Joshua: la mia intevista a Massimiliano Riccardi

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    Ho letto Joshua durante l’estate.

    Ne ero venuta a conoscenza tramite la bella intervista di Chiara sul suo Appunti a margine: un confronto sullo stile delle Iene tra Massimiliano e Sandra Faè. Allora non conoscevo ancora Massimiliano, se non per esserci casualmente incrociati a commentare sul blog di amici. Sandra, invece, la conoscevo già, avevo finito da poco di leggere diversi sui libri.

    Così decisi di acquistare anche il romanzo di Massimiliano, sebbene in quel periodo della mia vita non fossi particolarmente attratta dai thriller.

    E, invece, Joshua mi conquistò…

    la mia intervista a massimiliano riccardi

     

    Ciao Massimiliano e benvenuto sul mio blog.

    Ho acquistato il tuo romanzo quest’estate e l’ho letto aspettandomi una lettura leggera. Invece sono stata piacevolmente trascinata in un thriller di tutto rispetto, secondo le classiche regole del genere. Come è nato questo romanzo e come hai lavorato per ottenere questi risultati?

    Grazie Silvia, sono molto felice di essere qui.
    Parto subito in quarta rispondendo alle domande. Speriamo bene.
    Il romanzo è nato qualche anno fa, subito dopo aver raccolto le confidenze di una persona a me cara, carissima. Inizialmente tutto è partito sulla base dell’improvvisazione, ho scritto di getto, senza pianificare nulla. Ho infine deciso di fare mia una massima di Zavattini: “il tentativo non è quello di inventare una storia che somiglia alla realtà, ma di raccontare la realtà come se fosse una storia”.

    Anche l’ambientazione nella provincia americana è in linea con il genere e nel tuo caso ha dato ottimi frutti. Come hai aggirato le difficoltà che un’ambientazione di questo tipo potrebbe provocare?

    Aaah, qui tocchi un tasto dolente. La storia che avevo in mente era ambientata nella mia città, poi, per ovvi motivi ho sentito la necessità di decontestualizzare il tutto. Troppo dura la realtà e troppi riferimenti a fatti realmente accaduti.
    Il grosso rischio era quello di apparire ridicolo nel tentativo di scimmiottare la letteratura di genere americana, mi sono fatto coraggio e ho puntato non tanto sulle mie capacità risibili e opinabili, ma sulla capacità dei lettori nel distinguere tra una parodia e una cosa seria. Mi sono immedesimato, ho lavorato parecchio su questo punto. Mi sono occupato di aspetti marginali, non attinenti alla letteratura, volevo trovare riferimenti culturali legati alla quotidianità, quindi più che leggere di storie simili per trovare spunti, ho visitato siti di cucina, di oggettistica, di costume, paesaggistici, di informazione. Ho cercato con tutte le mie forze di ottenere la visione del comune cittadino che vive negli USA, ho dovuto anche rispolverare il mio inglese scolastico. Partendo da lontano sono riuscito a farmi l’idea dell’americano medio che non fosse quella che ci arriva dalla letteratura o dalla cinematografia. Volevo personaggi credibili. È stato bello ed emozionante. La ricerca per chi scrive è sempre gratificante, spesso più della stesura vera e propria.

    Hai fatto una scelta particolare: fin dall’inizio è chiaro chi sia il colpevole degli efferati omicidi. Tuttavia sei stato in grado di mantenere alta la tensione puntando l’attenzione non tanto, appunto, sul “chi sarà stato”, ma sul “chi sarà la prossima vittima”, prima, e sul “come farà lo sceriffo a catturarlo (se ce la farà)”, poi. Quali elementi ti hanno portato a fare questa scelta?

    Ho scelto volutamente di privilegiare la narrazione. Non volevo un romanzo di genere, mi interessava riportare quello che i personaggi avevano da dirmi, senza giudicarli e senza prese di posizione da parte mia. Alla fine i delitti, gli omicidi, sono solo lo spunto per parlare d’altro. Di ciò che tormenta e smuove lo spirito umano. Ho voluto parlare del bene e del male senza pregiudizi, senza distinzioni tra bianco e nero, ho tinteggiato con sfumature di grigio, ho provato a descrivere quel confine che porta a operare scelte in un senso o nell’altro: il malvagio assoluto, il cattivo vittima prima degli altri e poi a sua volta carnefice, il buono che comunque si sporca le mani. In effetti molti dei personaggi principali sono contraddittori, la loro umanità consiste in questo.

