Crowdfunding 5 / Chi sarà il nostro sostenitore?

Indice dei Contenuti

    Una delle prime domande che ci si dovrebbe rivolgere prima di iniziare una campagna di crowdfunding è chi sia la persona ideale da trasformare nel proprio sostenitore.

    Come abbiamo detto, una campagna non è completamente assimilabile alla pura “vendita”, pertanto il nostro destinatario finale non dovrebbe essere confuso con un semplice cliente. O perlomeno deve essere chiaro nella nostra mente che desideriamo che il suo apporto non termini con il versamento in denaro e con la “prenotazione” del libro. Noi da lui vogliamo di più e dobbiamo farglielo percepire.

    il valore aggiunto della campagna

    Non mi stancherò mai di dirlo: una campagna di crowdfunding, per quanto difficile, onerosa in termini di energie e impegnativa, conserva in sé un grande valore aggiunto, che è quello del coinvolgimento diretto del sostenitore nel nostro progetto.

    La molla che vorremmo che spingesse il potenziale lettore a sostenere la campagna dovrebbe essere proprio quella di far sentire il lettore vicino a noi e fargli desiderare con tutte le forze che la nostra campagna vada in porto e che il nostro libro venga pubblicato.

    Se questo avviene allora c’è la possibilità che si inneschi un circolo virtuoso che faccia sì che il nostro sostenitore a sua volta coinvolga altre persone e la famosa rete di contatti, di cui abbiamo parlato nelle settimane scorsi, diventi una rete efficace e si espanda a macchia d’olio.

    Immaginate il vostro sostenitore come un tifoso.

     

    perché una persona dovrebbe sentirsi coinvolta nella nostra campagna?

    I motivi possono essere molti ma, secondo me, fondamentalmente si riassumono in due grandi gruppi:

    • Perché siamo riusciti ad accendere il suo l’entusiasmo e la voglia di partecipare, facendola sentire importanti;
    • Perché abbiamo trattato un tema a lei caro sotto un qualsiasi punto di vista (genere letterario / argomento specifico / interessi /metodo di scrittura etc. etc. ).

    In pratica perché l’abbiamo emozionata.

    Personalmente l’ho capito tardi, quando la mia campagna era già chiusa, ma credo che sia davvero il punto centrale di qualsiasi operazione comunicativa.

    emozionare per comunicare

    Lo vediamo tutti i giorni nella vita quotidiana. Siamo più sensibili verso i prodotti che in qualche misura ci smuovono un’emozione. Persino quando scegliamo la marca della pasta, siamo influenzati dalll’impressione che riceviamo da ciascun prodotto in termini di simpatia. E non per niente le pubblicità lavorano proprio in quel senso.

    Per un lungo periodo di tempo, mi dedicai ai sondaggi on-line, ovvero panel di sondaggi a cui rispondere in cambio di premi in denaro o in buoni acquisti. A parte collezionare buoni Amazon che mi servirono a rimpinguare il mio kindle, da questa esperienza imparai molto. Mi stupì il fatto che molto sovente mi veniva chiesto di osservare delle immagini di famosi spot pubblicitari e di conseguenza di indicare il mio grado di coinvolgimento verso un’azienda. Anche in quel caso, appunto, si parlava di coinvolgimento e di vicinanza all’azienda, interpretate come chiave della riuscita di una campagna pubblicitaria.

    Il famoso storytelling, di cui oggi sempre più frequentemente sentiamo parlare, va in questa direzione:

    raccontarsi>emozionare>coinvolgere

    Va da sé che quando il coinvolgimento è arrivato al bersaglio gran parte dell’opera è compiuta, anche se molto dipenderà dal valore del prodotto e dalla capacità di fidelizzare il cliente. Ma qui ci stiamo allontanando troppo dall’oggetto del post di oggi e solo in seguito riprenderemo questi concetti.

    a chi rivolgere la campagna?

    Detto tutto ciò, rimane da stabilire a chi rivolgersi e che metodi utilizzare. Del secondo punto parleremo più diffusamente nei prossimi post.

    Alla prima domanda  in parte abbiamo già risposto nel paragrafo in cui ci chiedevamo perché una persona dovrebbe sentirsi coinvolta nel nostro progetto (la parola progetto a mio avviso è fondamentale).

