Dubbio n. 15: scrivere al presente o al passato?

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    Una delle prime decisioni che ci troviamo a dover prendere quando iniziamo la stesura di un romanzo è il tempo da utilizzare.

    Per me è sempre stata una decisione piuttosto istintiva, ma l’istinto non è l’unico elemento di cui tenere conto,  tant’è vero che nel romanzo che sto editando ho dovuto apportare numerose modifiche proprio in relazione ai tempi dei verbi. E non solo per questioni di grammatica.

    Sarei tentata di suggerire che se si parla di un fatto che si è svolto nel passato, si debba usare il passato, se invece si è svolto nel presente, si usi il presente. Elementare? No, per nulla, perché possono entrare in gioco numerosi altri elementi, per esempio come si vuole costruire la narrazione, che persona e/o che punto di vista si utilizzano e quale rapporto temporale ha ogni sequenza del racconto con le altre. Inoltre si potrebbe raccontare al presente un fatto che si è svolto cinquant’anni fa oppure usare il passato per un fatto che si immagina essersi verificato nel futuro. Perché? Perché la prospettiva è soggettiva e la voce narrante non è detto che coincida con quella di chi sta scrivendo.

    Come regolarci, dunque? L’italiano è dotato di diverse forme verbali per il passato, mentre, per il presente, nell’unica forma esistente (appunto il presente) può avere maggior rilevanza il valore aspettuale rispetto al mero dato temporale.

     dalla grammatica. [su_spacer]

    Il punto di vista grammaticale

    Senza tentare di rubare il lavoro a Salvatore (cosa impossibile visto che è molto più esperto di me in materia), vorrei fare alcune osservazioni dal punto di vista grammaticale.

    I tempi semplici all’indicativo (modo della realtà) sono quattro:

    • presente (per il presente)
    • imperfettopassato remoto (per il passato)
    • futuro (per il futuro)

    Come dicevo, il presente può avere una forte connotazione aspettuale a discapito di quella temporale. Questo viene in presenza di:

    1. azioni abituali o ripetute (es. Vuoi una birra? Grazie, non bevo alcolici)
    2. presente acronico, tipico dei proverbi (es. Chi non risica, non rosica)
    3. presente in luogo del futuro (es. Domani andiamo a mangiare la pizza)
    4. presente storico (es. Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785)

    La differenza tra l’imperfetto e il passato remoto riguarda l’aspetto del verbo, in quanto l’imperfetto (come dice la parola latina imperfectum significa non compiuto) indica un’azione passata ma di cui non le coordinate non sono chiaramente espresse (inizio, fine, etc. etc.). Del resto si parla anche di aspetto imperfettivo proprio quando si analizza una frase in via di svolgimento in contrapposizione con l’aspetto perfettivo che indica, invece, un’azione conclusa o un aspetto durativo nel senso di un’azione che dura nel tempo perché ripetitiva o abituale.

    Esempi:

    • Ieri mangiai la carne -> aspetto perfettivo
    • Ieri mangiavo la carne quando è suonato il telefono -> aspetto imperfettivo
    • Io non mangio carne -> aspetto durativo

    I tempi composti all’indicativo sono:

    • passato prossimo
    • trapassato prossimo
    • trapassato remoto
    • futuro anteriore

    Anche in questo caso la distinzione tra i verbi che indicano un tempo passato non è così semplice da definire. Dice Serianni:

    Qual è la differenza tra passato remoto, imperfetto e passato prossimo? Possiamo illustrarla ricorrendo a queste tre frasi: 1) da giovane leggevo molto; 2) da giovane lessi molto; 3) da giovane ho letto molto. Come si vede, il processo descrittivo è lo stesso, cambia la prospettiva del parlante, l’atteggiamento col quale viene percepito. La frase 1) sottolinea l’abitualità dell’azione (…); la 2) inserisce l’azione entro coordinate temporali nette (…), la 3) rivive il processo nei suoi riflessi successivi (…).

    Luca Serianni, Grammatica Italiana, UTET, 1989, p. 471

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    Quindi, anche in questo caso dobbiamo tenere presente con maggior attenzione l’aspetto del verbo che non la lontananza nel tempo di ciò che si è verificato tanto più che, dice ancora Serianni:

    (…) la distanza temporale rispetto al momento dell’enunciato non costituisce mai un discrimine rigido nella scelta dei due tempi, nonostante i tentativi di molti grammatici di stabilire norme rigide in questo senso.