    Ho apprezzato particolarmente l’alternanza tra la narrazione ai giorni nostri (periodo in cui si svolgono gli omicidi) e la narrazione dell’infanzia e della giovinezza di Joshua. In ogni capitolo si scoperchia qualcosa di nascosto e solo alla fine del romanzo tutto sarà chiaro e si completerà il quadro come un puzzle. Se mi dirai che non hai pianificato nulla, ammetto che stenterò a crederti…

    Eppure è così, o quasi. Ogni volta Joshua, piuttosto che altri personaggi mi sussurravano all’orecchio ricordandomi che siamo tutti figli della nostra storia. Ecco come la necessità di fare piccoli passi indietro è diventata una sorta di modus operandi. È stato tutto incidentale, ho avuto dubbi sino alla fine sull’efficacia di questo stile.

    La provincia americana entra molto nel tuo romanzo. Una provincia capace di generare mostri, ma allo stesso tempo una provincia familiare dove il vicino di casa può essere un amico tanto quanto un assassino. In fondo il mondo è paese, non trovi?

    Su questo non ci sono dubbi. Ho lavorato per anni in pronto Soccorso, ho collaborato a un progetto carcerario, ho visto il male in tutte le sue forme, l’ho toccato con mano. Se poi ci vogliamo mettere le mie esperienze di vita, posso tranquillamente affermare che i mostri hanno una consistenza fisica e sono vivi e reali, cambiano solo per indirizzo fiscale e collocazione geografica.

    In questo thriller psicologico si concretizza una perversa consuetudine per cui chi è vittima si troverà a diventare carnefice e così via. Secondo te, come si può uscire da questo circolo vizioso?

    Anche qui tocchi un tasto dolente. La storia, le consuetudini, l’esperienza diretta, parlano di questo. Quello di cui sono sicuro è che siamo tutti dotati di libero arbitrio, quindi, fatto salve le implicazioni psichiatriche, credo ci sia sempre un margine di redenzione o di salvezza. L’amore, non come fatto ideale e astratto, ma come pratica quotidiana, può interrompere quel famoso circolo vizioso. È anche vero che la mia personalissima opinione di comune cittadino mi porta a desiderare l’allontanamento totale e definitivo di chi commette reati assimilabili alla prevaricazione sessuale. Ci sono cose imperdonabili. Non sono politicamente corretto, lo ammetto. Ne ho viste troppe, non solo al telegiornale come molti. Con certe persone ho parlato e le ho conosciute, come ho conosciuto molte vittime di abusi e ho constatato le conseguenze di ciò che hanno subito.

    Tra i tuoi personaggi, c’è anche l’eroe positivo. Ed è proprio l’anti-eroe: lo sceriffo Dumpsey. Ho letto una tua dichiarazione in base alla quale Dumpsey sarebbe tuo nonno, con cui, immagino, hai avuto un legame speciale. Se ti va, raccontaci di lui e del personaggio che ne è nato.

    Qui parte la lacrimuccia, naaa scherzo (!?). I miei nonni mi hanno cresciuto, mio nonno in particolare mi ha fatto da padre (è diventato nonno a 57 anni) Un uomo veramente tosto, un vero duro, combattente in due guerre e poi poliziotto. Colto e con una grande sensibilità. Mi ha cresciuto a pane e libri. L’ho amato, l’ho rispettato, lo eletto a termine di paragone e “misura di tutte le cose”, poi con la comparsa dell’adolescenza per forza di cose è diventato il mio antagonista principale, gli scontri e le liti, soprattutto in merito alla politica e alle mie “cattive compagnie”, sono ancora ricordate da chi le ha vissute come testimone. Dopo la sua morte ho lasciato da un giorno all’altro gli atteggiamenti e le compagnie border-line, improvvisamente ho preso atto dei valori che ha cercato di trasmettermi, ora che sono padre ancora di più. Dumpsey è un servitore della giustizia prima ancora che della legge, questo è importante, è un uomo con una sua visione della vita e dell’amore, spesso ha fatto del male per combattere altro male (la guerra, il servizio in polizia ecc…), non è il classico buono da film western riconoscibile dal cappello bianco, è più che altro consapevole dei limiti umani. Mio nonno non ha fatto in tempo a vedere che razza di uomo sono diventato, Dumpsey è il mio modo per dirgli grazie. Grazie per avermi cresciuto, amato, protetto, preso a calci in culo quando necessario. Grazie per esserci stato quando chi mi ha messo al mondo ha deciso altrimenti.

