un punto molto delicato ed è per questo che l’ho lasciato per ultimo. A dire il vero richiederebbe un post a sé e magari, prima o poi, lo scriverò.

    La distinzione fondamentale, a mio parere, tra il crowdfunding editoriale e l’eap è che mentre il primo richiede di necessità una duplice selezione (prima da parte della piattaforma, quindi da parte del potenziale pubblico), invece nel secondo caso il fatto di pagare di tasca nostra – poco o tanto che sia – sostituisce la selezione.

    Qualcuno, con un’opinione diversa della mia, mi ha detto che l’unica differenza con l’eap è che mentre nell’eap è l’autore stesso a tirare fuori i soldi, nel crowdfunding lo fanno per lui i suoi sostenitori.

    Non sono d’accordo sul fatto che sia l’unica differenza ma comunque, se anche fosse così, potrei comunque ribattere che è una differenza fondamentale perché essere in grado di convincere un certo numero di sostenitori a investire sul proprio progetto vuol dire aver già superato una selezione che, per certi versi, potrebbe corrispondere a uno studio di mercato.

    Voglio dire, se tot persone investono su di te è perché la tua opera o il tuo modo di raccontare quell’opera le ha convinte: per quanto si sia amici, è impossibile trovare tanti sostenitori se non credono in quello per cui pagano di tasca loro. È già difficile conquistare un like che non costa nulla, figuriamoci un sostegno concreto in termini economici.

    Quindi no, non è eap. Ma ne parleremo ancora.

    E voi, condividete questi punti? Ve ne vengono in mente altri?

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    6 Comments

      • Grazie mille a te, Alessandra! 🙂

    • Sai qual è il punto che mi colpisce di più? Quello che, senza veli, parla dell’inevitabile (anche se scorretta) corrispondenza tra fallimento della campagna e fallimento personale. La cosa che mi affascina del crowdfunding è che c’è una selezione: è il motivo per il quale non voglio scendere al self publish. Ho un blog, una buona scrittura, non sono io a dirlo, sono i lettori ma anche alcuni editori: il self publish viene (secondo me giustamente) associato a chi non sa scrivere ma vuole fare un libro. Non voglio andarci. Allora devo scegliere: royalties più alte, ma nel caos del self publish che non dà credito, oppure royalties molto inferiori, ma in un ambito nel quale l’avvenuta selezione si fa in qualche modo garante, dimostrazione di un valore, del fatto che “non tutti possono”. Però: se fallisci nel self publish nessuno lo saprà mai. Se fallisce una campagna l’insuccesso è sotto gli occhi di tutti.

      • Ciao Maddalena. Sono d’accordo con te, ma secondo me sta a chi decide di intraprendere una campagna saper scindere il possibile fallimento della campagna con quello personale.
        Anche perché una campagna di crowdfunding porta comunque un grande arricchimento personale che può servire per il futuro anche nel momento in cui si scelga il self-publishing o si arrivi alla casa editrice.

        • Mi sono letta tanti di quei post qui sul tuo blog che non ricordavo più a quali avevo lasciato un commento, e così ti ritrovo solo oggi, in questo commento. Ma se una campagna fallisce… a quel punto tu cosa faresti del tuo romanzo? Un self publish da proporre a quegli stessi lettori che hanno già sostenuto la campagna e avuto la loro copia (con bookabook se raggiungi i 50 pre-ordini quelli vengono evasi, e così proprio i fan più fedeli sono quelli che ti mancheranno a un secondo tentativo di lancio, perché hanno già il libro!)? O a quel restante ampio pubblico che già non hai raggiunto col crowdfunding? Insomma uno a quel punto cosa fa? Grazie per i tuoi mille e preziosi spunti.

          • Grazie a te, cara, per il tuo apprezzamento.
            Beh, io credo che nel caso in cui una campagna non abbia l’esito sperato ci si debba chiedere prima di tutto perché non ha funzionato. Se. cioè, ci siano stati degli errori nella comunicazione o se sia l’opera in sé che non incontra il favore del pubblico e per quale motivo.
            Se fosse un problema di comunicazione, allora credo che bisognerebbe lavorare seriamente su di sé e sul proprio brand-autore e magari puntare al self publishing solo una volta costruito un pubblico,
            Se invece fosse un problema connesso anche all’opera, ci sarebbe da rivedere in maniera più ampia il proprio lavoro, magari ascoltando anche i consigli di chi ha avuto la sua copia.
            Insomma, si dice che nel marketing il segreto del successo è trasformare i propri punti deboli in punti di forza. Potrebbe valere anche per una campagna di crowdfunding.
            Ps. Mi hai dato una bella idea per un post. Grazie!

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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