L’altra parte del quartiere

Indice dei Contenuti

    Quando ero bambina nel condominio di fronte al mio stava una famiglia di meridionali. Abitavano in un appartamento ricavato in un ex magazzino, dove prima c’era un fornaio.

    Ogni giorno un numero indefinito di bambini scorrazzava sulla grande terrazza spoglia, colorata dai panni stesi ai fili di ferro arrugginiti. Non sapevo dire in quanti abitassero lì. Ogni volta vedevo un bambino nuovo: forse un cuginetto, forse il figlio di qualche amico.

    Mi stupivano le loro urla in un dialetto sconosciuto e i litigi serali dei genitori, la loro povertà esibita, la sporcizia dei loro abiti. A volte scorrazzavano in mutande. Arrossivo per loro.

    Nel quartiere li chiamavano i napuli. Di cognome facevano Rizzo o, forse, Russo. Non sapevo di dove fossero originari, per me a sud di Roma era tutto uno stesso pianeta.

    Un giorno non li ho visti più. L’appartamento rimase vuoto per un po’, poi tornò ad essere un magazzino. La terrazza si vuotò dei colori e delle grida, sostituite dal ronzio di un condizionatore. Sembrò essersi spenta la vita in quell’angolo del mio mondo di bambina.

    Quando stavo per terminare il Liceo, un pomeriggio un’amica mi fece una strana proposta. A quei tempi passavamo il sabato pomeriggio all’oratorio con la scusa del catechismo: due tiri al calcio balilla, uno sguardo rubato ai ragazzi più grandi, un bacio nascosto dalle colonne del chiostro antistante la chiesa.

    La mia amica mi raccontò che era arrivata in città una famiglia di somali. Il padre, Mohamed, stava in Italia già da alcuni anni. Faceva il cuoco in una comunità e mandava i soldi per vivere alla famiglia rimasta in Somalia. Ma lo scoppio della guerra civile lo aveva indotto a portare la sua famiglia nella nostra città.

    Stavano in un garage: marito, moglie, cinque figli tra i tre e i dieci anni. Le due figlie maggiori parlavano bene l’inglese e il francese, riuscivano a spiegarsi in italiano. I tre piccoli parlavano un poco l’italiano, la moglie si faceva tradurre dai figli.

    Io e la mia amica decidemmo di rinunciare ai sabati all’oratorio per andare dai bambini somali. Sembrava un gioco più divertente.

    Entravamo un po’ curve in quel garage stretto che sapeva di spezie e di tè assam. Faceva molto caldo d’estate e molto freddo d’inverno. Loro erano vestiti sempre allo stesso modo. Io mi vergognavo dei miei maglioni. Sentivo l’odore della pigmentazione della loro pelle e sapevo che per loro ero io a puzzare.

    I bambini somali tiravano fuori con orgoglio i loro compiti italiani e noi correggevamo, ascoltavamo, ridevamo con loro. Allora non esistevano insegnanti di sostegno.

    Un giorno ottennero dal Comune un alloggio in una casa popolare. Divennero grandi. Andarono a scuola né più né meno che i miei figli oggi. Si diplomarono e laurearono. Li persi di vista, come i Rizzo o i Russo.

    Ma quando accade che un uomo muore a causa della propria origine o per il colore della propria pelle, ucciso dalle nostre parole ancor prima che dalle nostre azioni, non posso fare a meno di pensare a loro. Ai Mohamed della mia vita e ai suoi bambini somali. Ai napuli della casa davanti. Alla mia ipocrisia di bambina e al razzismo che è insito in ognuno di noi verso chi è diverso e che, per questo, ci spaventa.

    E so che la mia fortuna non è definita solo dal luogo geografico in cui sono nata, ma dall’essere cresciuta dall’altra parte dello stesso quartiere.

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    8 Comments

    • nadia

      Il tuo pensiero finale è corretto. Siamo tutti stranieri, chi più chi meno, anche nello stesso quartiere. Il concetto è chiaro.
      Straniero è chi mangia ad orari assurdi, conduce ritmi di vita diversi ed indossa abiti strani. Mi sento straniera quando arrivo nel mio paesello in montagna dopo aver vissuto in città solo per il fatto di indossare scarpe basse a rischio di vipera. Ecco il concetto è mentale, è fisico se non ti amalgami al posto in cui sei, se non la pensi e vivi come gli altri hanno deciso si debba fare. Elasticità, tolleranza ed equilibrio sono le cure, ma dubito spesso ci sia l’intenzione di assumerle.

      • Io credo che il centro di tutto sia proprio la paura della diversità. Non facciamo altro che dividerci in squadre: bianchi contro neri, donne contro uomini, etero contro gay, animalisti contro carnivori etc. etc. E non contenti, suddividiamo ancora, perché poi all’interno della stessa categoria troviamo altre diversità che ci spaventano.
        Io, da una parte, capisco che non sia sempre facile guardare al di là del muro e capire le ragioni di chi ha radici, idee, storie diversa dalla nostra. Ma penso che ci si sentirebbe più liberi tutti se riuscissimo a toglierci certi blocchi mentali che feriscono prima di tutto noi stessi.
        Mi piacerebbe davvero che non si dovesse parlare di tolleranza, ma di accoglienza. Sarebbe un passo fondamentale nella storia dell’umanità.