    Da giovane ero un’appassionata di Stephen King. Negli ultimi anni, da quando sono diventata madre, mi sono allontanata da questo genere di letture. Credo che sia una specie di difesa, come se pensare a certi drammi rischiasse di renderli reali. Ma so che il mio è il limite di chi nasconde la testa sotto la sabbia. Tu, da genitore, hai mai avuto queste paure? La scrittura ti ha aiutato a superarle?

    Come genitore vivo di paure, che il mondo di oggi sia pieno di pericoli non è un mistero, non solo fisici, ma anche di tipo culturale. La scrittura mi aiuta più che altro a calibrare i miei sentimenti, ad analizzarli.

    Nonostante le mie difficoltà ad affrontare questo genere letterario devo ammettere che il tuo romanzo non mi ha turbata. Spesso si approfitta del macabro per fare audience o per vendere di più, invece tu hai saputo utilizzare un ottimo mix tra pathos e sorpresa senza cadere nello splatter. E te ne rendo merito. Del resto è anche vero che ormai il peggio del macabro arriva proprio dai giornali e dai telegiornali. Tu, da scrittore di thriller, pensi che andrebbe contrastata questa tendenza alla spettacolarizzazione del dolore altrui?

    In merito ai vari generi letterari non mi pronuncio, mi soffermo invece sulla deriva degli organi di informazione in merito all’ossessionante spettacolarizzazione del dolore trasformato in compassione pret a porter, che non fa altro che incrementare l’assuefazione ai drammi umani, e che porta necessariamente a una visione superficiale di ciò che è il vivere comune, lo scambio, il senso di fratellanza.
    Il mio timore è che tutti si assista a cose drammatiche come si assisterebbe a un film, con la bocca piena di cibo mentre ci commuoviamo, il rutto in punta di esofago e il tempo per una pisciatina tra una pubblicità e un’altra. Il pericolo è soprattutto per i giovanissimi, tra giochi violenti e telegiornali catastrofisti, in assenza di riferimenti culturali e capacità di filtrare grazie all’esperienza di vita, corriamo il rischio di formare generazioni incapaci di empatia.

    Ho letto che tra i tuoi progetti futuri c’è la stesura di un nuovo thriller. A che punto sei? Quando potremo leggerti di nuovo?

    Un thriller è finito e ho già spedito il manoscritto. Vedremo, speriamo. Mah! Poi sto lavorando a un romanzo ad ambientazione storica molto faticoso in termini di ricerca e di stesura, contemporaneamente ho iniziato un romanzo assolutamente fuori dagli schemi rispetto allo stile che ha caratterizzato Joshua. Mi piace sperimentare e mettermi in gioco. Mmmh, la pagherò amaramente?
    Concludo ringraziandoti per il tempo che hai voluto dedicarmi. Per uno scribacchino esordiente come me non è cosa da poco. Un abbraccio a te e a tutti i visitatori di Lettore Creativo.

    Grazie a te, Massimiliano. Personalmente non vedo l’ora di leggerti ancora.

    *********************************

    massimiliano-riccardiMassimiliano Riccardi nasce a Genova nel lontano 1968, cresce e vive per buona parte della sua giovinezza nel centro storico di Genova assorbendone gli umori, con tutto quello che ne consegue. Viaggia per l’Europa negli anni in cui bastavano pochi soldi e uno zainetto.

    Ha praticato le arti marziali con scarsi risultati, la lotta da strada con successo in virtù della buona salute che gode nonostante le frequentazioni giovanili dell’angiporto genovese .