    Luca Serianni, Grammatica Italiana, UTET, 1989, p. 472

    [su_spacer]

    Per quanto riguarda il trapassato prossimo e il trapassato remoto (quest’ultimo ormai desueto), si tratta di tempi che indicano un’anteriorità rispetto a un tempo storico (passato remoto, imperfetto, passato prossimo, presente storico).

    Il futuro indica un’azione che si svolgerà nel futuro, mentre il futuro anteriore esprime un’anteriorità rispetto a un tempo futuro.

    Esempio:

    • futuro semplice -> es. Domani giocherai.
    • futuro anteriore / futuro semplice -> es. Quando avrai fatto i compiti, giocherai.

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    Il punto di vista stilistico

    Ora che ho più chiare le regole grammaticali fondamentali, diventa interessante capire come trasformarle in una cifra stilistica adeguata alla propria opera.

    Utilizzare il presente per me è più difficile. Individuo almeno due vantaggi in questa scelta:

    • l’azione si delinea come in corso di svolgimento, con la conseguenza che ci si dovrebbe immedesimare maggiormente nella narrazione;
    • la rapidità dell’azione aumenta e si dovrebbe ottenere l’effetto dell’incalzare degli eventi, particolarmente adatto in determinati generi.

    Uso il condizionale perché non è per nulla scontato che la scelta dell’uso del presente sia funzionale alla riuscita di questi effetti. Io non so se sarei in grado di ottenerli. Il rischio è di ottenere l’esatto contrario, cioè che la narrazione appaia più distante da chi legge o più lenta. Inoltre l’effetto incalzante potrebbe suscitare troppa ansia e infastidire il lettore anziché generare la giusta tensione. A meno che non si voglia intenzionalmente infastidire il lettore, ma ciò deve essere limitato ad una situazione specifica, altrimenti il rischio è che il lettore abbandoni il libro. Insomma, le insidie sono molte e subdole.

    Per quanto riguarda, invece, la scelta del passato, si utilizza il  passato remoto. E’ il tempo delle favole quindi quello con cui abbiamo più familiarità fin dalla nostra infanzia. Ed è il tempo dell’epica. In pratica con il passato remoto ci siamo cresciuti, per questo, forse, è quello che ci è più naturale quando ci accingiamo a scrivere qualcosa. Inoltre ha un suono rassicurante di storia conclusa, anche se come e perché è ancora tutto da scoprire.

    Ma, come abbiamo visto, il passato è il tempo che ha più varianti, sebbene esse siano relegate grammaticalmente ad aspetti specifici.

    Non credo di avere mai letto opere scritte al passato o trapassato prossimo e non so nemmeno se esistano. Sarebbe possibile farlo o risulterebbe pesante? Sinceramente non lo so, sarebbe interessante valutare questa variante, assieme a quella di un libro scritto interamente al futuro.[su_spacer]

    E voi, come vi ponete davanti alla scelta dei tempi dei verbi? Scrivete al presente o al passato? Rispettate la grammatica o la piegate alla vostra utilità?

    ****************************

    Bibliografia: Luca Serianni, Grammatica Italiana, UTET, 1989

     

     

     

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    35 Comments

    • In realtà qualunque azione narrata si è svolta nel passato, intendo passato nel mondo narrativo (stavo per scrivere un lungo pippone su futuro e passato nel futuro ma mi sono fermato in tempo, mi stavo confondendo da solo 😀 ) quindi la scelta del tempo della narrazione è puramente fittizio, finzione narrativa.
      Ultimamente trovo l’uso del presente, soprattutto della prima persona presente, un po’ abusato, in particolare proprio dagli autori emergenti, come se suonasse moderno, alla moda, e quando qualcosa suona moderno per essere più moderni tocca tornare al passato (e alla fine mi sono comunque incastrato nei doppi significati 😀 ).
      I rischi che tu citi col presente sono verissimi, mi è capitato spesso di provare ansia nel leggere un testo al presente, sembra un tempo facile da usare, ma non è così.
      La scelta tra passato remoto e passato prossimo (sì, ne ho letti testi al passato prossimo) è un po’ più soggettiva e stilistica, il passato prossimo si adatta più a un linguaggio famigliare (però forse nel mio giudizio sono inquinato dalle mie origini piemontesi), il passato remoto resta comunque il tempo classico della narrazione, col passato remoto si va sul sicuro.
      Ma perchè tutti escludete il futuro? Lo so, è un po’ una provocazione, perchè reggere una narrazione lunga al futuro è dura dura 😉

      P.S. perchè dici che il trapassato remoto è desueto? mi salta la conscutio temporum: “dopo che fu fatto prigioniero fu trasportato…”

      • Parto dal fondo. Il Serianni sostiene che il trapassato remoto è ormai raro e addirittura disusato nell’ausiliare essere (fui stato) e nel passivo. Generalmente si preferisce il trapassato prossimo anche se l’unico caso in cui rimane è proprio nelle proposizioni temporali che citi tu.