    Ipotizziamo di avere scritto un libro su un tema qualsiasi (infanzia, maternità, mondo delle donne, lavoro, amicizia , etc. etc.). Analizzare il tema centrale non è sufficiente. Dobbiamo anche chiederci se questo libro sia un trattato, un romanzo, una raccolta di racconti o che cosa altro. Dopo di che dovremo chiederci perché l’abbiamo scritto, con quale finalità e con quale messaggio. Man mano che scenderemo nello specifico ci accorgeremo che l’interesse verso la nostra opera anziché diminuire, aumenterà. Perché? Perché avere un idea massimamente precisa di ciò che vogliamo dire permetterà di suddividere immediatamente il nostro potenziale pubblico tra chi è interessato e chi non è interessato e, tra le persone interessate, di arrivare direttamente al punto.

    Una volta che avremo noi stessi le idee chiare e precise di che cosa vogliamo comunicare, ci apparirà già ben definito chi possa essere il nostro interlocutore e, senza nemmeno fare troppe analisi, capiremo a chi possiamo rivolgerci. L’importante è continuare a mantenere ben chiaro il focus della nostra opera.

    Del resto, quando si parla di comunicazione la chiarezza e la specificità sono fondamentali. Far capire al nostro interlocutore qual è il nostro progetto è la base per trasformarlo in un progetto comune.

    Ma, badate bene, noi per primi dobbiamo sapere che il nostro progetto non è semplicemente raggiungere il goal e pubblicare il nostro libro, semmai permettere a più persone di emozionarsi attraverso le nostre parole. Ma di questo ne parleremo ancora.

     

    E voi avete ben chiaro il focus della vostra opera?

     

     

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    17 Comments

    • nadia

      Leggendo le tue parole mi sono tornati chiari in mente alcuni momenti della mia campagna. Durante la prima presentazione sono intervenute persone sconosciute contattate da chi mi ha sostenuto in primis. Erano veri e propri estranei di cui non conoscevo nè il volto nè il nome, eppure erano lì per me, per fiducia nei confronti della persona in comune che li aveva invitati. A quel punto si è instaurato un clima amichevole in cui le mie riflessioni sul progetto libro hanno coinvolto la platea. L’emozione che mi usciva di felicità contagiava e a fine chiacchierata ero talmente felice ed entusiasta che nessuno si è sentito obbligato a sostenermi, ma felice di farlo per partecipare a una cosa di così diversa dal solito.
      L’emozione è fondamentale per trasmettere il valore del proprio sogno.

      • Ecco, quando il sostegno arriva da un estraneo, capisci qualcosa ha funzionato. Magari non sai ancora cosa, ma sai di aver fatto qualcosa di buono.
        Per questo sarebbe interessante già durante la campagna tentare di analizzare che cos’è che ha funzionato e perché. Ma io, per esempio, l’ho capito solo a campagna conclusa. 🙂

    • L’emozione che ha spesso come base l’immedesimazione, quel libro sta parlando proprio a me, anzi addirittura di me. Questo sì, fa scaturire un bel circolo.

      • Sì, hai ragione. Non c’è niente di più bello che ritrovarsi in un libro. Per il lettore perché si sente parte in causa e per lo scrittore che si rende conto che è nato uno scambio. 🙂

    • Mi stuzzica sempre più questo tipo di pubblicazione, tra le altre cose è un bel modo per mettersi in gioco.

      • Se vuoi possiamo poi anche confrontarci in privato. 😉

    • Marco Amato

      Il sostenitore o comunque in genere il lettore che segue lo scrittore, è la fonte primaria.
      Però, mi sorge una domanda su book a book.
      Che fine fanno i lettori/sostenitori che hanno finanziato l’opera?
      Ovviamente ricevono la loro copia a seconda della quota prescelta. Però, visto che nel crowdfunding, il sostegno del lettore è fondamentale, il legame lettore/autore, si spezza alla consegna del libro?

      Cioè. Sicuramente fra chi ha finanziato il libro, c’è chi segue l’autore su Facebook o sul blog. Ma di certo, ci sono molti che hanno finanziato il libro, ma che non seguono direttamente l’autore. Legame spezzato.
      Il punto che voglio chiarire definitivamente è questo. Le liste mail di chi ha sostenuto il libro, restano nei cassetti di book a book, o c’è possibilità per lo scrittore di poter contattare successivamente i lettori con la mail di registrazione?
      Da uomo di mondo, sapendo come funzionano queste cose, a naso direi che le mail dei sostenitori restano chiuse nei cassetti di book a book. Però sarebbe una gran cosa per lo scrittore poterle avere così da restare in contatto con tutti i lettori che hanno sostenuto il libro.
      Mi girava questo dubbio/considerazione stamattina. Spero che non sia inopportuno.