    Svolge mille lavori in settori tra i più disparati, da oltre vent’anni esercita la professione di infermiere, prevalentemente nell’ambito dell’Area Critica ( neurochirurgia, pronto soccorso, unità coronarica). Lettore compulsivo e scribacchino improvvisato. Ama la saggistica di carattere storico, i romanzi, la poesia, la musica, i fumetti.

    Il suo blog è Infinitesimale.

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    16 Comments

    • Giulia Mancini

      Bella intervista! Ho letto il romanzo di Massimiliano quasi appena uscito (dico quasi perché procurarmi il cartaceo non è stato velocissimo) e mi ha fatto piacere leggere questa intervista che ha approfondito alcuni aspetti del romanzo che mi è piaciuto molto e ho veramente apprezzato. Bravo Max e grazie Silvia!

      • Grazie a te, Giulia.
        Ho rivolto queste domande a Massimiliano perché, dopo aver letto il suo libro, mi sono sorte spontanee. E questo è il grande vantaggio di leggere autori che conosciamo, seppure virtualmente, di persona: poter chiedere loro direttamente ciò che ci incuriosisce.

    • Dottore, io la facevo almeno chirurgo. 🙂

      Intervista interessante. Ho il libro di Massimiliano sulla scrivania, pronto per essere letto, ma tergiverso da mesi ormai. La mia difficoltà, quando conosco lo scrittore, è sempre quella strisciante paura di scoprire che il libro in questione non mi piaccia. E poi come faccio a dirglielo, all’amico? Sono convinto che sia un buon libro, tutti ne parlano benissimo. Ho sentito solo elogi. Un editore l’ha scelto. Insomma, tutti ottimi motivi per fidarsi. Vedremo se nel 2017 avrò più coraggio.

      Nel frattempo: in bocca al lupo per i successivi lavori.

      • Quella paura ce l’abbiamo un po’ tutti. Sinceramente non so come mi comporterei se un libro di un amico non mi piacesse. Chi sono io per giudicare l’opera altrui? Nessuno. Quindi semplicemente tacerei. Anche se forse non sarebbe giusto.
        Per fortuna, finora, nessuna delusione. 😀

      • Grazie Salvatore. Allora non leggerlo, tu mi fai paura 😀 Scherzi a parte, grazie per l’incoraggiamento. Ne abbiamo tutti bisogno.
        Silvia mi ha fatto un regalo di Natale bellissimo.

        • Silvia

          Sono contenta che la mia intervista ti abbia fatto piacere, Massimiliano.
          Ma non è un regalo, te lo meriti. 😉

    • Francesca Barabino

      L”ho letto poco dopo l”uscita. Mi è piaciuto tantissimo. Complimenti per l”intervista. Molto intensa.

      • Ciao Francesca e benvenuta sul mio blog.
        Sono contenta che l’intervista ti sia piaciuta e non posso che condividere l’apprezzamento per il romanzo di Massimiliano. 🙂

        • Silvia, sei stata bravissima nello strutturare questa intervista, ma ancora di più ti devo ringraziare per il tempo che hai voluto dedicarmi. Grazie di cuore.

    • nadia

      Dispiaciutissima di non averlo ancora letto mi prefiggo di inserirlo nelle prossime letture. Questa intervista mi ha stimolato moltissimo a recuperare e poi io adoro i gialli.

    • Bravo Massimo. Una cosa bellissima che hai raccontato è il tuo rapporto con tuo nonno e il regalo che gli hai fatto tratteggiando il personaggio di Dumpsey. Anch’io ero legata molto a mio nonno e la lacrimuccia è spuntata pure a me. 🙂
      Silvia, ma hai fatto una scuola per fare domande così puntuali. Ma sei bravissima! 🙂

      • Ahahahaha! Grazie, Marina! No, nessuna scuola. Solo curiosità di lettrice. 😉

    • Grazie Marina, ci sono cose che ti segnano, per fortuna in bene. Altri uomini altra tempra.

      Silvia non sminuirti, hai scavato ben bene. Ancora grazie.

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    Silvia Algerino

    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

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