    • Io sono straniera a casa mia. In condominio, siccome sono l’ultima arrivata in un sistema di poteri consolidato da quarant’anni, la mia parola, che dovrebbe valere quanto i miei millesimi, non è considerata. L’amministratore non è obbligatorio. Già in tre occasioni avrei dovuto rivolgermi ad un avvocato e avrei vinto facilmente. Poi per il “quieto vivere” si è sempre lasciato perdere. Quello che lascia di sasso è che i soprusi sono perpetrati da coloro che sono in primo banco in chiesa ogni santa domenica, ogni rosario, ogni ritiro spirituale, ogni pellegrinaggio. Ama il prossimo tuo come te stesso, purché non sia il vicino di casa.
      Quindi, non mi stupisco più di nulla in quanto a cattiveria delle persone.
      Se non si riesce in queste piccole cose, figurati tutto il resto…

      • Probabilmente c’è cattiveria, sì. Però io credo che nella maggior parte dei casi la cattiveria nasca dalla paura, dalla non-conoscenza. E dalla pigrizia di cambiare opinione. Sai, qui da me, nel profondo nord, si tende sempre a dire che ciò che facevano i nostri vecchi era giusto. Con questa mentalità ci si illude di fermare il mondo, di rimanere in ciò che è conosciuto. Invece bisognerebbe provare a distinguere: accogliere ciò che di buono esiste nelle tradizioni, nelle proprie radici, ma anche accettare la visione altrui e farla diventare una ricchezza. Tu, rispetto a quello che chiami sistema di potere consolidato da quarant’anni, costituisci un elemento nuovo, quindi “pericoloso” perché potrebbe incrinare abitudini, consuetudini che simboleggiano la sicurezza per chi le ha perpetrate. Diventa cattiveria nei tuoi confronti e ottusità da parte di chi non sa cogliere le novità e il buono che esso portano. Alla lunga non è diverso da chi rifiuta l’accoglienza ai migranti fossilizzandosi sulle proprie paura senza vederne le opportunità che ne possono derivare. Il nostro vecchio continente rischia di invecchiare sempre di più e di fare invecchiare le proprie idee. E come è noto, prima o poi, chi è vecchio, muore.

    • Marco Amato

      Silvia la mia più profonda stima.

      • Silvia

        Grazie, Marco. Ti assicuro che è reciproca. 😉

    • Io sono straniero in terra straniera, anche se mi considero europeo e mi sento a casa non tutti la pensano così. Sono cresciuto come mezzo napuli, ma a Torino siamo la maggioranza, e dall’altra parte del corso di fronte a casa mia c’era il Bronx, ora casa mia è al di la del Bronx, ma anche il Bronx è cambiato negli anni.

    • Niente di più bello di sapersi sentire cittadino del mondo, senza per questo perdere le proprie radici. Pensa che io sono discendente di migranti. Mio nonno venne a Biella ai primi del secolo scorso dalla Sicilia come membro esterno alla maturità in quanto professore di chimica, sposò una biellese e non se ne andò più. L’altro nonno, originario di Novara, tornò in patria da bambino, alle soglie della prima guerra mondiale, dopo che i suoi genitori erano stati migranti economici (oggi diremmo così) in Svizzera. Furono entrambi stranieri in patria, ma Biella divenne presto la loro casa.
      Io amo la mia terra, quella dove sono nata e cresciuta, con tutti i pregi e i difetti che le riconosco. Nonostante questo, amo le mie radici lontane sebbene non abbia mai avuto occasione di conoscerle a fondo.
      Se solo conoscessimo meglio la natura, sapremmo che le radici sostengono un albero e gli permettono di sopravvivere, ma non gli impediscono di gettare semi per il mondo e di propagare qua e là la propria vita.

    Lascia il tuo commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Potrebbero interessarti:

    Silvia Algerino

    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

    Post Recenti

    • All Post
    • Blog
    • Risorse per crowdfunder
    • Risorse per lettori
    • Risorse per scrittori
      •   Back
      • Sei personaggi in cerca di...
      • Seo
      • Blogging
      • Dubbi d'autore
      • Copywriting & Co.
      • Marketing editoriale
      • Le mie parole
      •   Back
      • Indie&co
      • Calendario dell'avvento
      • Guest post
      • Idee
      • Interviste d'autunno
      • Libri
      • Poesia
      • Racconti
      •   Back
      • Crowdfunding editoriale

    Come se fossimo già madri

    Silvia Algerino

    Restiamo in contatto?

    * indicates required

    Per favore, scegli i contenuti che ti interessano:

    Puoi cambiare idea in qualsiasi momento: il tasto per l'annullamento dell'iscrizione è piè di pagina di ogni email che ricevi da me. Oppure scrivimi a privacy@silviaalgerino.com. Per altre informazioni visita il mio sito web. Cliccando qui sotto, mi autorizzi a gestire i tuoi dati nel rispetto della legge. Grazie di cuore.

    Utilizziamo Mailchimp come piattaforma di marketing. Cliccando qui sotto per iscriverti, accetti che le tue informazioni verranno trasferite a Mailchimp per l'elaborazione. Scopri di più su come Mailchimp gestisce la tua privacy.

    Intuit Mailchimp

    Restiamo in contatto

    Iscriviti alla newsletter (e niente spam).

    Yeah! Ora sei dei nostri. Ops! Qualcosa non va. Mi spiace! :(
    Edit Template

    Articoli recenti

    • All Post
    • Blog
    • Risorse per crowdfunder
    • Risorse per lettori
    • Risorse per scrittori
      •   Back
      • Sei personaggi in cerca di...
      • Seo
      • Blogging
      • Dubbi d'autore
      • Copywriting & Co.
      • Marketing editoriale
      • Le mie parole
      •   Back
      • Indie&co
      • Calendario dell'avvento
      • Guest post
      • Idee
      • Interviste d'autunno
      • Libri
      • Poesia
      • Racconti
      •   Back
      • Crowdfunding editoriale

    Contatti

    Silvia Algerino

    silvia@silviaalgerino.com

    P. IVA IT 02613430020

    © 2014 Created by Silvia Algerino – 2023 Updated by Silvia Algerino