        Anch’io trovo che il presente è un po’ una moda. Del resto, passato o presente, ciò che conta è la capacità dell’autore di sfruttare al meglio le caratteristiche del tempo verbale scelto.

        Anche a me incuriosirebbe il futuro. Certo però sarebbe più adatto un racconto che non un intero romanzo. Ci sarebbe da provarci seriamente. 🙂

        • Non mi metto certo a discutere con un linguista 😀 sarà che a me hanno insegnato ad usarlo e che io l’ho sempre usato e quindi mi viene naturale.
          Un esperimento col futuro è da fare 😉

    • Come ho scritto forse anche in altri commenti, il romanzo che sto scrivendo si svolge su due time-line parallele. Dal momento che i personaggi sono sostanzialmente gli stessi, l’unico modo per creare una cesura fra l’una e l’altra era variare il tempo verbale. Quindi, quella al passato è scritta con il passato remoto, quella ai giorni nostri usa il presente.
      Non ho il coraggio di Roberto Costantini, che ne “Il male non dimentica” ha usato il presente per gli anni 60 con punto di vista interno e il passato per il 2011 con punto di vista esterno.
      L’unica “eccezione” alla grammatica, riguarda alcuni dialoghi. La vicenda è ambientata al Nord Italia, quindi se un personaggio racconta qualcosa che è successo anche anni prima usa il passato prossimo, qui da noi si parla così. Forse andrebbe quello remoto, ma ci ho provato e suona piuttosto innaturale, quindi, se possibile (in alcuni casi troppi “passati prossimi” nella stessa frase creano ridondanza) lo evito…

      • S,ì il passato remoto non è utilizzato nel parlato comune nemmeno da noi. Quando ero bambina l’unica persona che conoscessi che parlava al passato remoto era mio nonno di origine sicula e mi affascinava un sacco.
        Interessante l’alternanza di tempi che hai scelto per il tuo romanzo. Sono certa che sia proficua anche per ottenere dinamismo e varietà. Sai che questo tuo lavoro mi incuriosisce sempre di più? 🙂

        • Ne sono felice, e ti ringrazio! 🙂
          Spero che ti incuriosisca ancora di “piùissimo” dopo aver letto il post che ho pubblicato ieri, visto che a grandi linee ne ho parlato.

          • Questa settimana sono rimasta indietro con le letture. Ma cerco di mettermi in pari e corro a leggerti. 🙂

    • Ho scritto gli ultimi romanzi al presente, mi pareva una scelta molto attuale e fresca, e poi mi sono incartata più volte. Tutto sommato il passato è la soluzione più elegante stilisticamente. Apro a caso il libro che sto leggendo: “l’infermiera ci accompagnò nella stanza”, ok, come sarebbe al presente “l’infermiera ci accompagna nella stanza”, non cambia tantissimo ma nel complesso meglio il passato.

      • Beh, non per farti sempre i complimenti che poi divento noiosa, ma nelle Affinità affettive l’uso del presente è davvero ben gestito. La sensazione di ansia di cui accenno nel post non mi ha mai colta. Anzi, ci si sente accompagnati lungo la storia come se si guardasse un film. Per cui, al di là di tutto, ogni scelta va bene, se ben sfruttata. 🙂

        • Leggo solo ora, grazie. Tu abbonda pure coi complimenti 😀

      • In realtà cambia la sensazione che il lettore ha della voce narrante. Il passato da più sicurezza, il narratore, seduto in poltrona, davanti al caminetto, ti sta raccontando fatti avvenuti da tempo. Il presente ti butta nell’azione senza retasei lì e non sai cosa ti possa accadere dopo. Il presente, è vero, è molto più difficile da gestire. L’impressione che ho avuto, leggendo manoscritti, è che lo si usi spesso più per moda, senza rendersi conto che poi ci si incastra.

        • Proprio così, Grilloz, l’ho imparato a mie spese!

