7 falsi miti intorno al marketing editoriale

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    Lo so: noi autori non amiamo il marketing editoriale. Chi ama scrivere non vorrebbe doversi occupare di vendere. Tuttavia, a meno di essere pubblicati da fior di case editrici, tocca anche fare questo lavoro.

    Richiede studio e applicazione, non lo si può improvvisare. Vi ricordate a scuola? Quando una materia ci piaceva, avevamo più voglia di studiare. Così se riuscissimo a farci piacere un po’ di più anche il marketing editoriale, diventerebbe un po’ meno ostico.

    Smontare qualche falso mito, se non altro, potrebbe aiutare.

    Sette falsi miti intorno al marketing editoriale

    1. Il marketing editoriale è una cosa brutta

    Del marketing si dice che sia una cosa brutta a prescindere, quasi fosse una parolaccia. Sono cresciuta negli anni ’80 e allora – bisogna darne atto – di venditori di fumo ce n’erano un’infinità. Era l’epoca del boom televisivo e i bisogni più che reali erano indotti, se non addirittura pompati.

    Anche oggi ci sono ancora venditori di fumo e piazzisti di livello infimo, ma è anche vero che il problema non sta tanto nel marketing in sé, quanto in chi lo pratica.

    Io sono convinta che un buon marketing, cioè quello che va incontro alle esigenze reali del lettore, non sia affatto una cosa brutta. Credo anche che si basi sulla psicologia delle persone e che sia molto affascinante capirne i meccanismi.

    Non si tratta, infatti, di turlupinare le persone, ma di aiutarle a scegliere ciò è più adatto alle loro esigenze.

    Sono la prima a essere felice quando ricevo una mail che mi pubblicizza qualcosa che stavo cercando e che mi risolve un problema. Credo che capiti un po’ a tutti.

    2. Il marketing editoriale non serve a nulla

    Se fatto male, se sconfina dello spam o addirittura nello stalking, non solo non serve a niente ma è dannoso. Restituisce una brutta reputazione dell’autore e tende ad allontanare anziché avvicinare.

    Se invece è attento alle esigenze del pubblico ed è discreto o, meglio ancora empatico, è molto utile. Del resto se non sono a conoscenza dell’esistenza di un libro come potrò mai pensare di comprarlo e, tanto più, di leggerlo?

    3. Per soddisfare le leggi del marketing dovrei scrivere cose di bassa qualità

    Anche questo non è vero. Semmai è vero che il marketing ci insegna a intercettare un bisogno e a fornire una risposta attraverso il nostro libro.

    Un altro discorso è il fatto che è maggiore il numero di persone in grado di accedere a contenuti di basso livello rispetto a quelle in grado di accedere a contenuti di alta qualità.

    Non è marketing, è realtà: la bassa qualità ha un pubblico più ampio.

    Ma è altrettanto vero che la bassa qualità ha maggior concorrenza.

    Il marketing buono seleziona il proprio pubblico, non spara sul mucchio. Ecco perché ci sono opere di nicchia che ottengono ottimi risultati.

    4. Per soddisfare le leggi del marketing dovrei scrivere argomenti che non mi interessano

    Questo falso mito è una variante di quello precedente.

    È un dato di fatto che alcuni argomenti suscitano maggior interesse rispetto ad altri. Ed è anche possibile che quegli stessi argomenti che vanno per la maggiore non incontrino i nostri gusti.

    Ma scrivere di ciò che non ci interessa non è così semplice, oltre al fatto che ci renderebbe il compito piuttosto gravoso.

    Un insegnamento del marketing buono è, invece, la coerenza: l’autore coerente ha molto più pubblico dell’autore artificioso. Quindi inutile sprecare tempo cercando di scrivere male cose che non abbiamo voglia di scrivere. Tanto quel vasto pubblico non ci considererebbe comunque.

    5. Per vendere il proprio libro bisogna spendere un sacco di soldi in pubblicità

    Il problema non è tanto quanti soldi si debbano spendere, semmai come spenderli.

    Sono dell’idea che un lavoro professionale debba essere fatto da un professionista e che un professionista debba essere pagato in base a quello che merita.

    Il primo modo di pubblicizzare il proprio libro è investire sulla qualità. Se è un prodotto realizzato con metodi professionali, dall’editing alla copertina, ha molte più probabilità di vendere. Non per qualche strana alchimia ma perché un buon prodotto è più piacevole per il lettore.

    Spendere soldi in pubblicità su un prodotto non curato è uno spreco.

    6. Per pubblicizzare il proprio libro bisogna avere una pagina FB con molti like

    Una pagina FB, se ben gestita e con contenuti interessanti, è sicuramente uno strumento pubblicitario utile.

    Tuttavia, se non è gestita da un professionista o se l’autore stesso non ha le competenze e il tempo necessario per gestirla in modo efficace, può essere controproducente.

    I like sono un indicatore di quantità (e non di qualità) della base di fan, ma può anche essere fuorviante, se non fasullo. Tralasciando chi fa vero e proprio commercio di like, ci sono pagine-autore che possono avere tantissimi follower sulla carta, ma non realmente interessati alla pagina.