      • No, non sei inopportuno. Anzi è una domanda interessante che per certi versi anticipa ciò che dirò nei prossimi post, per cui perdonami se qui rispondo brevemente.
        Ai tempi della mia campagna Bookabook forniva periodicamente il feedback dei contributi, indicando esplicitamente sia il nome del sostenitore, sia la mail, sia il tipo di contributo. Oggi sinceramente non so se faccia ancora così, ma penso di sì.
        Certamente possedere queste liste è un altro valore aggiunto perché permette di continuare a far sentire il sostenitore come parte del progetto, oltre a tenerlo informato sugli sviluppi del libro.
        Io, infatti, ho già le mie mail pronte: appena ho la data certa di pubblicazione i miei sostenitori avranno mie fresche notizie. 😉

      • Domanda interessante, mi accodo 😉

    • Ahimè, il focus di alcune cose che scrivo ce l’ho ben chiaro. Mi sconvolge scrivere con focus diversi, e quello è un problema serio nel mercato italiano. (…ammesso che mai io entrò nel mercato 😛 )

        • Perchè sono appunto focus (target di lettori) diversi tra loro. Se pubblichi un fantasy e poi un rosa e successivamente un romanzo “impegnato” il pubblico sarà sempre diverso, e quello del primo libro magari difficilmente si traghetterà nel secondo. Rowling ha tirato fuori Galbraith per scrivere gialli perchè sapeva che il pubblico di Potter era diverso.

          • Ah, ok. Ora ho capito cosa intendi.
            Beh, però a me viene in mente Stephen King che pur avendo pubblicato racconti e romanzi che abbracciano una molteplicità di generi diversi è sempre riuscito a mantenere il successo ed anzi ad ampliare il pubblico a cui riferirsi. Come? A me viene da pensare che lui sia riuscito a ottenere questo grazie a una ottima brandizzazione di se stesso che gli ha permesso di tenere assieme anche target potenzialmente diversi. Alla fine leggere King non è leggere horror, thriller, fantasy o mainstream. Leggere King è leggere King.

            • Su King non lo so perchè a questo punto dovrei provare a leggere un suo horror per sentire se c’è differenza (finito giusto giusto ieri sera Dolores Claiborne, bellissimissssssimo, grazie del consiglio). Del resto King ha pubblicato come Bachman ma l’hanno sgamato subito.

              • Sono contenta che Dolores Claiborne ti sia piaciuto. Se vuoi provare un horror puro, ti consiglio Le Notti di Salem, mentre Cose preziose, secondo me, lo è solo in parte, sebbene ci sia una forte presenza satanica. Ma poi ora che ci penso ci sarebbero anche Per Sematery, Carrie lo sguardo di Satana, Christine la macchina infernale… Ma quanti ne ho letti del Re???

    • Leggendo questa tua serie di post, e questo in particolare, mi viene da pensare quanto l’esperienza di un autore vada sempre più complicandosi con i nostri tempi. Avere ben chiaro il focus di una storia aiuta di certo anche in fase di scrittura, ma solo dopo, con la pubblicazione, ti accorgi di quanto sia vitale. E’ un po’ come qualcuno ti chiede “di che parla il tuo libro?” e tu devi sintetizzarlo in poche parole. A quel punto ti rendi conto che per coinvolgere qualcuno non basta una sintesi pura e semplice. Mi viene anche da pensare che un sostenitore è un lettore entusiasta con cui tutti gli altri lettori possono identificarsi, e quindi il portavoce ideale per trasmettere le emozioni giuste. Mica facile trovarlo, no?

      • No, hai ragione, non è facile da trovare. Però credo che, crowdfunding a parte, anche nell’ottica di un marketing editoriale sia un elemento da tenere in considerazione.
        Tu dici una cosa molto vera: avere il focus della storia aiuta anche in fase di scrittura. A me viene da chiedermi (e forse scriverò un post a proposito) se tutto il lavoro di promozione che un autore di self è costretto a fare da sé non sia in realtà molto utile anche alla crescita personale proprio come scrittore. Spesso chi è contrario al self dice che in fondo autopromuoversi è un mestiere diverso dallo scrivere e porta solo via tempo allo scrivere. In parte è vero, ma in parte credo che possa essere comunque un esercizio proficuo proprio per la scrittura stessa.

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
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