          • Sono proprio qulle le lezioni migliori 😉

    • nadia

      Due cose tanto per cominciare sei una bravissima secchiona, hai precisato una lezione accurata e sicura di chiarirti i dubbi? Ma sai perché te lo dico.
      Io penso che il passato sia il modo migliore di raccontare, dopotutto c’era una volta non sbaglia mai. Però altrettanto mi piace moltissimo quando il presente ti lascia fiondare nel libro permettendoti di sostituirti al protagonista. E’ come se l’autore lasciasse la porta aperta al lettore regalandogli il posto in prima fila.
      Secondo me i tempi si sposano bene alla fine tutti, nei vari periodi del libro, a seconda di dove e come devono incastrarsi, anche se mi torna in mente un giornalista che appuntava difetti di un collega per errori temporali a lui palesi. Quelli stridono, o quelli emergono se non ben definiti, l’unica cosa da non fare è creare confusione nel lettore.
      Sono certa che comunque passato presente e futuro possano convivere per dare storia realtà e dinamismo alla storia e non vedo l’ora di leggere la tua.

      • Penso anch’io che la cosa migliore sia il non creare confusione nel lettore. Forse dovrebbe essere l’obbiettivo principale, prima ancora di pensare all’effetto stilistico.
        Per ora la mia storia è abbastanza confusa, ma prima o poi ce la faremo. 😛

    • L’uso della prima persona e del tempo presente è maggiormente coinvolgente, è come se l’autore ti calasse in testa un caschetto da realtà virtuale e ti facesse piombare dritto dentro la storia. E’ semplice portarlo avanti per una scena o due, diventa complesso gestirlo per un romanzo intero. E’ la modalità preferita dai chick-lit (Sophie Kinsella in tutta la serie I love shopping), dagli erotici moderni, ma non da tutti i romanzi rosa (gli storici sono sempre al passato, comunque). In effetti non credo di averne letti molti.
      Del resto è anche vero che ho avuto un’immersione totale anche con libri in terza persona al passato, quindi più che persona e tempo, è sempre il sapiente uso delle parole a decidere se fila tutto liscio oppure no. Mi capita di iniziare un pezzo, passa del tempo, e mi accorgo che avevo scritto in prima, ma non in terza come oramai lo avevo cominciato. Per togliermi il dubbio, tempo fa chiesi via facebook ai miei contatti: leggete meglio in prima o in terza? (e già escludevo il tema temporale) Si divisero equamente in 50 e 50. Ma poi qualcuno scrisse pure “è indifferente”.
      Non sanno nemmeno loro cosa vogliono, ecco 😛

      • Anch’io ti avrei risposto “è indifferente”, purché il libro mi appassioni. 😛

      • Ti rispondo io da lettore: vogliamo libri belli, poi i trucchi del mestiere stanno a voi scrittori 😉
        Del resto quando tu sali su un aereo vuoi che i sedili siano comodi che nella cappelliera ci sia abbastanza spazio, che i finestrini siano ampi, mica vai a controllare tutto il lavoro che ho fatto io è che sta nascosto dietro (oddio, mi viene in mente solo il termine tecnico, diciamo così) la “tappezzeria” 😛

        Comunque dei romanzi che ho valutato più della metà erano in prima persona presente, solo che non tutti la sanno gestire bene.

        • Ed un romanzo in prima persona presente non ti dà l’idea del primo testo troppo autobiografico dell’autore? mumble mumble
          (che io salga su un aereo non c’è pericolo…tutte le volte che penso di poterlo fare, arriva una notizia di disastro in tv…gli amici mi hanno detto di smetterla… :/ )

          • Secondo me la terza persona aiuta a staccarsi da sé stessi. Infatti, dopo aver scritto due romanzi in prima persona, in quello che sto scrivendo adesso ho scelto la terza anche per questo.
            Tralasciando il primo che era proprio un disastro, devo dire che il secondo non era autobiografico però io ero molto presente con il mio vissuto. Quello che sto scrivendo ora non ha proprio nulla a che vedere con me. Forse per questo ho scelto la terza persona?

            • Grilloz

              Un esercizio che ho letto invitava a raccontare un episodio personale in prima persona, poi convertirlo in terza e poi riconvertirlo in prima e confrontare la prima e l’ultima versione. L’autore sosteneva che il passaggio in terza aiutasse a distaccarsi, non ho mai provato però.