    Ciò che conta è piuttosto l’interazione, ovvero quanto i fans si dimostrano interessati ai contenuti attraverso la lettura dei post, i commenti e le condivisioni.

    Un autore però potrebbe anche basare la propria strategia comunicativa sul altri strumenti e scegliere di proposito di non avere una pagina FB.: l’importante è la coerenza. La propria identità autoriale e la propria reputazione può trarre giovamento da scelte controcorrente. Purché non siano controcorrente con l’obiettivo di essere trendy.

    7. Avere una pagina FB non serve a nulla

    A mio parere la pagina FB serve. A condizione, però, che abbia dietro una strategia comunicativa e che non sia solo uno strumento dei tanti o, peggio, un duplicatore di altri contenuti già presenti sul profilo personale o sul proprio blog.

    La creazione di una pagina FB dovrebbe seguire un progetto di marketing editoriale più ampio e dovrebbe rispondere a un micro-obiettivo specifico. Insomma, un complemento strategico.

    Se, per esempio, uso il blog per potenziare la mia identità autoriale, potrei sfruttare la pagina FB per raccontare aspetti più legati all’opera o, magari, ai personaggi. L’importante è che ci sia una strategia e che si scelgano contenuti utili e interessanti per il pubblico.

     

    E voi che cosa pensate di questi falsi miti? Ve ne vengono in mente altri?

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    18 Comments

    • Marco Amato

      Purtroppo la promozione editoriale è un calice amaro al quale non ci si può sottrarre se si vuole avviare costruire una carriera di scrittore. Anche se si pubblica con un editore, anche se importante, non ci si può sottrarre. Ormai la nuova moda editoriale, ad esempio, sono i book-tour in cui l’autore è coinvolto in prima persona.
      Per me è divertente nella fase iniziale del lancio del libro, quando si può esprimere la maggior creatività. Poi diventa dannatamente noiosa.

      • Hai ragione: all’inizio c’è tutto l’entusiasmo per il libro e per ciò che si spera di ottenere, poi però – come è normale che sia – si spegne un po’. Ecco, forse una delle armi, non dico vincenti, ma comunque importanti, può essere proprio la costanza. Anche perché, come sai meglio di me, i risultati si vedono dopo un po’ di tempo e solo sulla base di quelli si possono apportare correzioni. Si dice che uno dei punti deboli più frequenti in comunicazione sia proprio l’analisi dei risultati e la correzione degli errori.

    • Ho apprezzato questo articolo perché ci sprona a confrontarci con le nostre pigrizie. Personalmente ritengo di avere qualche capacità nel promuovere gli altri ed essere negata nel promuovere me stessa. È caratteriale, troppo vecchia come abitudine per riconoscere da dove arriva. Sono tra coloro che che dovrebbero affidarsi a professionisti. Ma non credo che al momento né valga la pena..

      • Grazie, Elena, dell’apprezzamento. Credo che sia sempre più facile fare le cose per gli altri che per sé stessi. Anche perché da fuori si ha un punto di vista più obiettivo. Però mi pare che tu non sia affatto male anche come promotrice di te stessa. 😉

    • Un altro falso mito: Se si pubblica un editore tradizionale, il marketing compete a lui, lo scrittore al massimo presenzia a qualche evento organizzato dall’editore.
      Uhm, nei vostri sogni. Che poi è esattamente quello che dice Marco: al giorno d’oggi lo scrittore deve sapersi “vendere”. E se vuole pubblicare con l’editoria tradizionale deve sapersi “vendere” due volte: prima per arrivare alla pubblicazione e poi per arrivare al lettore. Dando anche un rapido sguardo agli scrittori giù pubblicati, anche agli ultimi esordienti, si vede che tutti già prima hanno creato il loro “parco clienti”. Del resto, mi metto nei panni della casa editrice: se devo scegliere tra due manoscritti, su per giù della stessa qualità, ma un autore può contare su 10mila contatti (sui social, sul blog, localmente) e l’altro invece non interagisce con nessuno, su chi investirò tempo e denaro? Se sei un’EAP su entrambi 😛 , ma se sei un imprenditore serio considererai la probabilità di ritorno dell’investimento.
      “Si, però non è giusto. Io dovrei pensare solo a scrivere!”
      Vero, però questo è il mercato. E finché non siedi al tavolo è un po’ difficile cambiare le regole.
      Perciò, come dici tu, conviene scendere a compromessi e cercare di capire che il marketing serve a raggiungere i nostri lettori. E questo non può essere una cosa tanto cattiva, no?

      • Verissimo, sono d’accordo sul tuo falso mito. Spesso si pensa che arrivando a un casa editrice non si debba più promuoversi. Da quello che leggo in giro persino le big investono mezzi e energie solo su un numero ristretto di scrittori, quelli cioè che possono dare una certa garanzia di ritorno.
        Che ci piaccia o no, è così.