              • Interessante. Lo terrò in considerazione. 🙂

          • Oddio, uno era un distopico young adult, spero non fosse autobiografico 😀

    • Il libro già scritto ha un’introduzione al presente, che mostra l’intento espresso dalla protagonista reale che anticipa l’ingresso nella storia che poi racconterò davvero e che è ambientata nel mondo virtuale. Qui, uso il passato remoto. In genere è questo il tempo dei miei racconti: terza persona abbinata al passato remoto. Però, ultimamente sto sperimentando la prima persona e l’uso del presente: ho scritto un racconto che sta partecipando a un concorso con questo tempo verbale, ma mi sono impappinata più volte, così ho provato a cambiarlo per risolvere alla spiccia il problema. Alla fine è rimasto il presente: un esperimento che mi ha consentito di portare il lettore direttamente dentro la storia, senza provare prima a conquistarlo alla larga.
      In genere, invece, come lettrice non faccio differenza: non guardo ai tempi verbali, ma all’impatto efficace che ha la storia su di me.

      • Anch’io come lettrice non mi pongo il problema. Anzi, proprio mentre scrivevo questo post sono andata a controllare perché, di alcuni romanzi che avevo in mente, non ricordavo quale tempo fosse stato utilizzato. Questo per dire che se sono scritti bene, ci si immedesima a prescindere.

    • Articolo tremendamente interessante e che ha colpito in pieno un aspetto che sovente mi mette in crisi, non tanto a livello grammaticale ma a livello “estetico”. Difatti, quando devo scegliere tra narrare al passato o narrare al presente, mi affido esclusivamente all’estetica della frase, al suono che sento mentre rileggo quello che ho scritto. Saranno i rimasugli di anni di studio di musica…bah.

      • Hai messo assieme due concetti molto interessanti: l’estetica, cioè l’aspetto visivo, e il suono, che sono i sensi che principalmente vengono interessati dalla narrazione, sia essa in forma di racconto, di filmato o di musica. Sono quelli che creano le emozioni di una narrazione. Per cui ti dico che hai pienamente ragione. Forse dovremmo ragionarci meno sopra e ascoltare di più, la risposta potrebbe essere tutta lì. 🙂

    • iara R.M.

      Io credo che dovremmo imparare a gestire il vantaggio di avere a disposizione tante forme verbali per narrare le nostre storie. Sicuramente, non è semplice, ma riuscire a farlo ho idea che dia una marcia in più. Io mi sto cimentando per la prima volta nella scrittura di una storia e sto proprio ragionando sulle forme verbali da utilizzare; mi occorrono almeno due linee temporali: una, per il passato e un’altra, per il presente. Oltre questo, ho il problema del punto di vista; temo mi occorra la prospettiva di due personaggi. Ma si può fare? Si possono avere due punti di vista contemporaneamente? (Magari con questa domanda sono un po’ fuori tema…) ^_^

      • Io sto sperimentando il cambio di punto di vista scrivendo sempre in terza persona ma modificando stile e linguaggio. Mi spiego meglio: capitolo 1 punto di vista del primo personaggio, scrivo con un certo stile e un certo linguaggio, capitolo 2 punto di vista del secondo personaggio altro stile e altro linguaggio, e così via. Mi piacerebbe addirittura riscrivere la stessa scena più volte con questo schema, offrendo al lettore nuovi elementi per completare il quadro.

        • iara R.M.

          Un esercizio e un suggerimento interessante. Grazie! ^_^

      • In che senso contemporaneamente? Ho letto diversi romanzi con punti di vista diversi, anche in prima persona (ma ad esempio chi manda le onde di Genovesi non solo usa tre punti di vista ma anche tre persone diverse, prima, seconda e terza) in genere però c’è un pezzo raccontato da un punto di vista e un pezzo raccontato da un’altro.

        • iara R.M.

          Con contemporaneamente, intendo nello stesso romanzo. Sto ancora valutando, ma per il momento sto provando a usare il tempo presente in prima persona, che corrisponde alla voce del protagonista; Una voce narrante esterna, per il passato. Ma ho bisogno di un ulteriore punto di vista per il coprotagonista della storia nel presente e ancora non so come fare.

          • Ah ok, beh, hai una valanga di possibilità. La più ovvia è usare la prima presente anche per l’altra voce narrante, distinguendo le due con lo stile. PErò puoi anche valutare altre soluzioni.

            • iara R.M.

              Sono molto inesperta… non sono sicura di riuscire a distinguere le due voci con lo stile. Mi tocca sperimentare e scrivere, riscrivere e riscrivere ancora.

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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