    • non so se è un falso mito oppure no, ma penso che il marketing bisogna saperlo fare 😉 Per carità, tutto si impara, ma se è una cosa di cui sei a digiuno non è così banale, per cui alla fine mi consolo pensando che alle persone piacciono le cose raccontate con passione, ma forse è un altro falso mito 😉

      • Ciao rabolas, e benvenuto sul mio sito. Sono d’accordo: bisogna saperlo fare. Tuttavia, anche se non si è degli esperti, alcune strategie e regole base si possono imparare. Sono d’accordo anche sul fatto che le cose raccontate con passione piacciono alle persone e, secondo me, questo può rientrare nel marketing “buono”. 🙂

    • Uh che argomento hot.
      Concordo con i punti citati e con i commenti di @Barbara ed @Elena. Avere un editore non è garanzia di promozione ed è più facile promuovere gli altri che se stessi. Dunque per non ripetere cose già dette aggiungerei solo che a volte la semplicità paga e un messaggio promozionale mosso dalla spontaneità in tutta la sua effervescente novità può stupire e creare attenzione. Quindi mai dubitare della propria unicità!

      • Puntare sulla propria unicità è un buon metodo di comunicare sé stessi, ed è anche uno dei punti chiave nella creazione della propria identità autoriale.

    • Giulia Mancini

      Sono d’accordo con tutte le tue argomentazioni, sfatiamo i falsi miti, fare marketing è una buona strada per farsi conoscere soprattutto dagli autori non supportati da grandi case editrici (che poi fanno marketing in prima persona anche loro). Fare buon marketing non è però semplice, diventa un vero e proprio lavoro che si aggiunge alla scrittura e a tutto il resto.

      • È vero: spesso diventa un lavoro. Faticoso e stressante. Però, come dicevo nel post, se lo si prende dal lato giusto può riservare piacevoli sorprese. Io, per esempio, mi sto appassionando al neuromarketing: si scoprono un sacco di belle cose sulla psicologia che guida l’acquisto delle persone.

    • Bisogna capire cosa si intenda per bassa qualità: qualità di scrittura? Di trama?

      Soldi per la pubblicità: devi considerare quanto ne valga la pena. Un autore prende molto poco di diritti. Se è autopubblicato, prende di più, ma ha dovuto spendere per creare il libro.

      Pagina FB: di cosa? Dell’autore? Allora ha un senso. Del libro? Allora non ne ha nessuno.

      • Quando parlo di “bassa qualità” cito appunto un falso mito. Che considera bassa qualità ciò che ha un livello basso di comprensione. Certo è che non tutti i temi, i linguaggi o i metodi di narrazione possono essere capiti da tutti. Non è da confondere, invece, con la bassa qualità del prodotto intesa come sciatteria.

        Sono d’accordo sul fatto che bisogna valutare molto bene quanto e se investire in pubblicità. Infatti, secondo me, vale la pena di investire piuttosto sulla qualità del prodotto.

        Sì, in linea di massima quando parlo di pagina FB parlo di pagina autore. Non mi sentirei di escludere a propri la pagina del libro. Però deve avere una strategia precisa che la richieda. In questo momento non saprei dirti quale.

    • Sono d’accordo con la tua prospettiva, anche se il marketing resta per me ancora qualcosa di oscuro e poco digeribile. Però è proprio per sfatare il primo mito che ho cercato di andare oltre i miei limiti e provare a trovarlo meno indigesto. Ci possono essere degli aspetti stimolanti, divertenti, da non sottovalutare. La promozione è anche creatività, quindi non totalmente in contrasto con la nostra natura. Costa fatica, non si può negarlo, ma poi arrivano i frutti più inaspettati.

      • Dici bene quando dici che promozione è anche creatività. Del resto l’attività di advertising che funziona di più e che ci regala dei bei contenuti è proprio quella costruita con la creatività. Anzi, man mano che per lavoro mi addentro nei principi che sostengono il marketing mi accorgo di quanto ci sia in comune con la narrativa. In proposito avevo già scritto un post sulle buyer persona e sulla similitudine con i personaggi di un romanzo. Magari in futuro scriverò altro su questo concetto.

    • Hai perfettamente ragione, non c’è niente di male nell’autopromozione, se è fatta nel modo giusto; io però sto appena cominciando a non sentirmi una venditrice porta a porta di deodoranti per il water… sono contenta che ci sia un cambiamento su questo fronte. Quanto all’uso dei social senza ripetizione degli stessi contenuti, ho parecchio da imparare.

      • I venditori porta a porta (che magari infilano pure il piede per impedirti di chiudere) sono come quelle persone che ti chiedono l’amicizia su Fb e un minuto dopo ti chiedono il like alla loro pagina. Non funzionano più e non ottengono niente se non di far salire la bile a quello che avrebbe dovuto diventare un lettore. Quindi, no, non hai proprio motivo di sentirti così. Hai un ottimo prodotto, sono certa che questo sarà il primo punto vincente per la tua strategia di marketing. 😉

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